Attorialità e divismo nell'Italia contemporanea: il caso di Pierfrancesco Favino
L’antidivismo italiano
In Italia, infatti, più che un divismo possiamo osservare un antidivismo. Con il finire del Neorealismo, “epicentro di ogni discorso antidivistico”, si era intravisto anche nel nostro Paese uno star system che poteva ricordare quello hollywoodiano. Stiamo parlando dell’epoca di Sofia Loren, Marcello Mastroianni o Claudia Cardinale, le cui figure funzionavano sia in chiave domestica (si pensi alla commedia all’italiana), sia in chiave di rappresentazione di una certa italianità. Giulia Carluccio e Andrea Minuz affermano che il pubblico italiano era legato a questi attori da un sentimento d’orgoglio e d’affetto. Infatti, gli italiani dell’epoca (ma forse anche di oggi) erano fieri di essere rappresentati da loro in un contesto internazionale, e li percepivano come parte del patrimonio nazionale. Finito, però, questo periodo caratterizzato da uno star system efficace anche se fragile, si proverà a recuperare una qualche forma divistica guardando al piccolo schermo. È in questi anni che si vedono comici nati dal cabaret come protagonisti, divenuti famosi con la televisione. Fino ad arrivare agli anni ’80 dove si inizia a vedere quel processo di culturalizzazione che dura ancora oggi nel nostro cinema contemporaneo. Infatti, lo Stato italiano concede il proprio finanziamento a quei film che sono d’interesse culturale e che quindi, di conseguenza, risultano essere simili per modo di scrittura, immaginari scenici e modo registico.
Questa tipologia di progetto, d’interesse culturale appunto, fa sì che l’antidivismo si affermi in modo ancora più solido. Infatti, come rappresentante di un interesse culturale, l’attore non può assomigliare a quel gruppo di star Hollywoodiane, o a quello della televisione commerciale. L’attore cinematografico italiano diventa una figura che difende i valori culturali e artistici, che sono opposti a quelli della massa. È una figura artistica che con la sua professione si impegna civilmente. D’altronde l’attore sente il proprio mestiere poco riconosciuto, all’interno di un’ottica che da più valore al regista e per questo prova una generale insofferenza, se non anche conflitto, con il tessuto culturale in cui si muove. Il fatto che un attore non sia d’accordo con l’ideale di “vita in quanto rappresentazione” può essere compreso solamente in un contesto come quello italiano. Nel nostro Paese, infatti, si dà molto valore all’anti-professionismo e all’autenticità, che trova le sue radici nel Neorealismo. Tuttavia, come afferma Claudio Bisoni, anche gli antidivi presentano dei meccanismi di costruzioni della propria immagine di star. Individua in particolare quattro fattori che compongono il nostro antidivo italiano. Fattori in parte attribuibili anche alla figura di Favino, come vedremo qui di seguito sebbene la sua figura verrà analizzata nel dettaglio nel prossimo capitolo.
Prima di tutto riscontriamo un’immagine privata debole. Come abbiamo ampiamente affermato in precedenza, la figura della star si forma sia tramite l’immagine cinematografica che quella extra-cinematografica, e grazie all’incontro tra sfera pubblica e vita privata. Negli antidivi italiani manca quest’immagine che va oltre lo schermo, e subentra al suo posto una sorta di riservatezza e di discrezione per quanto riguarda la loro vita privata. Favino stesso, come vedremo, è restio a parlare delle sue vicende personali. Ed è per questo che i discorsi pubblici sull’attore rimandano, in un modo o nell’altro, alla loro passione per il lavoro. Il secondo fattore è l’assenza di media ubiquity, vale a dire la negazione alla sovraesposizione in più media che dovrebbe essere, invece, tipica del divo. Ciò non toglie il fatto che anche l’antidivo deve comunque promuovere sé stesso, soprattutto in un contesto di profonda competizione. Per cui l’antidivo, piuttosto che sfruttare la sua immagine nei vari media, sceglie di legare la sua figura alla sua professione, quasi esclusivamente all’area cinematografica e talvolta anche al terreno della fiction televisiva. Per questa ragione non li vediamo spesso comparire in televisione o particolarmente attivi sui social media, o ancora sulle copertine di riviste popolari. Tuttavia, li vediamo nel piccolo schermo quando vi sono eventi o festival legati a premiazioni cinematografiche. Si pensi allo studio di Bisoni che porta come esempi Toni Servillo e Margherita Buy. In questo contesto gli è “concesso” presentarsi in quanto professionisti-attori, esponendosi anche alla logica della promozione delle celebrità”. Tali eventi diventano “interessanti siti di negoziazioni tra valori contrapposti”. Lo stesso non si può affermare per figure come Pierfrancesco Favino, il quale è presente su molti media anche al di fuori di un contesto cinematografico. Fatto che si noterà all’interno del prossimo capitolo, in cui la sua figura extra-cinematografica verrà analizzata più nello specifico.
Ancora, Bisoni parla di agency personale: l’andare contro l’idea che la star sia “comandata” da terzi che decidono come sfruttare la sua immagine togliendoli ogni controllo sulla sua figura. Aggiungiamo a questo il già citato pregiudizio che l’attore sia una marionetta nelle mani del regista. In risposta a questo problema, l’antidivo si pone come persona che ha il pieno controllo sulla sua immagine. Infatti, appare come un attore che decide da sé quali parti interpretare e quali rifiutare, esattamente come dichiara di agire lo stesso Favino. Solitamente l’antidivo italiano lo vediamo impegnato principalmente in progetti culturali, in film che abbiano un messaggio significativo (come appunto vuole la retorica dei finanziamenti statali). E di nuovo, l’attore di qualità è padrone di sé anche sul set, entrando in relazione con le altre figure artistiche, in particolare con il regista. Il quarto e ultimo fattore è la trasparenza, per il quale gli attori più sono conosciuti per la loro abilità nella recitazione, più riescono ad apportare valore culturale ai progetti in cui collaborano. Proprio per questo, riprendendo i processi di personification e impersonation di Barry King, vediamo come l’antidivo italiano sia maggiormente per il secondo: se l’attore in questione ha una star-image la adatta al ruolo che dovrà interpretare nel film. Si vedrà, infatti, più avanti come Favino riesca ad adattarsi a ogni tipo di personaggio e a ogni genere cinematografico. Per concludere, quindi, la riconoscibilità dell’attore italiano sta nella qualità della sua performance. Ed è in tal senso che possiamo trovare particolarmente calzante per il caso italiano la tripartizione divistica di Christine Geraghty, la quale divide le forme di divismo in tre tipologie differenti: celebrity, professional e performer. Quest’ultima descrive, appunto, l’antidivo italiano: colui che è famoso grazie alle sue abilità e qualità che non rimangono nascoste, ma anzi sono esibite ed esaltate, attirando l’attenzione del pubblico. L’attore in quanto performer è quindi definito dal suo lavoro, ed è spesso associato a degli alti valori culturali di performance teatrali, anche quando l’interpretazione ha luogo al cinema o alla televisione. Esattamente come accade anche per la figura di Favino, soprattutto per quanto riguarda i suoi sketch televisivi, facendolo rientrare nella tipologia del performer.
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Attorialità e divismo nell'Italia contemporanea: il caso di Pierfrancesco Favino
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Informazioni tesi
Autore: | Paola Pitzus |
Tipo: | Laurea II ciclo (magistrale o specialistica) |
Anno: | 2018-19 |
Università: | Università degli Studi di Bologna |
Facoltà: | Lettere e Filosofia |
Corso: | Cinema, televisione e produzione multimediale |
Relatore: | Sara Pesce |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 140 |
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