L'evoluzione e il ruolo del Made in Italy nell'economia italiana dalla nascita all'affermazione dell'Industria 4.0
I Distretti e il Made in Italy
In Italia la tematica del distretto industriale di Marshall trova la sua perfetta applicazione: le produzioni tipiche dell'industrializzazione italiana sono il nucleo di quello che è riconosciuto sui mercati mondiali come il Made in Italy. La produzione manifatturiera italiana è strettamente legata alla provincia grazie ai distretti produttivi attuali che rappresentano l'evoluzione di tradizioni locali nel campo delle lavorazioni manifatturiere e delle pratiche mercantili. Il Made in Italy rappresenta inoltre un universo policromo e variegato: non più soltanto i settori di eccellenza, le cosiddette "4 A" (Arredamento, Automazione, Agroalimentare e Abbigliamento), ma col tempo è riuscito ad affermarsi anche in altri settori (Meccanica, Impiantistica, Elettrotecnica, Chimica, Aerospazio).
I distretti industriali italiani si sono rivelati grandi risorse economiche dal dopoguerra fino agli anni '90 e ancora oggi continuano a mantenere una posizione di rilievo in Europa e nel mondo. Ad esempio, basti pensare che nel 2016 è stato raggiunto il record nel Made in Italy agroalimentare, con 38 miliardi di vendite all'estero, ottenendo inoltre il massimo sui mercati più difficoltosi.
Nel 1946, una ripresa e una ricostruzione economica dell'Italia si rivelava quasi un'impresa impossibile, come Becattini affermava durante una lezione universitaria: il Bel Paese era considerato un paese quasi in via di sotto-sviluppo, devastato dalle divisioni della guerra civile e dai danni materiali portati dal conflitto mondiale e caratterizzato da una divisione sempre più netta tra Nord e Sud; al termine della guerra la penisola versava in gravissime condizioni, era un paese distrutto materialmente e moralmente.
Nessuno si sarebbe aspettato che l'impresa da tanti ritenuta impossibile divenisse realtà: negli anni compresi tra il 1958 e il 1963 si realizzò l'incredibile e miracolosa crescita italiana; sono gli anni del "boom economico", del miracolo italiano. Ed è proprio a partire da questo periodo che in Italia il distretto industriale inizia ad essere visto come possibilità di sviluppo della nostra economia, un modello capace di riunire piccole realtà imprenditoriali e di creare la "terza Italia", rappresentando il 92,2% (130 distretti) della produzione di Made in Italy, che vede la maggioranza nei settori della meccanica (27,0%), tessile-abbigliamento (22,7%), beni per la casa (17,0%) e pelli, cuoio e calzature (12,1%).
L'Italia è protagonista di un'ulteriore impresa e crescita economica in due altri periodi storici successivi: a metà fra gli anni Settanta e Ottanta e successivamente da fine anni Novanta all'inizio dell'anno Duemila; nel corso di questi anni, i distretti industriali italiani hanno creato un modello con elementi e caratteristiche differenti rispetto agli altri distretti europei, quali ad esempio il carattere dinamico delle piccole e medie imprese, la loro presenza capillare sul territorio, in particolare al Nord e al Centro della penisola, le loro specificità territoriali; altra caratteristica distintiva importante è la loro specializzazione produttiva nei settori tradizionali, quali il tessile-abbigliamento o il legno- mobilio, caratteristica che li lega strettamente al Made in Italy, "a quei prodotti di un complesso di settori fortemente associati all'immagine del nostro paese nel mondo quale essa appare attraverso i media". Gli anni Settanta e Ottanta sono caratterizzati dalla presenza di aree che mantengono caratteristiche comuni di omogeneità, ricchezza e prosperità in ambito manifatturiero.
Agli inizi del nuovo millennio i distretti industriali italiani sono protagonisti di una profonda crisi, costretti a delocalizzare parte della loro produzione, venendo meno al rapporto di cooperazione argomentato da Marshall e dall'italiano Becattini. Da qui, la messa in dubbio di un modello che fino a qualche anno prima veniva considerato un'eccellenza del sistema economico italiano, "diviso fra la strada dell'evoluzione, che ne andrebbe a snaturare il più profondo concetto di distretto, o quella dell'adattamento alla globalizzazione"; in realtà, se negli ultimi decenni i distretti industriali italiani sono stati criticati e considerati inadeguati di fronte alle sfide del tempo e delle innovazioni tecnologiche, rappresentano ancora oggi una valida occasione di sviluppo, ritrovandosi nuovamente protagonisti nello scenario economico attuale.
Oggi si contano 141 distretti industriali, nei quali risiede circa il 22% della popolazione italiana. I distretti italiani rappresentano circa un quarto del sistema produttivo del paese; a livello geografico il maggior numero di distretti è localizzato nel Nord-Est (45), il Centro ne conta 38 e il Nord-Ovest 37; per quanto riguarda le isole, gli unici distretti sono in Sardegna e sono 4. La situazione al Sud risulta essere differente, in termini di sviluppo ed evoluzione dei distretti industriali: a causa di un panorama imprenditoriale, economico e culturale profondamente degradato, negli ultimi cinquant'anni si è accentuato il divario Nord/Sud, influenzando anche la crescita dei distretti industriali, che rimangono fermi a 17. [...]
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Informazioni tesi
Autore: | Andrea Zizzari |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2016-17 |
Università: | Università Telematica Pegaso |
Facoltà: | Scienze Economiche e Aziendali |
Corso: | Economia aziendale |
Relatore: | Stefano Palermo |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 46 |
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