Sostenibilità e resilienza: un'analisi dei fondi di investimento azionari europei durante la crisi pandemica
Le peculiarità della crisi pandemica rispetto alla crisi finanziaria del 2008
La diffusione del virus a livello globale ha condotto l’World Health Organisation (WHO), in data 11 marzo 2020, a dichiarare lo stato di “Pandemia Globale” dopo aver valutato i livelli di gravità, la rapidità, nonché la capillarità, della diffusione globale dell’infezione da SARS-CoV-2. Con il fine di contenere la diffusione del virus i vari Paesi hanno prontamente adottato misure di contenimento che hanno avuto, e tutt’ora hanno, ripercussioni sull’economia reale e sui mercati finanziari (Cavallo, 2020). I principali fattori che hanno influenzato l’economia globale, secondo Locarno and Zizza (2020) sono stati:
• la diffusione geografica capillare del virus che ha generato shock economici in tutti i continenti;
• la velocità di propagazione del virus, che in breve tempo, ha fatto arrivare il numero di contagi a numeri molto elevati, rendendo impossibile la rinuncia a misure di contenimento per cercare di limitare la pressione creatasi sui sistemi sanitari dei diversi Paesi colpiti;
• la compresenza di shock di domanda e di offerta, nonché la molteplicità dei canali di trasmissione attraverso i quali gli effetti della pandemia sul settore sanitario si sono riversati sul sistema economico.
Una crisi di questa portata risulta essere unica nel suo genere e destinata ad avere ripercussioni, ancora oggi non pienamente stimabili, sul sistema economico globale. Secondo Georgieva (2020) attualmente ci troviamo di fronte alla peggior crisi economica globale dalla Grande Depressione del 1929. Nel corso della storia, l’economia globale si è trovata ad affrontare differenti tipologie di crisi caratterizzate da velocità e localizzazioni diverse (alcune veloci e locali e altre più lente e globali). La crisi pandemica attuale risulta, in tal senso, essere singolare per via dell'impatto globale e improvviso che ha generato nel settore economico. Rispetto alle precedenti crisi finanziarie, come quella del 2008, nella crisi pandemica risulta molto più complesso prevedere gli sviluppi dello shock economico generatosi, per via della sua natura esogena che comporta una maggiore imprevedibilità sugli scenari economici futuri per via delle improvvise ondate di contagi e del continuo mutare del virus.
Uno dei principali fattori che differenzia la crisi causata dal Covid-19 rispetto a quella finanziaria del 2008, come evidenziato dall’OCSE (2020), è che quest’ultima fu generata endogenamente dal settore finanziario, mentre quella attuale deriva da cause esterne, legate alla sanità, che hanno impattato negativamente sull’economia reale e sul settore finanziario. La crisi del 2008 fu favorita da una serie di concause, tra cui l’eccessiva speculazione avvenuta sul mercato immobiliare statunitense accompagnata da una politica monetaria accomodante della Federal Reserve, la quale concedeva mutui rischiosi a basso costo (tassi di interesse minimi) a persone che difficilmente, in condizioni normali, sarebbero state in grado di accedere al credito. Ciò comportò un aumento dei consumi delle famiglie, con la garanzia che le istituzioni finanziarie, in caso di insolvenza avrebbero pignorato e rivenduto le abitazioni per cui erano stati emessi i mutui, con la presunzione che, avrebbero potuto farlo ad un valore maggiore, dato il costante aumento dei prezzi degli immobili che stava sperimentando il mercato immobiliare. L’emissione di mutui subprime fu sostenuta anche dallo sviluppo di operazioni di cartolarizzazione tramite le quali, gli istituti creditizi, dopo aver raggruppato più mutui in un unico titolo, li cedevano alle cd. società veicolo per recuperare immediatamente parte del credito che altrimenti avrebbero riscosso solamente alle naturali scadenze. Queste pratiche agli occhi delle banche non potevano che sembrare vantaggiose, in quanto potevano liberarsi del rischio di insolvenza dei creditori. Queste pratiche comportarono però, al contempo, un disincentivo alla valutazione corretta della solvibilità dei debitori. Per effetto di queste pratiche le banche erano in grado di rientrare velocemente delle disponibilità concesse a credito, le quali venivano poi riutilizzate per concedere ulteriori mutui a clienti la cui solvibilità veniva però valutata in maniera sempre meno accurata. Inoltre, le società veicolo tendevano a finanziare l’acquisizione dei mutui cartolarizzati attraverso l’emissione di titoli a breve termine. In un contesto come quello dell’epoca, in cui i tassi di interesse risultavano essere bassi, molti investitori sottoscrissero i titoli cartolarizzati. La situazione precipitò in concomitanza dell’aumento dei tassi di interesse stabilito dalla Federal Reserve che comportò un innalzamento del costo dei mutui che erano stati concessi rendendo spesso le famiglie incapaci di far fronte ai propri debiti ed aumentando, di conseguenza, il numero di insolvenze. Questo circolo vizioso provocò la caduta nella domanda degli immobili con conseguente scoppio della bolla immobiliare, causando un rapido tracollo nel valore degli immobili su cui le banche avevano ipoteca a garanzia dei mutui concessi. Le istituzioni creditizie si trovarono dunque a dover subire ingenti perdite. Inoltre, lo scoppio della bolla immobiliare e la crescita nel numero dei casi di insolvenza comportò un declassamento nel merito creditizio dei titoli cartolarizzati da parte delle agenzie di rating, facendo presto diventare questi titoli illiquidabili e obbligando le società veicolo, in carenza di liquidità per rimborsarli, a chiedere fondi alle banche stesse che li avevano emessi. Anche queste ultime si trovavano però in una situazione critica di liquidità il che comportò l’innescarsi di un circolo vizioso che è stato definito come “crisi di liquidità”.
Molti istituti finanziari si trovarono dunque sull’orlo del fallimento che è stato evitato solamente grazie all’intervento della FED. La banca di investimento Lehman Brothers non fu però supportata da interventi statali e si trovò ad avviare le procedure fallimentari nel settembre del 2008, il che innescò una forte instabilità sul mercato statunitense e non solo. Lasciare fallire una grande banca d’investimento come Lehman Brothers causò infatti una profonda incertezza sui mercati finanziari generando preoccupazioni diffuse sull’effettiva solidità di altri istituiti finanziari. Questo provocò un forte aumento della percezione del rischio per gli operatori del mercato, determinando un’ulteriore riduzione nella concessione di linee di liquidità nei canali interbancari e provocando conseguentemente un aumento aggiuntivo nei tassi di interesse. In breve tempo la crisi si estese dal mercato dei prodotti strutturati al mercato azionario ed in particolare ai titoli delle società finanziarie, fino ad influenzare l’economia reale provocando un collasso nei tassi di occupazione e conseguentemente nel reddito delle famiglie, con inevitabili ripercussioni sui consumi e sugli investimenti. Il concatenarsi di queste cause mostra come, la crisi finanziaria del 2008 sia di tipo endogeno, causata cioè dalla fragilità strutturale del sistema finanziario stesso, a differenza di quanto riscontrabile per la crisi pandemica. Inoltre, l’altra grande differenza tra la crisi di liquidità del 2008 e quella economica attuale, è che le conseguenze sull’economia reale, nella crisi finanziaria, sono state causate da uno shock della domanda, mentre oggi, le conseguenze sull’economia reale sono dovute ad uno shock negativo dell’offerta che ha comportato uno shock negativo della domanda: il blocco di molte attività influenza negativamente l’offerta riducendola in modo drastico, il che conseguentemente porta ad una diminuzione dell’occupazione e del reddito disponibile causando, indirettamente, uno shock nella domanda. Il premio Nobel per l’economia Joseph Stiglitz ha affermato che le conseguenze della crisi potrebbero risultare più complesse ed incerte di quelle della crisi finanziaria del 2008, a causa anche di questa singolarità della crisi economica dovuta alla pandemia di essere caratterizzata sia da una crisi della domanda che dell’offerta, rendendo più complessa anche l’individuazione di politiche fiscali e monetarie in grado si sostenere domanda ed offerta contemporaneamente: se si interrompe la catena dell’offerta, l’aumento della domanda non può da solo risolvere il problema. Le politiche necessarie a contrastare gli effetti negativi della crisi dovranno quindi essere lungimiranti e mantenere un’ottica di lungo periodo, in particolar modo fondamentale sarà l’attenzione che verrà data allo shock di offerta: nel medio periodo, la persistenza di tale shock non potrà che giocare un ruolo fondamentale, in quanto il perdurare del rallentamento delle attività produttive, che come abbiamo già detto risultano essere fortemente interconnesse a livello internazionale, causerebbe ulteriori fallimenti con conseguenze sul risparmio delle famiglie e sui consumi, innescando circoli viziosi che dovranno essere evitati dall’intervento di politiche economiche atte a mitigare l’impatto della crisi.
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Sostenibilità e resilienza: un'analisi dei fondi di investimento azionari europei durante la crisi pandemica
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Informazioni tesi
Autore: | Tommaso Marzorati |
Tipo: | Laurea II ciclo (magistrale o specialistica) |
Anno: | 2020-21 |
Università: | Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano |
Facoltà: | Economia |
Corso: | Finanza |
Relatore: | Silvia Rigamonti |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 253 |
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