Il muro di Berlino: storia, memoria, letteratura
Un Muro di Sangue – Il caso di Peter Fechter
La fuga divenne una questione di vita o di morte e purtroppo tante furono le vite umane spezzate a suon di grida e raffiche di mitra.
«Chiunque violi le leggi della nostra Repubblica Democratica Tedesca deve essere richiamato all’ordine, se necessario anche con ricorso alle armi», recitava il protocollo n. 41/61 della riunione dell’Ufficio politico del Comitato centrale della SED tenutasi il 22 agosto 1961.
Le guardie erano tenute a sparare per annientare il fuggitivo in mancanza di altre possibilità per eseguire l’arresto. Se un soldato si lasciava scappare qualcuno senza sparare veniva considerato corresponsabile della fuga e poteva incorrere a dure sanzioni disciplinari. I militari inoltre venivano addestrati anche psicologicamente tramite dottrine ideologiche il cui scopo era quello di radicare nelle loro menti l’odio nei confronti dei fuggitivi.
Le vittime del muro, secondo i dati raccolti dal Centro di Ricerca per la Storia Contemporanea di Potsdam, furono 137. Ma altre organizzazioni arrivano a calcolare oltre 200 vittime, compresi, ad esempio, i soldati di guardia che si suicidarono o i cadaveri senza nome ritrovati nella Sprea. C’è poi chi aggiunge coloro che morirono di attacchi cardiaci o malori d’altro genere a causa degli ossessivi controlli di frontiera tra Berlino Est e Berlino Ovest (circa 250 persone). Oltre che per le numerose vittime citate, il punto più alto di indignazione dei berlinesi, soprattutto ad Ovest, fu raggiunto il 17 agosto 1962 a seguito degli eventi che portarono alla morte di Peter Fechter, un diciottenne lasciato dissanguare sotto gli occhi di centinaia di persone immobili. (Figura 3)
«Una vergogna troppo grande, un danno alla credibilità del regime di Berlino».
Il giovane Peter, insieme all’amico Helmut Kulbeik, aveva deciso di fuggire ad ovest. Il loro piano consisteva semplicemente nel nascondersi in una falegnameria a ridosso del Muro, attendere un momento di distrazione delle guardie, saltare dalla finestra del locale che dava direttamente sul confine, attraversarlo correndo e poi scavalcare il muro per raggiungere la libertà. Non appena saltarono dalla finestra, i primi colpi cominciarono ad esplodere. L’amico Helmut riuscì a salvarsi, mentre Peter rimase come pietrificato dalla paura. I soldati spararono una ventina di colpi, uno dei quali lo trafisse alla schiena e all’addome. Il giovane, ancora vivo, rimase a terra sanguinante proprio di fronte al muro di confine. Molte persone assistettero alla tragedia, e nonostante le sue grida di aiuto, nemmeno uno dei tanti spettatori osò aiutarlo poiché nessuno volle rischiare di calpestare il territorio di Berlino Est e scatenare un conflitto. Anche i soldati rimasero impassibili a guardarlo. «Non è problema nostro», affermò uno di loro.
Nessun soccorso per quasi un’ora e le urla di Peter cessarono: Peter era morto.
Questa lunga ed atroce agonia sconvolse la città più di ogni altro avvenimento. I berlinesi reagirono con proteste e denunciando l’assoluta mancanza di umanità da parte del regime di Ulbricht. La notizia di questa morte, simbolo della disumanità e della brutale negazione della libertà, fece il giro del mondo in poche ore.
Questo brano è tratto dalla tesi:
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Informazioni tesi
Autore: | Gemma Giordano |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2018-19 |
Università: | Università degli Studi Suor Orsola Benincasa - Napoli |
Facoltà: | Lingue e Letterature Straniere Moderne |
Corso: | Lingue e culture moderne |
Relatore: | Paola Paumgardhen |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 68 |
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