Tex – Mex: questioni di sicurezza sulla frontiera Messico / Stati Uniti
I traffici di clandestini
I numeri:
● 350 milioni -> Gli attraversamenti legali ogni anno. E' la frontiera più transitata al mondo
● 500 mila circa -> Attraversamenti clandestini ogni anno
● 500 circa -> I migranti morti nel tentativo di oltrepassare illegalmente la frontiera, nell'arco di un solo anno. In realtà sono molti di più, perché tanti muoiono in zone remote e non vengono mai trovati
● 2.000-3.000 dollari a testa -> Il costo dell'attraversamento clandestino; dipende dalla destinazione e dal Paese di provenienza
● 11-12 milioni ->I latinos senza documenti negli USA [Armato 2006].
Si dice spesso che ognuno ha le sue croci ed il più pulito ha la rogna.
Espressioni queste che cadono a fagiolo quando si parla di immigrazione clandestina, di viaggio nell'incognito, di viaggio della speranza. Espressioni queste ultime, al contrario, troppo spesso consunte dal luogo comune e da una sorta di cinismo occidentale.
Tutto ciò al confine tra Messico e USA, in quella striscia di terra che è un po' come le coste del sud Italia: un approdo continuo di disgraziati vinti dalla disperazione e dalla necessità.
Di chi è dunque la croce? Dello stato che deve ricevere o del clandestino che deve fuggire dal proprio Paese nella speranza di avere quello che gli dovrebbe aspettare per giustizia e natura?
Nel deserto almeno una persona al giorno, di media, continua a morire e ciò accade proprio nelle ultime miglia, quando sono a un passo dal raggiungere le coste americane [Urrea 2008].
Tanti sono i clandestini che hanno tentato di attraversare quel lembo di terra omicida, lungo la famosa autostrada del diavolo, per cercare un' America che gli viene mostrata continuamente e di cui non possono far parte. Tra di loro anche i famosi “14 di Yuma”, ventisei uomini in cerca di un futuro lontano dalle miserie quotidiane in cui sono cresciuti ed hanno vissuto imprecando contro la fortuna e il governo, così abbagliati dalle ali della libertà da lanciarsi follemente convinti di farcela, nella traversata di quel deserto tra Yuma e Tucson, in Arizona, capace di uccidere in poco tempo la speranza e di lacerare il corpo a ogni passo [Urrea 2008].
Essi compiono in realtà un viaggio nel viaggio. La loro è un' avventura drammatica che mostra anche l' attaccamento alla vita, la disgraziata passione per un' esistenza incapace di essere assaporata in Messico e ritrovata in mezzo al caldo infernale, implacabile del nulla in cui questi uomini lottano. Da tale corsa alla sopravvivenza gli ultimi barlumi di razionalità, di lucidità che crollano quando si ritrovano a bere dai cactus ricoprendosi di spine o quando cominciano a bere la propria urina intossicandosi [Urrea 2008].
Insomma, il più pulito ha la rogna. E' la rogna dei politici del Paese da cui si parte: dopo tutto il Messico ama così tanto i martiri quanto detesta confrontarsi sulla disastrosa e disonesta politica che ha costretto alcuni suoi concittadini ad abbandonare le loro case per abbrustolirsi nel deserto occidentale. E' la rogna del Paese che dovrebbe ospitare ma che, simile a molti, nasconde dietro una parvenza di falsa accoglienza, una politica di razzismo e disgregazione. E dove il cittadino comune ignora la tragedia per un “pactum sceleris” con la propria coscienza. E' la rogna dei venditori di fumo, di coloro che approfittano delle necessità e delle disperazioni altrui, per arricchirsi e speculare [Urrea 2008]. Ma c' è anche di più: in uno studio condotto e riportato sulla stampa dell'Arizona si disse che i coyote usavano un nuovo prodotto chimico a basso costo per accelerare la velocità dei clandestini. Si scoprì che erano pillole dimagranti di efedrina, economiche, efficaci e facilmente reperibili. Sembra infatti che le sostanze preferite dai coyote siano i brucia-grassi. Una dose di otto pillole a botta mette addosso una carica febbrile [Urrea 2008]. Terribile. Per arricchirsi non si considera la vita degli altri ma si pensa soltanto al proprio benessere.
La storia dei 14 di Yuma è iniziata sotto ad un cartello. Un cartello scritto, su sfondo bianco, in blu, rosso e nero. E rivolto verso sud. Per farlo non hanno badato a spese: “Per i trafficanti i vostri bisogni sono solo un affare e non hanno nessun interesse né per la vostra sicurezza né per la vostra famiglia. Non ricompensateli con le vostre vite!!!”. Quel cartello era stato messo lì dal governo messicano, si trova a Sasabe, Sonora. Per la sua assurdità avrebbe potuto metterlo il governo statunitense. L' arroganza della condotta di Washington è tanto vana quanto quella di Città del Messico. Non c' è nessuna frontiera reale in quel luogo, giusto un filo spinato sbrindellato, una pianura polverosa e dei cespugli fruscianti. Chi si inoltra in quella zona del Messico si imbatte soltanto nel fiumiciattolo Brawley e nelle montagne della Sierrita.
Il cartello di Sasabe, che molti non riescono nemmeno a leggere, è l' unica iniziativa che il Messico sta attuando per cercare di fermare le migrazioni. L' esercito messicano controlla la frontiera, o almeno dovrebbe; i soldati, però, nessuno li vede, forse perché i trafficanti se li comprano. Soprattutto se si considera che hanno molti più soldi di quelli che a Città del Messico decidono di mettere i cartelli. Che cosa importa ai soldati messicani se gli “alambritas” (cioè i messicani che attraversano la frontiera) se ne vanno in Arizona? Molti di loro potrebbero, a un certo punto, trovarsi nelle stesse condizioni e seguirne le sorti. Per un po' di tempo, il governo messicano ha offerto ai migranti dei kit di sopravvivenza con acqua e spuntini, ma negli Stati Uniti l' iniziativa ha suscitato tale clamore che hanno dovuto sospenderla. Gli americani, in quel cestino da pic-nic, ci hanno visto contemporaneamente un tentativo di soccorso ma anche un incitamento ad andare. Sono rimasti sconvolti anche dal fatto che i rappresentanti di Città del Messico ci avevano messo perfino i preservativi. Ovviamente dalla capitale messicana la giustificazione fu che il loro era stato un semplice gesto per salvaguardare la salute di tutti. I gringo erano terrorizzati dall'idea che quelli potessero salire non solo per cercare lavoro, ma per le loro figlie, per fare bambini da dare in pasto al welfare. “Vengono per divertirsi, divertirsi, divertirsi!” [Urrea 2008].
Quindicimila persone partono ogni giorno da sotto il cartello di Sasabe. Da lì infondo si deve soltanto oltrepassare una striscia di filo spinato, se non una invisibile linea di sabbia. Nel leggendario punto di confine di El Saguaro spesso non c' è nemmeno il filo. Lungo l' autostrada del diavolo vicino Tinajas Altas, non c' è niente se non il letto di un torrente secco e un cartello che avverte: “State lontani da qui, potremmo essere cacciati a pedate!” [Urrea 2008]. Una donna di nome Ofelia oppure Orelia (dipende da chi ti risponde) Alvarado, gestisce un punto di ristoro a Los Viridos. Molti prima di attraversare il deserto si fermano da lei. Vicino al suo negozio ci sono cartelli che ammoniscono: “Usa prohibido!”. I migranti li guardano, scuotono il capo e continuano. Al limite in spagnolo la scritta potrebbe significare “l' uso è proibito!”. L' uso di che? Della strada? Del cartello? Del deserto? Dello spagnolo? La signora Alvarado non ha mai visto i ventisei di Wellton (altro nome dei 14 di Yuma). La maggior parte dei sopravvissuti dicono di aver attraversato a El Papalote. Un posto fatto di capanne e disseminato di rottami, il cui nome significa “l' aquilone”. Il percorso li ha probabilmente condotti verso le colline di Quitobaquito. Queste ipotesi così contrastanti dovrebbero dare l' idea del perché sia tanto difficile rafforzare le leggi sull'immigrazione lì nei luoghi di confine. Di tutti gli uomini del gruppo entrati negli Stati Uniti e sopravvissuti, nessuno concorda su dove abbiano attraversato. Probabilmente solo uno di loro lo sapeva con certezza, ma era il loro trafficante.
A El Papalote il mito della frontiera può sembrare una ingenua favoletta. Un passo et voilà, sei negli EEUU. Los Etados Unitos. The Yunaites Estaites. Ma non c' è niente lì. Né elicotteri, né soldati, né fuoristrada. C' è la tarantola, ci sono i cespugli di creosoto, una coppia di saguaro morenti, mondezza sparsa, escrementi di migranti e trafficanti dietro cespugli adesso trasformati in tante pepite nero carbone. Nulla.
I trafficanti dicono ai poveri migranti che da lì fino al primo punto di raccolta è solo un giorno di cammino. Se poi dovessero attraversare la riserva dell'Organ Pipe Cactus National Monument si tratterebbe di una semplice passeggiata nel parco. Un paio d' ore e ci si trova ad Ajo, Arizona. Poi una bella bevuta di soda e si è già a lavoro. Quanto potrà essere terribile? Un giorno di sete, forse, un po' di tormento fisico, del resto è così che avevano già vissuto parte della loro vita. Il posto potrà pure risultargli estraneo, ma l' atmosfera, quella sarà proprio come a casa. Dopo tutto, l' America non è un Paese con uno stato chiamato Nuovo Messico? [Urrea 2008].
Il passaggio di migranti è la sola ragione per cui esistono posti come Sasabe o El Papalote o Vidrios. I furgoni carichi di gente si allineano tutti all'ombra degli alberi di cotone, vengono da Altar, da Sonora.
I nuovi coyote sono il prodotto involontario del proibizionismo eccessivo della polizia di frontiera americana e delle politiche di prevenzione. I vecchi, quelli impacciati che trotterellavano verso El Paso e San Diego e la cui missione consisteva nel reperire cassette di Micheal Jackson e frullati al cioccolato da rivendere, non esistono più. La polizia di San Diego ha steso una grande quantità di filo spinato e, a seguire, ha piazzato una massiccia illuminazione che rischiara buona parte di quella terra di nessuno che sta fra Stati Uniti e Messico. Poi, frutto di chissà quale geniale intuizione, ha deciso di sospendere il pattugliamento delle colline e dei fiumi delle vallate della regione. Adesso i fuoristrada vengono parcheggiati a un chilometro dalla dogana lungo il perimetro del filo spinato. Ogni agente rimane a vista del compagno davanti, tenendosi costantemente in contatto. Gli elicotteri sorvolano la zona, si sentono i bip del segnalatore Oscar, agenti con visori notturni perlustrano. A ovest, il filo termina nell'oceano. A est, finisce nel deserto e fra le montagne sperdute [Urrea 2008].
Questo brano è tratto dalla tesi:
Tex – Mex: questioni di sicurezza sulla frontiera Messico / Stati Uniti
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Informazioni tesi
Autore: | Laura Sensi |
Tipo: | Tesi di Specializzazione/Perfezionamento |
Specializzazione in | Magistrale in sicurezza interna ed esterna |
Anno: | 2011 |
Docente/Relatore: | Alessandro Clericuzio |
Istituito da: | Università degli Studi di Perugia |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 129 |
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