Eutanasia: rilievi comparatistici dopo la legge 22 dicembre 2017, n. 219
L’eutanasia in Svizzera
In Svizzera l’eutanasia attiva o diretta (direkte aktive Sterbehilfe) è considerata illecita, mentre l’eutanasia indiretta (indirekte aktive Sterbehilfe) e l’eutanasia passiva sono lecite. Il suicidio assistito (Beihilfe zum Selbstmord), invece, non deve essere supportato da motivi egoistici, altrimenti è perseguibile penalmente.
Per iniziare l’analisi della disciplina svizzera, è necessario considerare inizialmente la Costituzione svizzera, che risaliva al 1874, ma nel 2000, dopo un referendum costituzionale, è entrato in vigore un nuovo testo, poiché si era arrivati al punto che la Costituzione materiale differiva notevolmente da quella scritta, anche a causa dell’intervento della giurisprudenza del Tribunale federale di Losanna.
Numerosi erano stati gli emendamenti e le integrazioni in quella originaria, ma questo aveva contribuito solo a renderla troppo densa e non equilibrata, cosicché un intervento era ormai inevitabile.
In particolare, dopo la ratifica da parte della Svizzera della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo nel 1974, il focus principale del legislatore furono i diritti fondamentali, che nel testo precedente erano garantiti solo in modo indiretto, e il diritto alla salute trovò spazio a livello costituzionale e non al solo livello di legislazione ordinaria, come nella maggior parte dei paesi europei.
È una Costituzione molto attenta alle tematiche sociali e ai bisogni relativi alla salute del cittadino, eppure, non fu inserito alcun articolo riguardante il fine vita.
In realtà, a discapito di quanto è radicato nella mentalità comune, la società elvetica è molto restrittiva per quanto riguarda l’elaborazione di leggi su problemi etici (si pensi, per l’appunto, che la legge sull’aborto venne approvata solo nel 2002).
Un altro punto da sottolineare è la libertà lasciata ai singoli Cantoni nella materia di tutela della salute e hanno una propria legislazione sanitaria, dal momento che non esiste sul territorio federale il Ministero della Sanità, mentre l’Ufficio per la Previdenza Sociale e l’Ufficio Federale per la Salute Pubblica rientrano nel Dipartimento Federale per gli Affari interni.
Questa scelta di regolamentare i servizi sanitari in modo decentrato rispecchia il sistema dell’ordinamento svizzero e la volontà di essere più vicino al cittadino, poiché il governo centrale potrebbe non disporre di tutte le informazioni sufficienti per garantire il benessere sociale.
Nel 1996 fu introdotta LAMal, l’assicurazione sanitaria a livello nazionale, che garantisce delle prestazioni base per tutta la popolazione e, per alcuni versi, sposta la regolazione del servizio sanitario dai Cantoni alla Confederazione, ma rimangono decentrati i poteri di fissazione delle norme di accesso al servizio e di tutela della salute. Il sistema così costruito prevede in capo al cittadino il costo della metà dell’assistenza sanitaria.
Questo breve excursus sul sistema sanitario elvetico è utile per comprendere come molte iniziative in tema di eutanasia siano state avanzate inizialmente a livello cantonale per poi diffondersi a livello federale. Come esempio si può citare il Cantone di Zurigo che nel 1977, a seguito del voto favorevole dei suoi cittadini, presentò un’iniziativa volta a legalizzare l’eutanasia chiesta da un malato incurabile in fin di vita, che, tuttavia, venne respinta dal Parlamento Federale, dato che era già prevista la possibilità per il paziente capace di intendere e di volere di scegliere se continuare o interrompere le cure sanitarie.
In Canton Ticino, tra l’altro, è stato decretato che un soggetto di almeno sedici anni potesse decidere se farsi curare o meno, dovendo il medico accettare passivamente qualsiasi decisione.
Per questo motivo, in Svizzera sono presenti ventisei sistemi sanitari differenti e questo limita enormemente anche uno sviluppo omogeneo del sistema delle cure palliative, gestite in modo autonomo dai Cantoni e dalla Società Svizzera di Medicina e Cure Palliative. In questo modo viene lasciato al privato ogni scelta sul fine vita e l’eutanasia non può essere portata a termine in una struttura pubblica.
Questa pratica viene toccata solo indirettamente dal codice che contempla l’omicidio intenzionale (art. 111 c. p.), l’omicidio passionale (art. 113 c. p.) e l’omicidio su richiesta della vittima (art. 114 c. p.).
Non sono disciplinate l’eutanasia attiva indiretta, ossia la somministrazione di sostanze analgesiche con effetto secondario di accorciamento della vita, e l’eutanasia passiva, ovvero l’interruzione di trattamenti vitali in pazienti in stato vegetativo permanente senza speranza di miglioramento.
Tuttavia, su questi punti intervennero le Direttive medico-etiche dell’Accademia Svizzera delle Scienze Mediche, che costituiscono un parametro di riferimento per la valutazione della liceità delle condotte mediche, direttive che vengono utilizzate anche dalla giurisprudenza in caso di lacune normative e in alcuni Cantoni sono considerate fonte di diritto nell’ambito dell’eutanasia. Addirittura a Zurigo la loro violazione è sanzionata penalmente.
L’Accademia rese lecite l’eutanasia attiva indiretta e l’eutanasia passiva, condannando, al contrario, duramente l’eutanasia attiva diretta. Le prime direttive risalgono al 1976, poi revisionate nel 1995 e pubblicate con il nome “Direttive medico-etiche sull’assistenza medica dei pazienti in fin di vita o gravemente sofferenti di disordini cerebrali estremi”, al cui interno troviamo due principi fondamentali: il primo, che l’assistenza al suicidio non rientra tra le pratiche mediche e il secondo, stabilisce il dovere del medico di assistere il paziente, alleviare le sue sofferenze e fare tutto ciò che è in suo possesso per salvargli la vita.
Una nuova direttiva venne emanata quattro anni dopo in tema di cure intensive. Si tratta di quelle situazioni in cui il paziente viene ricoverato in terapia intensiva ed è fondamentale decidere quali cure portare avanti, visto che gli scenari prospettabili potrebbero essere essenzialmente due: o il paziente si salva completamente potendo ritornare ad una vita normale, come precedentemente all’entrata nella struttura ospedaliera, o potrebbe essere costretto ad una vita vegetativa, con conseguente decisione di eutanasia che porta con sé problemi etici e medici.
La direttiva ha l’intento di cercare di definire queste situazioni e il medico dovrà tener conto della volontà presunta del paziente, venendo in contatto anche con familiari, amici e medici che lo hanno avuto in cura. Il medico dovrà considerare
“La qualité de vie future du patient […] uniquement de son point de vue personnel et non dans la perspective de ses proches ou de l’équipe soignante. Le contexte social et les habitudes du patient ne doivent être pris en compte dans le processus décisionnel que dans la mesure où ils pourraient entraver le succès thérapeutique. Les informations supplémentaires recueillies pendant le traitement doivent être intégrées en permanence au processus décisionnel”.
Se dalle varie consultazioni il medico riconosce una volontà del paziente all’interruzione dei trattamenti, procede in questo senso; in caso contrario, la decisione dovrà essere valutata attentamente e presa di concerto con il paziente, se cosciente, altrimenti interverrà il personale sanitario.
La decisione a cui si perviene verrà redatta per iscritto dal medico e consegnata al paziente e ai suoi parenti. Per quanto riguarda i soggetti minori, ci si riferisce alle disposizioni del 1995, facendo ancora leva sulla figura del rappresentante legale, che dovrà comunque mettersi da parte nel caso in cui il minore sia capace di intendere e di volere.
Si dovrà procedere con un accordo tra parenti ed équipe medica nell’eventualità di lesioni prenatali gravi che costringerebbero il bambino ad una vita in ospedale con continue cure, o un’ esistenza legata all’uso di macchinari. Nel caso di contrasti irrisolvibili, interverrà l’autorità tutelare. Dopo l’entrata in vigore delle leggi belga e olandese, l’Accademia ha ritenuto necessario formulare delle nuove disposizioni che fossero incentrate unicamente sul tema del fine vita. Il 27 novembre 2003 fu emanata la prima Direttiva dedicata ai malati in stato vegetativo persistente, o affetti da patologie degenerative in stato avanzato, o, ancora, con gravi danni cerebrali irreversibili. Tutti sono accomunati da una generale incapacità di intendere e di volere. Tuttavia, se le prime due tipologie di pazienti in passato hanno espresso delle direttive anticipate, allora diventano vincolanti per il personale medico presso cui sono in cura, mentre per il terzo tipo si esclude che siano riusciti ad emanare una qualche volontà.
Qualora manchi qualsiasi esternazione precedente in merito alla continuazione delle cure, ci si rivolgerà ai familiari e al medico di famiglia per ricostruire una volontà presunta.
Nel caso in cui sia presente un rappresentante terapeutico, questo avrà il compito di decidere, ma se si trova in conflitto con il rappresentante legale la questione sarà risolta dall’Autorità tutelare.
Alla fine, l’ultima parola spetterà al personale medico curante che, dopo i dovuti controlli, inserirà tutto l’iter decisionale all’interno di un verbale e, in mancanza dei rappresentanti, si dovrà tenere conto dell’interesse del paziente e della sua volontà presunta.
Per quanto concerne le direttive anticipate, ne abbiamo già discusso tramite le Direttive dell’ASSM, ma non esiste una normativa generale, giacchè ai Cantoni è lasciato ampio spazio di regolazione, in particolare i Cantoni di Valais, Ginevra, Lucerna, Neuchatel e Zurigo che hanno normato i diritti del paziente e le direttive anticipate.
È data importanza anche alle cure palliative e la Società Svizzera di Medicina e Cure Palliative ha sottolineato che nella fase terminale della vita sia necessario alleviare le sofferenze del malato, attraverso trattamenti medici e sostegno psicologico, non solo per i malati di cancro, ma estendendo tali strumenti anche a chiunque ne faccia un esplicita richiesta. Purtroppo, sempre a causa della disparità che troviamo all’interno dei Cantoni, è difficile una legislazione unitaria del fenomeno, ma l’intenzione della Confederazione è quella di una collaborazione per raggiungere l’instaurazione di un programma nazionale.
Passando ora al tema del suicidio assistito, nel 2005 sono state emanate le nuove linee guida in tema di “Assistenza dei pazienti terminali”, che sottolineano i compiti e i limiti di assistenza su di un paziente in fin di vita e mutano la posizione sull’aiuto al suicidio, ritenendo fondamentale il rispetto della volontà dell’assistito.
L’art. 4.1 specifica alcuni requisiti che il medico deve verificare per poter prestare assistenza al suicidio: la malattia deve essere letale e ormai alla fine del suo sviluppo e, quindi, che per il paziente la morte sia prossima; devono essere proposti i trattamenti alternativi e, in caso di accettazione, attuati; il malato deve essere capace di intendere e di volere nel momento di esternazione della volontà di morire e tale condizione deve essere verificata anche da una terza persona indipendente.
La morte dovrà essere provocata interamente dal paziente stesso, che viene considerata come non naturale; il processo è documentato e verificato dalle autorità di polizia.
Inoltre, la condizione della sussistenza di una malattia terminale è condizione necessaria per ricevere l'autorizzazione ad ottenere la sostanza letale da iniettarsi.
In generale, per quanto riguarda l’aiuto al suicidio, nell’art. 115 c.p. si legge “Chiunque per motivi egoistici istiga alcuno al suicidio o gli presta aiuto è punito, se il suicidio è stato consumato o tentato, con una pena detentiva sino a cinque anni o con una pena pecuniaria”. Quindi, è necessario che non vi sia alcuna ingerenza esterna nel proposito suicida, dovendo prevalere il principio di autodeterminazione e la scelta consapevole di colui che vuole porre fine alla sua vita e, in più, il giudice dovrà verificare la mancanza di motivi egoistici, altrimenti l’agente potrà essere perseguito penalmente, laddove sussistano vantaggi di tipo personale.
L’aiuto può consistere nella messa a disposizione di un farmaco letale, ma anche nel sostegno psicologico; l’atto deve essere compiuto interamente dal paziente, altrimenti si ricadrebbe nella fattispecie di omicidio.
[...]
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Eutanasia: rilievi comparatistici dopo la legge 22 dicembre 2017, n. 219
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Informazioni tesi
Autore: | Sofia Bozzolan |
Tipo: | Tesi di Laurea Magistrale |
Anno: | 2018-19 |
Università: | Università degli Studi di Padova |
Facoltà: | Giurisprudenza |
Corso: | Giurisprudenza |
Relatore: | Chiara Silva |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 276 |
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