L'interest rate swap. Profili di meritevolezza e liceità
La controversa questione della determinabilità dell’oggetto del contratto di interest rate swap
Aver previamente constatato nel precedente paragrafo:
1) il particolare contesto soggettivo nel quale avviene la stipulazione del contratto in esame, tale peraltro da giustificare un differente trattamento normativo dell’i.r.s. (come si è avuto modo di evidenziare, riconducibile all’interesse generale corrispondente all’esigenza di tutela del cliente retail che, per ragioni legate alla mancanza di una qualifica professionale e quindi alla sussistenza di un’asimmetria informativa rispetto all’intermediario, si presenta quale parte debole del rapporto) rispetto ad altri negozi strutturalmente simili;
2) come la negoziazione possa avvenire tra l’intermediario e diverse classi di investitori, oggetto di specifica disciplina legislativa in base alle rispettive peculiarità e di come ciò sia in grado di aver ripercussioni sull’oggetto della contrattazione;
3) la vigenza di specifiche norme che prescrivono obblighi informativi, procedurali e comportamentali in capo all’intermediario;
4) come tale soggetto sia titolare di un controinteresse, che si atteggia in modo diverso in relazione alla sede di negoziazione dello strumento finanziario;
rende l’interprete consapevole delle singolari caratteristiche degli elementi del contratto in esame; tale consapevolezza è indispensabile per affrontare al meglio l’operazione di qualificazione, nonché quella di valutazione della meritevolezza di tutela e della liceità.
Fondamentali, ai fini appena richiamati, sono altresì la determinazione dell’oggetto della negoziazione e una analisi relativa all’elemento aleatorio presente nel contratto di interest rate swap che, probabilmente, più di ogni altro, svolge un ruolo decisivo nel percorso di qualificazione.
Iniziando la disamina, per ragioni di logica espositiva, dall’oggetto del contratto intorno al quale le parti concludono la negoziazione, si può assumere a punto di partenza il fatto che, vista la mancanza di una puntuale definizione legislativa dell’elemento in questione, diversi orientamenti dottrinali hanno cercato di porre rimedio riportando tale nozione a una serie di significati, spesso eterogenei, tra i quali anche quello costruito a partire dagli effetti principali che il contratto sarebbe in grado di produrre.
Principio generale insito nell’ordinamento è una nozione di oggetto inteso come «prestazione» o «diritto alla prestazione» se si tratta di contratti a contenuto obbligatorio, oppure come «cosa» o «diritto sulla cosa» in ipotesi riconducibili a negozi aventi contenuto dispositivo, principio che non smentisce l’assunto pacificamente accettato per il quale «l’oggetto consiste […] nelle cose o nelle prestazioni mediante le quali si attua la funzione economico-sociale del contratto.»
In conformità di tale orientamento, si può pertanto affermare che oggetto del contratto di interest rate swap (ma anche dei contratti derivati generalmente considerati, nella maggior parte delle negoziazioni) siano elementi riconducibili alle prestazioni consistenti in versamenti in denaro, comprese quelle da rapportare a indicatori come il mark to market, nonché i beni indicati quali sottostanti del contratto da consegnare fisicamente.
Punto focale di una tale affermazione consiste nell’ulteriore assunto che, data la sussistenza di una componente aleatoria (oggetto di specifico approfondimento nel successivo paragrafo), le prestazioni pecuniarie (vale a dire il prezzo attribuito all’attività sottostante) che le parti si impegnano a corrispondersi reciprocamente allo scadere del termine prefissato, non si presentano suscettibili di precisa determinazione al momento della conclusione del contratto.
Tuttavia, a prescindere da ciò, l’entità della suddetta prestazione dovrà comunque risultare determinabile in relazione a indici di riferimento portati all’attenzione dell’investitore nella scheda contrattuale, quali il tasso e il cambio, (nonché ulteriori parametri scelti come riferimento dai contraenti), nonché al supra citato mark to market.
Preliminarmente, risulta appropriato considerare e precisare determinate, seppur sintetiche, nozioni intorno alla natura di tale parametro, per meglio proseguire la disamina intorno all’oggetto del contratto in argomento: il mark to market corrisponde ad una proiezione finanziaria, basata sul valore teorico di mercato del contratto derivato, nell’ipotesi di risoluzione anticipata del medesimo (cioè, il c.d. costo di sostituzione); pertanto, il parametro in questione, non sarebbe da assimilare ad un valore attuale e concreto, ma esclusivamente potenziale.
Si potrebbe affermare infatti che, dando per scontato il carattere aleatorio del contratto di interest rate swap (in attesa di affrontare più approfonditamente tale questione nel paragrafo seguente), e considerando che la funzione alla quale più comunemente adempie corrisponde a quella di gestione del rischio, la sommatoria attualizzata dei differenziali futuri attesi rappresenterebbe «sia pure nella dimensione temporalmente contestualizzata, un differenziale tra contrapposti flussi finanziari, ossia, l’oggetto stesso del contratto.»
Allo stesso modo, bisogna altresì puntualizzare che un tal genere di «proiezione», come si presenta appunto il mark to market, non dovrebbe in alcuna ipotesi essere intesa alla stregua di una «previsione», ma propriamente, quale valore attualizzato mediante il ricorso a complessi schemi e modelli matematici, in relazione ai flussi attesi sulla base dei dati provenienti dai calcoli in tal modo effettuati.
Ne deriva che un tale valore risulta condizionato da una quantità variabile di fattori, il più delle volte con cadenza giornaliera, configurandosi pertanto come costantemente aggiornato, in tempo reale, in base all’andamento dei mercati finanziari.
Come affermato recentemente anche dalla giurisprudenza, il mark to market, configurandosi come appena riscontrato, alla stregua di una «proiezione», non appare in grado di dar luogo a conseguenze giuridiche dal momento che, al di là dei casi di risoluzione anticipata del contratto, non produrrebbe alcun obbligo di pagamento o alcuna concreta perdita in termini pecuniari; di conseguenza, il mark to market assume la capacità di produrre vicende giuridiche esclusivamente nelle situazioni di risoluzione anticipata del contratto, svestendo i panni di «proiezione» fondata sul valore del contratto in relazione al mercato di riferimento e vestendo quelli di una somma che una delle due parti sarà tenuta a corrispondere all’altra, a titolo di indennizzo.
Pertanto, ponendo ancora una volta come scontata la natura aleatoria del contratto di interest rate swap, è da ritenersi che l’ammontare del mark to market non valga a quantificare il profitto dell’intermediario e di conseguenza non sarebbe plausibile l’indirizzo per il quale la sua iniziale misura costituisca il guadagno acquisito dalla banca e la perdita sussistente in capo al cliente indipendentemente dall’andamento del derivato sui mercati, nel corso del tempo.
Come anticipato, anche il mark to market contribuisce alla determinazione dell’oggetto del contratto di interest rate swap e in ipotesi di risoluzione anticipata, (nonché in caso di suo avveramento, dal momento che si tratta di un indice previsionale), produce l’obbligo gravante su uno dei contraenti di versare il c.d. «costo di sostituzione», ovvero il mark to market attualizzato, trattandosi di un evento tanto naturale nella vita del negozio in oggetto da essere previsto in alcune delle poche norme espressamente dedicate ai contratti derivati, nel dettaglio nell’art. 203 T.u.f., il cui comma 2 dispone che, ai fini dell’applicazione dell’art. 76 l. fallimentare (che appunto contempla l‘ipotesi di risoluzione anticipata del contratto di borsa a termine, nella specie, in caso di fallimento di uno dei contraenti), il valore degli strumenti finanziari derivati sia determinato secondo il loro costo di sostituzione, ossia il mark to market.
Riassuntivamente quindi, in tale ipotesi, il legislatore contempla esplicitamente l’evento della chiusura anticipata del contratto derivato, riconoscendo il consequenziale pagamento del mark to market in forma attualizzata.
In un tal contesto, anche se i contraenti siano impossibilitati a determinare il mark to market al momento della stipula a causa della sua repentina e non prevedibile variabilità, da più parti è stato affermato che il regolamento contrattuale debba indicarne il metodo di calcolo e, così inteso, il mark to market assume le sembianze di elemento essenziale ai fini dell’accordo, in quanto concorre a determinare la specifica prestazione dedotta nel contratto derivato e, quindi, il suo oggetto.
Sulla necessità di indicare nel regolamento contrattuale il mark to market, o comunque il metodo per calcolare tale parametro, un certo orientamento in dottrina non ha mancato di registrare che tra i giuristi è acceso un vigoroso dibattito sul punto, affermando come tuttavia l'esplicitazione degli scenari probabilistici e del mark to market, anche se tecnicamente possibile, rimane un’attività verso la quale la banca spesso si presenta come «restia a fornire tali dati (...) che potrebbero essere smentiti ex post, dando spazio a controversie»; inoltre, in base a tale orientamento, «altro è dire che si possa esplicitare nel contratto tali dati, altro che sia necessario farlo per la validità del contratto: quando il sistema dei contratti aleatori non pare che preveda un siffatto obbligo.»
Accennando solo brevemente alla necessità di indicare o meno i suddetti parametri nello schema contrattuale (in quanto tale argomento sarà meglio affrontato nella parte conclusiva dello studio), è da richiamare sinteticamente l’orientamento, che si contrappone a quello appena citato, in base al quale in assenza di una chiara indicazione del mark to market (e di altri parametri) il contratto sarebbe affetto da patologia e soggetto addirittura a nullità per indeterminabilità del suo oggetto.
Conseguenza di una tale ricostruzione è che, omettendo di indicare il criterio in base al quale avviene il calcolo del mark to market, il contratto «nel momento in cui non solo non contiene il fair value, ma neppure ne consente per la complessità del contenuto del derivato una (agevole) determinabilità, implica il venir meno dell’elemento del contratto rappresentato dalla individuazione o individuabilità del perimetro almeno ipotetico dell’alea e così, nei contratti in cui l’oggetto è aleatorio, della determinazione o determinabilità dell’oggetto (nella specie di quella parte di oggetto rappresentata dal differenziale futuro e incerto che la stima del mark to market è propriamente protesa a determinare).»
Nello stesso senso, e pertanto ardito sostenitore della necessità del ricorso a indici previsionali (quali appunto il mark to market), si pone il punto di vista dottrinale che afferma senza indugio che il ricorso alla scienza probabilistica appare quanto mai necessario al fine di permettere all’investitore di valutare la proporzione dell’elemento aleatorio nella conclusione di un interest rate swap.
Tale orientamento afferma infatti che, del resto, «anche il diritto conosce il ricorso alla probabilità» per l’assunzione di una decisione, citando quali esempi di ciò, il disposto dell’art. 348-bis c.p.c. che statuisce che in appello «l'impugnazione è dichiarata inammissibile dal giudice competente quando non ha una ragionevole probabilità di essere accolta», nonché l'art. 503, comma 2°, c.p.c. che dispone che «l'incanto può essere disposto solo quando il giudice ritiene probabile che la vendita con tale modalità abbia luogo» ad un certo prezzo.»
L’indirizzo in questione non ha mancato di sottolineare come, non solo l’ordinamento, ma «anche il giudice conosce in casi sempre più numerosi il ricorso alle probabilità, anche quando non è la legge a prescriverlo», dal momento che, «anche senza considerare l'ambito sterminato dei giudizi sul fumus boni iuris, che sono dichiaratamente probabilistici , noi abbiamo il canone del “più probabile che non” nientemeno che per stabilire se un evento di danno è risarcibile o non, quando sia stato compiuto un illecito civile.»
Lo stesso autore precisa poi come la Corte di Cassazione ha chiarito che il canone delle probabilità deve sempre essere riferito alle leggi probabilistiche comunemente accettate nell’ambito scientifico di riferimento o, in mancanza di tali leggi, ai dati di esperienza relativi alle frequenze statistiche degli accadimenti nell’ambito medesimo e alla «probabilità logica o baconiana.»
Pertanto, anche l’attività valutativa e decisionale del giudice sarebbe facilitata dal ricorso a dati probabilistici, ma ciò non sarebbe in ogni caso sufficiente, e allora procedere mediante criteri logici desunti dal caso concreto si prospetterebbe come necessario al fine di assumere una decisione che accolga la valutazione dei diversi elementi del caso posto all’attenzione del giudice.
Riprendendo le elaborazioni da ultimo esposte, si continua con la delineazione di un interessante parallelismo tra il processo decisionale del giudice e quello del contraente che agisce nei mercati finanziari in quanto, entrambi i soggetti, non possono fare a meno di ricorrere alle leggi probabilistiche di tipo scientifico nell’iter logico che li conduce a prendere una scelta nei rispettivi ambiti.
D’altronde sarebbe assurdo per l’investitore ignorare le leggi probabilistiche quando conclude un contratto derivato con un intermediario che su tali leggi ha costruito lo strumento finanziario, facendo ricorso a specifici modelli matematici.
Tali digressioni si dimostrano estremamente utili a comprendere come il ricorso a scenari probabilistici sia essenziale ai fini dell’assunzione di una consapevole scelta da parte dell’investitore, e quindi a meglio considerare il ruolo ricoperto dal mark to market nella determinazione dell’entità della grandezza economica oggetto di contrattazione tra le parti, essendo tale indice il non plus ultra dell’applicazione della scienza matematica alla stipula di un contratto.
L’altra faccia della medaglia è costituita dal bisogno indifferibile di esplicitare un tale dato nello schema contrattuale o almeno, come da più parti affermato, i criteri e le modalità di calcolo del medesimo.
A tal proposito, è doveroso ancora una volta, il riferimento all’art. 23 T.u.f. che afferma la nullità di tutte le «pattuizioni di rinvio agli usi, per la determinazione del corrispettivo dovuto dal cliente e di ogni altro onere a suo carico»; di conseguenza, se il contratto di investimento faccia espresso riferimento alla determinazione operata in base alla prassi, tale clausola è sicuramente nulla.
In altri termini non sarebbero ammissibili, dovendo essere dichiarate nulle, le clausole contrattuali (e, specularmente, i contratti) che, per la determinazione delle prestazioni pecuniarie alle quali i contraenti sono tenuti o del mark to market, operassero un richiamo a formule non espressamente indicate nel contratto e di cognizione esclusiva dell’intermediario.
A maggior ragione, saranno da dichiararsi nulli i contratti nei quali neanche il potere di determinazione abbia fondamento in una specifica disposizione contrattuale dal momento che, in ipotesi del genere, il valore attribuibile al mark to market dall’intermediario sarebbe «sostanzialmente non verificabile e, quindi, rimesso alla rilevazione arbitraria di una delle parti del contratto.»
A conclusione di una prima parte della disamina in ordine all’oggetto del contratto di interest rate swap, il punto va posto sull’assunto per cui il contratto dovrebbe indicare, a pena di nullità, i criteri di calcolo o, in alternativa, i c.d. «modelli matematici» necessari a determinare con certezza le prestazioni pecuniarie dei contraenti, compreso quindi il mark to market.
Difatti l’oggetto, costituito specificatamente nella possibilità di determinare le somme dovute alla scadenza del termine pattuito, è un requisito del contratto la cui determinazione o determinabilità deve sussistere alla conclusione dello stesso e mai successivamente (ex art. 1346 c.c.).
In caso contrario vi sarebbe un invalicabile problema di fondo che, giustamente, il legislatore sanziona mediante la nullità del contratto globalmente inteso.
In relazione alla gravità della sanzione così disposta, va considerato che l’indicazione dei parametri di calcolo supra indicati concorre a definire l’oggetto del contratto; infatti, il costo di sostituzione non sarebbe altro che il c.d. differenziale declinato in alcune delle sue possibili identificazioni applicative, essendo in grado di configurarsi come una determinata modalità di indicazione dell’oggetto del contratto.
Questo brano è tratto dalla tesi:
L'interest rate swap. Profili di meritevolezza e liceità
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Informazioni tesi
Autore: | Antonio Gustavo Mungo |
Tipo: | Laurea magistrale a ciclo unico |
Anno: | 2021-22 |
Università: | Università degli Studi di Catanzaro Magna Grecia |
Facoltà: | Giurisprudenza |
Corso: | Giurisprudenza |
Relatore: | Geremia Romano |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 132 |
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