Essere persone. I caratteri etico-educativi dell'umano in Bauman e Nussbaum
La dignità umana nella realtà contemporanea: tra antropologia e contraddizione
La nozione di persona a cui fa riferimento Martha Nussbaum è strutturalmente ambivalente poiché affonda le proprie radici su due concetti cardine della filosofia dell’autrice: il concetto di natura umana e il concetto di dignità. Per quanto riguarda il primo di questi due concetti, quello di natura umana, l’approccio della pensatrice è di certo estraneo al classico dibattito filosofico-scientifico che, generalmente, riempie le pagine di interi scaffali di libri in merito.
In effetti, la filosofa statunitense ragiona sul concetto di natura umana nei termini di realizzazione della persona: nell’ottica nussbaumiana, una persona aderisce pienamente alla propria natura umana quando è o si sente realizzata, dunque quando vive un’esistenza che, utilizzando un termine tipicamente nussbaumiano, si definirebbe “prospera”. La Nussbaum rivendica in questo senso il proprio aristotelismo, condividendo la tesi aristotelica secondo cui non è possibile definire un’esistenza umana – e quindi una natura umana – prescindendo dalla nozione di razionalità pratica intrinseca al concetto di eudaimonia. Scrive in proposito la filosofa:
«[…] una concezione che non riconosca la razionalità pratica come elemento costitutivo della vita autenticamente umana è certamente alquanto particolare, almeno nell’ottica di chi adotta con consapevolezza un approccio aristotelico. Pertanto, credo si possa iniziare a comprendere l’importanza centrale della razionalità pratica nell’esistenza di un essere umano semplicemente facendo riferimento all’immagine di sé sviluppata dagli esseri umani – ossia, alle loro convinzioni di fondo relative a cosa significhi vivere un’esistenza propriamente umana.»
Cosa si comprende da queste parole? Certamente traspare un’affermazione, implicita a questo tipo di ragionamento, secondo cui la natura umana ha una radice assiologica prima ancora che gnoseologica. In una prospettiva che, con Paola Bernardini, si potrebbe definire “antirealistico-naturalista”, la pensatrice statunitense nega così che la natura umana possa essere un fatto esternamente determinato e che l’aderire ad essa o meno dipenda dai giudizi di tipo valoriale che la persona ha di sé stessa. Non si tratta però di affermare un relativismo naturalista, poiché l’universalità di quest’idea viene fondata sull’oggettività dei principi base che costituiscono la vita umana. Inoltre, la stessa natura materiale della realtà circostante non viene dalla pensatrice relativizzata, ma viene invece considerata l’unico tipo di natura non dipendente dall’opinione e dalla valutazione della persona. Va però rilevato che la tesi della Nussbaum secondo cui l’aderenza della persona alla natura umana dipenda, in primo luogo, dalla sua aderenza all’immagine che la persona percepisce del proprio appartenere a dei principi fondativi di una vita qualitativamente degna è fondata a sua volta su un’ambiguità linguistica presente nello Stagirita. La Nussbaum fonda il suo concetto di “immagine che la persona ha di sé” sul concetto di endoxa – da intendersi come “opinione” o anche “ciò che è a noi noto” – presente in Aristotele, il quale ammette la possibilità che l’opinione possa avere contenuto conoscitivo. Inoltre, le opinioni, nell’accezione che ne rileva la filosofa all’interno della Fragilità, non sono di carattere descrittivo ma normativo, in particolare quando sono rivolte verso una prospettiva eudaimonistica. Tuttavia, e qui sta l’ambiguità, lo Stagirita non sembra tracciare una distinzione chiara tra endoxa e phainomena, dove con quest’ultimo termine si intende “ciò che è in sé conoscibile”. Quest’ambiguità linguistica non viene sciolta dall’interpretazione della Nussbaum, la quale identifica phainomena ed endoxa.
Nonostante queste criticità teoretiche, però, l’approccio della filosofa non si fa mai carico di un soggettivismo naturalista poiché esistono delle condizioni minime della vita umana che sono innegabili da un punto di vista pratico. Di ciò appare convinta anche la già citata Paola Bernardini, la quale scrive in merito: “Per Martha Nussbaum – così come per Putnam – è invece possibile parlare (non senza ambiguità) di una «oggetività senza oggetto». L’oggettività delle nostre intuizioni, o «opinioni», sulla natura consiste nella loro conformità ad alcuni criteri ideali (quali il criterio della coerenza interna) e non nella loro corrispondenza alla realtà «esterna» alla mente umana. La prova che la nozione di essere umano – o di cittadino – quale individuo capace di ragione e di relazione è «vera» e, dunque, oggettiva risiede secondo Martha Nussbaum nel fatto che chiunque la neghi cade in contraddizione pragmatica con sé stesso”. È innegabile in questa prospettiva la valenza politica che questo concetto di natura umana porta con sé: se infatti la natura umana è dettata dalla qualità della vita umana, è chiaro che un tipo di giustizia distributiva che fornisca a tutti gli strumenti necessari alla sola sopravvivenza non è sufficiente per coprire quel concetto di qualità della vita senza il quale non si può definire nemmeno l’umanità stessa di una vita. Scrive in proposito la filosofa:
«Il principale obiettivo del sistema politico deve quindi essere quello di fornire ai consociati le condizioni necessarie a una vita propriamente umana, un’esistenza informata ai dettami della ragion pratica. Ciò comporta che non è sufficiente fornire cibo e mettere gli individui in condizioni di “pascolare”, ma è necessario piuttosto permettere ai soggetti di scegliere liberamente le modalità attraverso le quali nutrirsi facendo riferimento alla propria razionalità pratica. Analogamente non basta occuparsi delle loro esigenze legate alla percezione in modo meccanico, ovvero metterli in condizione di vedere e sentire. È invece indispensabile mettere gli individui in condizione di utilizzare i loro corpi e i loro sensi con modalità propriamente umane. Inoltre, non è sufficiente fornire ai consociati il minimo indispensabile per porre in essere le loro attività, è piuttosto necessario metterli in condizione di porle in essere bene.»
Nelle stesse pagine la Nussbaum rivendica l’influenza che ha avuto su di lei il Marx dei Manoscritti economico-filosofici del 1844, soprattutto laddove il pensatore tedesco accomunava la condizione del lavoratore alienato a quella delle bestie, negandone di fatto l’umanità e sottolineando come il lavoratore, privato di tutto se non della propria condizione di lavoratore subordinato, non facesse altro che sopravvivere. La condizione del lavoratore descritta dal Marx dei Manoscritti è una condizione esistenziale prima ancora che una condizione economico-politica: il lavoratore si nutre ma non percepisce il senso del gusto poiché il cibo non è che un’esistenza astratta, priva di specificità. [...]
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Essere persone. I caratteri etico-educativi dell'umano in Bauman e Nussbaum
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Informazioni tesi
Autore: | Simone Forcucci |
Tipo: | Tesi di Laurea Magistrale |
Anno: | 2018-19 |
Università: | Università degli Studi di Bologna |
Facoltà: | Scuola di Lettere e Beni Culturali |
Corso: | Scienze Filosofiche |
Relatore: | Riccardo Caporali |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 172 |
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