L'attenzione digitale: come il mondo digitale ha cambiato l'attenzione, la memoria e l'apprendimento
Come internet influisce sulla memoria e sull'apprendimento
Questa situazione ha esiti negativi sulla memoria che non si sono mai riscontrati prima. Sparrow ed al hanno dimostrato che l'estrema facilità di accesso alle informazioni online ha, in effetti, causato una perdita di memoria semantica poiché, come già detto in precedenza, le persone ricordano meglio dove hanno trovato l’informazione piuttosto che l’informazione stessa. Ne consegue che si sia creata abbastanza in fretta una vera e propria dipendenza da internet nella ricerca di informazioni. In più, la conoscenza non viene più condivisa tra i pari in maniera tradizionale ed i canali classici come i libri o la comunità, diventano ridondanti, se non addirittura inutili.
Fisher e coll. hanno dimostrato che internet influisce anche sulla percezione della nostra conoscenza, facendoci pensare di conoscere di più di quanto effettivamente conosciamo. Questo avviene perché la facilità di cercare una risposta ad un dubbio su internet ci permette di colmare solo momentaneamente le nostre lacune, e non di memorizzare l'informazione in modo efficace e duraturo.
Uno studio del 2018 ha indagato gli effetti sulla memoria a lungo termine della ricerca di informazioni su internet. Un gruppo di giovani adulti svolsero un'ora di ricerca online al giorno per sei giorni, mentre i ricercatori effettuarono alcune valutazioni delle loro capacità cognitive prima e dopo la ricerca. I risultati evidenziarono che, dopo i sei giorni di ricerche, si era ridotta la connettività funzionale delle aree del cervello coinvolte nella memoria a lungo termine.
Il filosofo Byung-Chul Han ha detto: “Quanta più informazione viene liberata, tanto più il mondo diventa meno chiaro. Da un certo punto in poi l'informazione non è più informativa ma deformativa, la comunicazione non è più comunicativa ma meramente cumulativa”.
Tutto questo si riflette inesorabilmente nell'apprendimento e dunque nel mondo della formazione. Se la scuola sta seguendo la strada della digitalizzazione risulta chiaro che i rischi sopra citati devono essere fronteggiati in maniera efficace.
“L'iperconnessione odierna agisce proprio sull'apprendimento. Lo chiamiamo problema di memoria ma in realtà è un deficit dell'attenzione”. Memoria e attenzione sono forse i due aspetti che più strettamente collegati all'apprendimento e difficoltà in una o nell'altra, o in tutte e due, inevitabilmente compromettono la capacità di imparare. E se la capacità di imparare viene compromessa lo è anche l'adattamento all'ambiente che ci circonda, la possibilità di acquisire quegli strumenti fondamentali per rispondere alle richieste della società in modo efficace e per sviluppare la nostra identità in maniera completa.
Anche nelle aule universitarie questo cambiamento si sta facendo sentire, tanto che l'Università Bocconi, ha istituito nel settembre del 2018 un corso nuovo: “Pensiero critico”, e lo ha reso obbligatorio per tutti gli studenti. Cito le parole del docente di filosofia che tiene il corso, Damiano Canale: “I ragazzi arrivano all'università che non hanno più famigliarità con il ragionamento in senso lato, non sanno più argomentare una tesi, e questo ha a che fare con il tempo che passano online. Hanno un'idea in testa ma non riescono a strutturarla perché non conoscono più le regole della logica, e noi lo vediamo benissimo nelle tesi scritte e agli orali: quando si ragiona si possono fare degli errori, ma le persone in genere se ne accorgono; questi ragazzi no, non ne hanno la consapevolezza, non sono più abituati, la loro capacità di pensare in modo critico si è indebolita, non riescono più a distinguere quello che è rilevante da quello che non lo è, non sanno filtrare, fanno fatica, non sanno più confutare le opinioni altrui perché non riescono più ad individuare quali sono i punti che non funzionano nel discorso di un'altra persona. Non hanno gli strumenti perché oggi in rete premiano solo la frase ad effetto. Abbiamo voluto questo corso obbligatorio per aiutare gli studenti a far funzionare la testa, che sembra disattivata dall'ambiente in cui vivono”.
Far funzionare la testa che sembra disattivata dall'ambiente in cui vivono. Sembra che il professore descriva con queste parole dei piccoli computer, degli esseri robotici che vivono di pensieri preconfezionati ed indiscutibili.
Quando ho letto queste parole ho messo in dubbio la mia stessa capacità di argomentare la tesi che sto scrivendo, perché, a ben pensarci, io sono una ragazza nata nel periodo dell'esplosione di internet, non sono cresciuta con lo smartphone in mano, non sono andata a cena al ristorante con il tablet davanti alla faccia e non ho seguito nessun tipo di corso tecnologicamente avanzato nel mio percorso scolastico. Ma la tecnologia si è sviluppata con me. Forse anche io non riesco a prestare attenzione profonda a quello che sto facendo ma non me ne rendo conto perché questo meccanismo fa parte del mio modo di ragionare da (quasi) sempre. Le poche volte che mia figlia si trova ad avere il cellulare in mano (drasticamente meno da quando sto preparando questa tesi) io la osservo per capire come interagisce con i contenuti dei quali fruisce. Apre YouTube, preme play su un video e contemporaneamente, scrolla l'applicazione per trovare un video da visualizzare subito dopo o nell'immediato, nel caso si sia già stufata nei primi due minuti di attività. Per fortuna mia figlia ama enormemente i libri, e quando la osservo invece mentre è intenta nel girare le pagine ed osservare le figure o riconoscere qualche parola scritta, la vedo completamente immersa e concentrata. A volte la chiamo e lei non mi risponde subito, perché è totalmente focalizzata in quello che sta facendo.
Il medico psichiatra Riccardo dalle Luche, in un'intervista rilasciata alla giornalista Marina de Rose ha affermato che secondo lui il mondo della scuola andrebbe completamente ridisegnato in funzione dell'era digitale ed adattato agli studenti di oggi che sono oramai abituati a studiare su uno o più schermi (lo shifting studiato dalla professoressa Mark non si limita al lavoro in ufficio) e a cercare risposte immediate attraverso lo smartphone. Ragazzi, dice, che hanno un sé “strutturalmente diffuso, disperso, ramificato, il digital self”. Come dichiara il neuropsicologo Francis Eustache, l'uso assiduo degli smartphone e dei supporti digitali in generale danneggia la memoria di lavoro e quella a lungo termine, indebolisce la capacità di comprendere ed elaborare in profondità un testo, compromettendo l'apprendimento.
A proposito dell'uso dei dispositivi elettronici da parte dei bambini e dei ragazzi più giovani, riporto le linee guida della Società Italiana di Pediatria, premettendo che, secondo tali linee guida, prima dei due anni l'uso di tali dispositivi dovrebbe essere vietato del tutto. Dai due ai cinque anni non dovrebbe superare l'ora giornaliera e dai cinque agli otto, le ore diventano due.
La giornalista Lisa Iotti riporta che nel 2018 il governo degli Stati Uniti d'America, attraverso i National Institutes of Health, ha finanziato (con trecento milioni di dollari, dieci anni di ricerca, con un campione di circa dodicimila bambini tra i nove ed i dieci anni) uno studio per capire come le nuove tecnologie impattassero sul cervello dei bambini. Le prime risonanze magnetiche funzionali sui primi 45000 bambini hanno già mostrato significative differenze nel cervello dei bambini che utilizzano smartphone, tablet e videogiochi per più di sette ore al giorno, un periodo di tempo lunghissimo se teniamo a mente le linee guida riportate sopra (ma basterebbe il buon senso a dircelo). Le risonanze magnetiche hanno evidenziato un assottigliamento prematuro della corteccia cerebrale. In Norvegia invece, nel 2019 si sono riuniti circa duecento ricercatori europei che hanno partecipato ad uno studio, durato 4 anni, che ha indagato l'impatto che il digitale ha sulla lettura. I risultati riportano che i lettori digitali leggono in modo più superficiale e meno concentrato rispetto a come farebbero su un testo fisico. Questo perché la velocità tipica dello strumento digitale crea l'illusione della comprensione, portando il lettore a sopravvalutare le sue capacità di analisi del testo.
Rimanendo in Italia, Francesca Borgonovi, economista Ocse specializzata nei temi dell'istruzione, ha svolto un'indagine che ha evidenziato come le ragazze italiane leggano sempre meno, e la colpa sarebbe proprio degli smartphone, perché le utilizzatrici più assidue di internet sono proprio quelle con le performance peggiori nella lettura.
La dottoressa spiega che “il mezzo digitale in un certo senso può essere un potenziale promotore di divario. Se hai le capacità di usarlo nella gestione complessiva del tuo tempo, allora diventa uno strumento importante che può motivare, aiutare nella scoperta di cose nuove ed interessanti. Diventa invece un mezzo di ‘distrazione di massa’ se la capacità di gestione del proprio tempo e delle proprie risorse manca”.
Il discorso sulla gestione del tempo e delle risorse riporta agli obiettivi del progetto che ho citato nel primo paragrafo di questo capitolo, il progetto Benessere digitale scuole.
La Rady School of Management dell'Università della California ha pubblicato uno studio sul deficit dell'attenzione dovuto all'uso degli smartphone. Il titolo dello studio è: “Cervello risucchiato: la mera presenza dello smartphone riduce la capacità cognitiva”. Risulta infatti che il semplice fatto di sapere che il nostro smartphone è presente vicino a noi, anche se spento, è un fattore capace di distogliere la nostra attenzione dal compito che stiamo svolgendo. Ed un altro esperimento effettuato dai ricercatori dell'Università della Virginia e di Harvard ha evidenziato un risultato ancora più preoccupante. Alcuni volontari si sono visti sequestrate tutti i loro dispositivi elettronici e sono stati chiusi in una stanza completamente vuota. Dopo qualche minuto gli è stato proposto di premere un pulsante, senza un preciso scopo se non quello di occupare il tempo con un'attività di qualche tipo. L'inconveniente era però che, ogni volta che il pulsante veniva premuto, al soggetto veniva data una piccola scossa elettrica. Alcuni volontari hanno comunque deciso di premere il pulsante ma la maggior parte di loro ci ha rinunciato dopo la prima scossa. Ma la situazione cambiava man mano che i minuti passavano perché i volontari iniziavano a premere il pulsante nonostante la scossa, pur di essere occupati in una qualche attività. L'esperimento sembra dimostrare l'ormai inesorabile incapacità dell'essere umano di stare per qualche tempo, per così dire, con le mani in mano. È facile farne esperienza: basta andare in una qualsiasi stazione dei treni, sala d'aspetto, posta e vedere che chiunque, a qualsiasi età, anche durante le attese più brevi prende in mano il cellulare e controlla le notifiche o la home di qualche social network, pur di occuparsi in qualche modo. [...]
Questo brano è tratto dalla tesi:
L'attenzione digitale: come il mondo digitale ha cambiato l'attenzione, la memoria e l'apprendimento
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Informazioni tesi
Autore: | Valentina Panero |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2022-23 |
Università: | UniCusano - Università degli Studi Niccolò Cusano |
Facoltà: | Scienze Cognitive, Psicologiche, Pedagogiche e degli Studi Culturali |
Corso: | Scienze e tecniche psicologiche |
Relatore: | Alberto Costa |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 76 |
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