I problemi dei criteri di priorità nell'esercizio dell'azione penale
I rapporti con gli organi di informazione
L’art. 5, d.lg. 106/2006, relativo ai rapporti tra i magistrati del pubblico ministero e gli organi di informazione, non è stato modificato in occasione dell’adozione della l. 269/2006 e permane nel suo testo originario voluto dalla maggioranza di centro destra.
L’articolato normativo è costruito in modo tale da concentrare sul capo dell’ufficio ogni potere di interlocuzione con la stampa; l’art. 5, infatti, prevede, che il Procuratore capo mantiene i rapporti con gli organi di informazione personalmente o tramite delegato (1°comma); che ogni informazione inerente alle attività dell’ufficio deve essere comunicata escludendo ogni riferimento nominativo ai magistrati assegnatari del procedimento (2°comma); che è fatto divieto ai magistrati dell’ufficio di rilasciare dichiarazioni o fornire informazioni circa l’attività giudiziaria dell’ufficio (3° comma); che il Procuratore capo ha il dovere di segnalare le condotte assunte dai magistrati dell’ufficio in violazione del 3° comma ai fini di una loro valutazione in sede disciplinare (4° comma).
In realtà, la disposizione si muove su due coordinate: da un lato circoscrive il numero dei magistrati requirenti che possano intrattenere legittimamente rapporti con gli organi di informazione e, dall’altro, esclude la personalizzazione masmediatica delle attività investigative, attribuendone lo svolgimento all’ufficio in modo impersonale.
La disciplina in esame merita di essere esaminata da due differenti punti di vista: il primo, al quale si riferiscono i commi 1° e 2°, attiene, prevalentemente, ai profili organizzativi dell’ufficio ed alla eventuale delega dei rapporti con gli organi di informazione che il Procuratore capo intende attribuire; il secondo aspetto, che risulta maggiormente evidente dalla lettura dei commi 3° e 4°, attiene invece alla più delicata materia dell’esercizio del diritto di libera manifestazione e di critica da parte del magistrato con riguardo alle attività giudiziarie poste in essere dal proprio ufficio.
Quanto al primo aspetto deve essere evidenziato che il Consiglio, con delibera adottata in data 2 febbraio 2008, ha affermato che “l’esatta interpretazione dell’art. 5 d.lg. 106/2006, in tema di regolamentazione dei rapporti tra Ufficio del Pubblico Ministero ed organi di stampa, è, in stretta aderenza al tenore logico e letterale della norma, nel senso che nelle Procure della Repubblica i rapporti con gli organi di informazione devono essere mantenuti, in maniera esclusiva, dal Procuratore della Repubblica personalmente, ovvero da un unico magistrato dello stesso Ufficio a ciò appositamente delegato”.
Tale orientamento interpretativo appare criticabile, soprattutto con riguardo agli uffici giudiziari di grandi dimensioni, caratterizzati da una grave emergenza criminale, dove le numerose iniziative investigative e giudiziarie vengono assunte quotidianamente e, dove, al fine di assicurare una conoscenza completa ed approfondita degli atti investigativi, le relative notizie non potranno essere patrimonio esclusivo del Procuratore capo.
Per ben modulare sul piano dell’organizzazione interna dell’ufficio le finalità perseguite dalla nuova disciplina si ricorre all’istituto della delega previsto dal 1° comma dell’art. 5, anche in via permanente ed in favore di una pluralità di destinatari purché ben determinati e delimitati nel numero. Tale criterio, delimita e circoscrive nell’ambito di un ufficio di grandi dimensioni il numero predeterminato di magistrati, tutti con certezza individuati, che possono intrattenere legittimamente rapporti con gli organi di informazione e, nel contempo, garantisce il livello necessario di accuratezza e tempestività dell’informazione.
Proprio con riguardo ai profili organizzativi interni all’ufficio di procura, il 2° comma dell’art. 5, stabilisce che l’informazione sull’attività giudiziaria debba essere riferita in modo impersonale all’ufficio, escludendo ogni riferimento ai magistrati assegnatari dei procedimenti.
Dal principio di riservatezza sull’identità del magistrato procedente discende un corollario in tema di partecipazione alle conferenze stampa: non appare compatibile con lo spirito e la lettera del 2° comma dell’art. 5, il quale impone di fornire ogni informazione in modo impersonale, la possibilità di prevedere la partecipazione del magistrato titolare del procedimento, quando questi sia diverso dal Procuratore capo o dal Procuratore aggiunto.
Rimane impregiudicata la possibilità che il magistrato titolare delle indagini collabori nella preparazione della conferenza stampa offrendo elementi informativi ai fini della redazione dei testi e dei comunicati, purché tale attività non assuma una dimensione pubblica o determini l’aggiramento del divieto di legge.
Gli ultimi due commi della disciplina contenuta nell’art. 5, attengono ai diritti e alle libertà del magistrato in tema di esercizio della critica e manifestazione del proprio pensiero sull’attività giudiziaria svolta dall’ufficio di cui fa parte.
In particolare, il 3° comma dell’art. 5, vieta ai magistrati di rilasciare dichiarazioni o fornire notizie agli organi di informazione circa l’attività giudiziaria dell’ufficio, il 4° comma, invece, sancisce l’obbligo per il Procuratore della Repubblica di segnalare al consiglio giudiziario, in vista dei poteri di vigilanza e sollecitazione dell’azione disciplinare, le condotte dei magistrati del suo ufficio contrarie al divieto fissato dal 3° comma.
Ai fini dell’azione disciplinare saranno rilevanti le dichiarazioni rilasciate dal magistrato agli organi di informazione circa l’attività del proprio ufficio.
Del tutto diverse sono, invece, le dichiarazioni rese da un magistrato, diverso dal titolare del procedimento, ed aventi ad oggetto attività giudiziarie del proprio ufficio già note all’opinione pubblica: è evidente che tale tipo di dichiarazioni non interferiscono con la riservatezza delle attività giudiziarie. Per tali tipologie di dichiarazioni non valgono i limiti imposti dal 3° e 4° comma dell’art. 5, in quanto, si riferiscono al diritto di libera manifestazione del pensiero e di critica sull’operato dell’attività giudiziaria che è riconosciuta a tutti i cittadini. Vengono richiamati i soli limiti di continenza espressiva, di veridicità dei fatti posti a fondamento delle valutazioni critiche, di rispetto delle parti processuali e dei magistrati che hanno svolto attività giudiziaria nella vicenda.
Questo brano è tratto dalla tesi:
I problemi dei criteri di priorità nell'esercizio dell'azione penale
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Informazioni tesi
Autore: | Gabriella Venezia |
Tipo: | Tesi di Laurea Magistrale |
Anno: | 2016-17 |
Università: | Università degli Studi di Foggia |
Facoltà: | Giurisprudenza |
Corso: | Giurisprudenza |
Relatore: | Angela Procaccino |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 129 |
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