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Allegoria sociale

I giovani e la psicologia allegorica

I social network, i nuovi mezzi di comunicazione in generale, vengono visti dai giovani come una sorta di porta d’accesso ad una “seconda vita”, un universo parallelo in cui si rifugiano e si nascondono per sfuggire alla loro incapacità di conversazione faccia a faccia; lo schermo è uno scudo per nascondere fragilità e debolezze.
Grazie a questi mezzi i giovani creano delle aggregazioni basate su legami emotivi, esperienze simili, sottoculture comuni, visioni del mondo condivise; dei veri e propri legami di appartenenza, contesti in cui il singolo può ricoprire ruoli diversi e indossare maschere specifiche.
Questo accade nel contesto dei social network e spesso si riversa nel quotidiano, diviene difficile scindere le molteplici personalità delle quali i singoli si fanno propri.
Un po’ come accade con le maschere tradizionali della commedia italiana, Arlecchino e Pulcinella danno al mondo un’immagine di sé che nasconde quello che potrebbe essere il proprio vero volto. Mostrarsi al mondo difatti potrebbe voler dire concedersi all’invasione dell’estraneo.
La maschera è una protezione dall’esterno, il mascherato non dà mai immagini di se stesso, ma un proprio artefatto.
Questa è una forma detta di psicologia allegorica, uno status in cui l’individuo incorpora in sé la virtualità.
Nascondere il proprio Io è uno scudo dal mondo esterno, una sorta di protezione dal pensiero altrui, nei giovani spesso accade per paura di non essere accettati. Questo comporta che un solo individuo possa indossare al contempo più maschere, così da potersi adeguare a molteplici contesti essendo di rado davvero se stesso.
Quando l’individuo sa di dover essere giudicato da un altro, tende a presentarsi sotto varie forme capaci di modificare l’impressione suscitata nell’altro. Quindi il modo in cui una persona viene percepita dipende non solo dal soggetto percipiente, ma anche dal comportamento del percepito.
Attraverso questo processo si modifica anche il concetto che l’individuo ha di se stesso. L’idea che l’immagine di sé sia qualcosa di costante e immutabile nel tempo non è del tutto vera.
Da un’attenta osservazione è possibile riscontrare degli elementi contradditori nei comportamenti dei giovani appartenenti a questa generazione, nel senso che, mentre da un lato riversano la loro vita negli schermi dei telefonini e dei computer, dall’altro sentono il bisogno di ritrovarsi fisicamente.
Non è raro trovare ammassi di giovani fuori un bar la sera sostanzialmente a “far nulla”, che si fanno compagnia interscambiando banalità, è come se avessero un bisogno fisico di presenza e mentre si “accatastano” come un gregge si sentono capiti.
Ciò accade per un duplice motivo, il primo è che questi loro incontri fungono da “continuità del mondo digitale”, il secondo è che sentono il bisogno di recuperare la fisicità che non si verifica nella virtualità.
È certamente un fenomeno di per sé contradditorio, ma è naturale, i giovani infatti si sentono privati della loro identità, si sentono soli ed isolati e mentre un tempo s’incontravano dinnanzi ad un caffè per discutere d’interessi comuni, oggi s’incontrano per il semplice istinto di non sentirsi soli, ma di sentirsi parte di quel gruppo seppur con il quale non condividono nulla di significativo.
Semplicemente si ritrovano tutti nel medesimo posto perché sanno di incontrare i propri simili, perché ad un certo punto le conversazioni online diventano nient’altro che un mucchio di monologhi che si incontrano artificialmente, ed ecco che ad un certo punto scatta una molla, una reazione di recupero naturalistico. Si ammassano come un branco in cerca di calore e di comprensione, cercando di ritrovarsi nel gruppo e quindi di recuperare un’identità perduta.
Di fatto cercano di evitare il vuoto che hanno dentro e lo fanno attraverso una forma di aggregazione “pacifica”, semplicemente uniformandosi con chi ritengono essere uguali a loro, per sentirsi meno soli e meno vuoti, dinnanzi ad un bar.
Ma come arrivano i giovani ad essere così? Molteplici sono i fattori, certamente il percorso è lungo e trova principio nell’infanzia, periodo in cui inizia a formarsi il carattere, ovvero la capacità, che assumerà nella fase di crescita, di controllare la propria indole. I bambini nati nell’ultimo decennio crescono a stretto contatto con il mondo digitale, il quale li influenza particolarmente sia dal punto di vista formativo che emotivo, questo cambia il loro modo di interagire con il mondo circostante nell’infanzia, nell’adolescenza e nell’età adulta.
Il mondo delle tecnologie ha influito anche sul modo di “formare” il bambino. Soprattutto nelle scuole elementari, ad esempio, vengono proposti dei comportamenti improntati a far sì che il bambino impari a socializzare, che impari a sviluppare il proprio carattere, ma in realtà viene talmente posto poco dinnanzi ad impegni in cui deve “mettersi alla prova” o agire da solo, che non esercita assolutamente la sua intelligenza naturale.
I bambini si ritrovano in situazioni nelle quali non devono sfruttare la capacità immaginativa o la riflessione, imparano così semplicemente a classificare gli oggetti e i concetti in maniera decontestualizzata, non maturano la capacità di elaborare da soli un concetto, non si sviluppa nella loro mente la capacità di costruire una forma narrativa, essi semplicemente si adeguano e memorizzano, sfruttando così al minimo le loro capacità intellettive e inventive.
Ciò accade perché la formazione, così come un po’ tutto ciò che c’è in questo mondo, ivi comprese le persone, si basa su semplici dati.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Allegoria sociale

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Informazioni tesi

  Autore: Noemi Caracciolo
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2019-20
  Università: Università degli Studi Suor Orsola Benincasa - Napoli
  Facoltà: Scienze Formative, Psicologiche e della Comunicazione
  Corso: Scienze della comunicazione
  Relatore: Giulio Maria Chiodi
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 87

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