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Un daimon in terapia. Le funzioni dell'archetipo vivente.

La pet therapy attraverso il tempo

La preistoria della pet therapy ha origini tutt'altro che recenti. Nell'antico Egitto al dio Anubis, protettore della medicina, era sacro il cane. Ulisse, di ritorno a Itaca, viene riconosciuto solo da Argo, il cane anziano che lo attende per morire. Asclepio, dio greco della medicina si serviva del cane e del serpente per curare ogni male. La lingua del cane, il suo leccare le ferite del corpo e dell'anima, viene usata dal proverbio francese :" la lingua del cane serve alla medicina". Il primo studio scientifico sistematico nella terapia mediante animali, risale al 1792 quando lo psicologo Tuke decide di promuovere l'autocontrollo mediante l'introduzione di animali da cortile in uno ospedale psichiatrico.
Da allora, fino alla nascita del termine che disciplina un'arte antica quanto complessa negli anni '70 del XX secolo da parte di Levinson, i tentativi sistematici dell'impiego di animali in terapie per la cura dei disturbi psichiatrici e non solo si sono moltiplicati, seguendo di pari passo lo sviluppo industriale, l'urbanizzazione, l'auto esilio delle popolazioni lontano dalla nicchia ecologica. Il binomio uomo-animale assume aspetti contraddittori: da una parte l'animale è il diverso da discriminare e "usare", una funzione o protesi, dall'altra sfonda le mura delle fortezze in cui sono isolati gli altri relitti, i quasi uomini toccati da Dio, gli infermi di ogni genere. E' noto, inoltre, che Freud teneva con sè durante le analisi dei suoi pazienti, nello stesso studio il suo cane, un chow chow. Più noto ancora, però, è che la simbologia animale faceva irruzione e baccano nella stanza degli analisti a partire da Freud in poi, passando per il suo delfino zigurese Jung, fino ad arrivare all'attenzione sistematica degli studi di Hillman.
Il cane sacro, l'immagine vivente dentro e fuori, nei sogni e nella veglia, inizia a svolgere la sua funzione da co-terapeuta solo più recentemente, quando si inizierà a sistematizzare secondo l'ottica predominante che rispecchia lo spirito del tempo, quella scientifica appunto, la molteplicità di accadimenti che culminano in un effetto curativo.
Da quando Levinson, nel 1962, pubblica The dog as a co-therapist, e insieme agli studi degli psichiatri americani Samuel e Elisabeth Corson nel 1975, gli studi scientifici su le TAA (Terapie assistite dagli animali) e AAA (Attività Assistite dagli animali) si concentrano sui correlati neurofisiologici connessi alla relazione interspecifica, avviando una deriva riduzionista e meccanicista della zooterapia (Menna F., 2016). La rilevazione dei neurotrasmettitori, ormoni e altri umori del corpo, risponde sia all'esigenza di rendere autorevole, valida e riconosciuta questa forma di terapia, in quanto solo ciò che è sezionato dal metodo scientifico può ricevere di diritto la cittadinanza nel regno della Verità, Utilità e Realtà. Le cause sono ricercate "dentro" l'uomo, nel corpo, non tra i corpi. Questo entrare nel corpo dell'uomo per ricercare l'effetto dell'animale lì fuori, non esce dalla logica antropocentrica, autoreferenziale e onnipotente dell'umano, colui che misura tutto, secondo scale convenzionali a cui il Tutto, la varietà e la differenza devono con-formarsi. La legge della causa e dell'effetto, inoltre, comporta movimenti unidirezionali e a senso unico, dall'animale lì fuori verso il dentro dell'uomo, nella sua carne. Il cane, dunque, come immagine sacra che appare, che si manifesta nella dirompenza e nello sgomento della sua Alterità, di traduce in sostanze biochimiche dentro l'uomo che aumentano o diminuiscono, influendo ipoteticamente sul comportamento e sul benessere (Hillman J., 2004). Questo modo di intendere la conoscenza, che riduce la complessità e fa implodere l'amplificazione, si inserisce in complesse dinamiche che fanno coincidere il sapere con il potere, che letteralizzano la conoscenza rendendola prassi al servizio della logica materialista (Hillman J. ,2004).
Un approccio di studio eco-sostenibile per la Pet therapy, richiede una riflessione critica e radicale del processo di conoscenza, della sua legittimazione che ne facilita l'agency. Ciò che la zooterapia secondo la visione zooantropologica introdotta da Marchesini in Italia nel corso degli anni '90 inaugura con coraggio è la rivisitazione del concetto di Scienza, mettendone in luce i limiti inevitabili, e rispolverandone le risorse tacite da sempre presenti (Menna F., 2015).
Il modello federiciano messo a punto a Napoli dalla Professoressa Francesca Menna, rappresenta un significativo e ben riuscito tentativo di concettualizzare la pet therapy restando nella cornice di una scientificità rivisitata attraverso l'ottica sistemica, la visione relazionale e l'approccio della complessità (Menna F., 2015).
Così facendo, la zooterapia e i suoi numerosi impieghi, allarga i propri confini, si trasforma e rinnova fino a toccare il mistero. Una scienza, dunque, che non spiega, non dissacra, non imbriglia, ma che rende sacro l'incontro immediato, non pensato, con l'immagine dell'Alter. Più che scienza, perciò, occorre con coraggio rivolgersi alla prescienza, a quell'esperienza sublime non manipolata in cui l'intuizione incontra l'immagine globale e la vive (Hillman J., 2016). [...]

Questo brano è tratto dalla tesi:

Un daimon in terapia. Le funzioni dell'archetipo vivente.

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Informazioni tesi

  Autore: Luca Esposito
  Tipo: Tesi di Master
Master in Zooantropologia esperienziale: il binomio uomo-animale nella pet therapy e nelle attività assistite con gli animali
Anno: 2016
Docente/Relatore: Lucia Francesca Menna
Istituito da: Università degli Studi di Napoli - Federico II
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 36

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