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La questione curda alla luce del diritto internazionale

Il referendum per l’indipendenza del 2017 e i suoi sviluppi

Il popolo curdo, tuttavia, rivendica l’esercizio dell’autodeterminazione esterna al fine di ottenere l’indipendenza. Assodato dunque l’elemento soggettivo, si passa all’analisi del secondo elemento fondamentale all’interno dell’autodeterminazione, la volontà.
Il 25 settembre del 2017 la popolazione dei governatorati curdi di Duhok, Erbil, Sulaymaniyah, Halabja e della contesa area di Kirkuk è stata chiamata a esprimere il proprio voto sulla possibilità per la Regione Autonoma del Kurdistan di divenire uno Stato indipendente. Il risultato è stato netto: il 92,73% di 3.305.925 votanti si è espresso in senso favorevole all’indipendenza, avendo votato il 72,16 % degli aventi diritto. Erano presenti sul luogo svariati osservatori internazionali, non dalle Nazioni Unite o dall’Unione Europea, i quali hanno registrato come “people were free and able to vote peacefully” e come “this was an exercise in democracy in the heart of the Middle East, not a declaration of war”. Peraltro, non è irrilevante, ai fini della legittimità del referendum, che siano state previste procedure per garantire il diritto di voto anche ai curdi residenti all’estero e che complessivamente il tutto sia avvenuto secondo meccanismi trasparenti e chiari.
Se è vero che il quesito referendario faceva esplicito riferimento al concetto di indipendenza, è pur vero che la leadership curda ha sempre, sia prima che dopo la votazione, manifestato l’intenzione di utilizzare la legittimità del referendum per avviare negoziazioni con l’Iraq non per dichiarare l’immediata indipendenza, cosa che infatti non è avvenuta. Si sottolinea inoltre come, sebbene il referendum non sia stato riconosciuto internazionalmente, come si vedrà, nessun attore internazionale abbia contestato la legittimità del referendum in sé, come ad esempio è avvenuto di recente nel caso della Crimea , dove invece è stata messa in dubbio la regolarità della procedura e la sua capacità di testimoniare l’effettivo volere della popolazione.
Il Kurdistan iracheno ha rilasciato un documento ufficiale, denominato The Constitutional Case for Kurdistan’s Independence, dove vengono forniti due ordini di argomentazioni a suffragio della richiesta di indipendenza del popolo curdo.
Il primo ordine di argomentazioni è di carattere interno: si cerca cioè di dimostrare la legittimità, da un punto di vista di diritto costituzionale, del referendum e quindi della rivendicazione indipendentista. Si comprende la ragione di tale strategia: è infatti pacifica l’ammissibilità della secessione nel caso in cui lo Stato che la subisca presti il suo consenso o nel caso in cui addirittura questo diritto sia costituzionalmente garantito; peraltro, in questi casi, il diritto internazionale non risulta neanche interessato, trattandosi di una dinamica interna allo stato. Tra le costituzioni che, eccezionalmente, prevedono una piattaforma per l’esercizio dell’autodeterminazione esterna, non rientra quella irachena. Sebbene nel documento si provi a desumere questa prerogativa ora attraverso le evidenze di taluni fallimenti amministrativi da parte del governo iracheno, ora asserendo come l’Iraq non abbia mai “consumato” l’unione sancita con la Costituzione del 2005, si ritiene che né una secessione possa essere invocata sul piano interno a causa di mere lacune amministrative, né che le stesse, da sole, possano integrare le gross human rights violations potenzialmente giustificative di una secessione rimedio; va verificato pertanto se sussistano violazioni di tali gravità da poter chiamare in causa il diritto internazionale.
Il secondo ordine di argomentazioni assume, per l’appunto, una prospettiva internazionalistica: viene in via preliminare rivendicato come il Kurdistan sia, di fatto, uno stato indipendente dal 1991. Esso rispetta tutti i requisiti della Convenzione di Montevideo, come si è visto pocanzi, ed è intitolato all’esercizio del diritto all’autodeterminazione dei popoli ai sensi della Carta delle Nazioni Unite. Tale pretesa viene a sua volta articolata in due maniere: in primo luogo qualificando il Kurdistan iracheno come un non self-governing territory, ai sensi dell’art. 73 della Carta delle Nazioni Unite, in secondo luogo attraverso la teoria della remedial secession in virtù della storia di “assimilation, ethnic expulsion, genocide, racism and gross human rights violations” che porta le sue ripercussioni fino ad oggi, unita all’assenza di una concreta possibilità di potersi affrancare dallo stato iracheno.
Di particolare interesse risulta essere il riferimento all’art. 73 della Carta delle Nazioni Unite che, come noto, prende ad esame le ipotesi di non self-governing territories. Questi ultimi sono quei territori che non hanno raggiunto una full measure of self-government e nei confronti dei quali gli Stati che li amministrano devono impegnarsi a garantirne l’indipendenza. In effetti, la Risoluzione n. 1541 (XV) del 1960 prevede che l’art. 73 sia da applicarsi prima facie a quei territori geograficamente separati ed etnicamente/culturalmente distinti dal paese che li amministra. Volendo leggere tale disposizione come avulsa dal contesto, i curdi iracheni ben potrebbero rientrare in tali requisiti, possedendo un territorio quasi del tutto separato da quello iracheno ed essendo etnicamente distinti, come già visto. Tuttavia, la nozione di non self-governing territory è strettamente collegata ai quei popoli soggetti a regime coloniale, come si desume anche dalla ormai nota Risoluzione n. 1514 on the Garanting of Independence to Colonial Countries and Peoples, la quale prevede l’obbligo di garantirne l’indipendenza. Peraltro, il riferimento alla separazione territoriale inserito nella Risoluzione non riguarda la necessità dei confini ben distinti, bensì si collega alla già citata salt water thesis, secondo la quale il processo decoloniale doveva riguardare territori che non fossero contigui alla madrepatria. Peraltro, tale teoria si giustifica proprio con il fatto di voler eliminare dal range applicativo delle disposizioni sulla decolonizzazione le rivendicazioni di minoranze interne, come quella curda. Per quanto auspicabile un approccio più elastico all’autodeterminazione in tempi moderni da parte delle Nazioni Unite, anche tramite un’applicazione estensiva dell’art. 73, si deve rimanere fedeli ad un’ottica realista e pertanto risulterebbe eccessivamente fantasioso, data una totale mancanza di elementi normativi e di prassi, ipotizzare un diritto curdo all’autodeterminazione in quanto territorio coloniale.
Per quanto riguarda l’ipotesi della secessione rimedio, si è già detto circa la sua sempre maggiore solidità normativa, anche alla luce di quanto avvenuto in Kosovo e Sudan del Sud. Questo tipo di argomentazione pare ben fondato.
Rispetto alle gross human rights violations necessarie ad integrare la fattispecie, i curdi iracheni ne sono un’antologia. Possono citarsi le politiche di deportazione ed arabizzazione intraprese in seguito al secondo conflitto curdo-turco negli anni Settanta, i tragici eventi legata alla campagna di al-Anfal, intrapresa da Saddam Hussein e che ha visto la morte di un numero compreso tra 50.000 e 180.000 anche con uso di armi chimiche, fino alla violenta reazione in seguito alle ribellioni contemporanee all’invasione irachena del Kuwait che ha necessitato l’intervento dell’UNHCR e la risoluzione “umanitaria” n. 688/1991. Le violazioni, seppur di minore intensità, persistono anche oggi. Tra le varie, non sono state attuate una serie di “remedial measures” che dovevano proprio essere utili a compensare le famiglie delle vittime delle atrocità del passato, così come la lingua curda, pur essendo lingua ufficiale, non viene ancora utilizzata in molti atti ufficiali. È un fatto che le vere gross human rights violations risalgano intorno agli anni Novanta, tuttavia è pur vero che dagli anni Novanta, e dalla Risoluzione pocanzi citata, la zona sia stata di fatto “accompagnata”verso la situazione attuale senza una vera presa in carico della volontà del popolo curdo. Poco prima della consultazione sulla Costituzione irachena del 2005, inoltre, si era tenuto un altro referendum, seppur non ufficiale, nei territori curdi, ed anche in quel caso si era concluso con una netta maggioranza a favore dell’indipendenza. Peraltro, la non infondatezza delle ragioni alla base di uno stato autonomo risiede nel fatto che l’autodeterminazione curda era stata già riconosciuta nei noti artt. 62-64 del Trattato di Sèvres, salvo poi essere rinnegata per mera opportunità politica. Si può inoltre citare l’Autonomy Law del 1970, concordata da Barzani e Saddam Hussein, ritirata inopinatamente quattro anni dopo. Il percorso della storia curda, in definitiva, è costellato da illusorie promesse di autodeterminaizone poi ritrattate e discriminazioni tali da poterlo definire una “oppressed people” intitolata all’esercizio del diritto all’autodeterminazione esterna.
Il tutto, a ben vedere, non risulta affatto antilogico né antigiuridico. Un popolo, quale quello dei curdi iracheni, sulla scorta del diritto all’autodeterminazione che viene garantito “[to] all peoples” e in virtù di sistematiche violazioni di diritti umani e frustrazioni dell’autodeterminazione interna, ha da tempo manifestato la sua volontà di creare un proprio Stato: coerentemente con tale volontà, di recente solo ufficialmente ribadita, ha negli anni costruito una indipendenza de facto (principiata tra l’altro proprio grazie alla risoluzione del Consiglio di Sicurezza!) su un valido territorio, il che fornisce solidità al suo claim visto che, come affermato dall’Indipendent Expert on the promotion of a democratic and equitable international order: “secession presupposes the capacity of a territory to emerge as a functioning member of the international community”. Il KRI, alla luce di queste considerazioni, pare pienamente intitolato alla remedial secession.

Questo brano è tratto dalla tesi:

La questione curda alla luce del diritto internazionale

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Informazioni tesi

  Autore: Angelo Forte
  Tipo: Laurea vecchio ordinamento (pre riforma del 1999)
  Anno: 2019-20
  Università: Libera Univ. Internaz. di Studi Soc. G.Carli-(LUISS) di Roma
  Facoltà: Giurisprudenza
  Corso: Giurisprudenza
  Relatore: Fulvio Maria Palombino
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 200

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Parole chiave

diritto internazionale
diritti umani
curdi
questione curda
autodeterminazione dei popoli
secessione rimedio
storia curda

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