Differenti traiettorie, medesimo risultato. Gli accordi commerciali e il “more for more” nelle relazioni Centro-Periferia tra UE e Vicinato meridionale. I casi studio di Algeria e Tunisia
L’Unione Europea e il Vicinato
Come già indagato nel primo capitolo, nella parte dedicata alle due versioni della PEV, la presa di posizione dell’Unione Europea rispetto ai fenomeni susseguitisi nella sponda meridionale del Mediterraneo non è stata particolarmente rapida né efficiente. Il principio del “more for more” era fallace nella sua essenza, in quanto postulava una fiducia circa l’affidamento cieco dei Paesi del Vicinato in percorsi eterodiretti definiti da quelli europei. In secondo luogo, l’approccio europeo nel contesto post-rivoluzionario sembrava piuttosto basarsi sul concetto di “less of the same”, ossia venivano applicati gli stessi principi, ma minori fondi venivano sborsati di fronte a una situazione socioeconomica peggiorata e un ambiente politico volatile che avrebbero richiesto una maggiore spinta di intervento. Il problema alla radice era rappresentato dalla discrasia legata al fatto che, nonostante una maggiore disponibilità di fondi, la visione alla base rimaneva la medesima. In tal modo, si creava un crescente differenziale tra la retorica e la pratica dell’aiuto. Nello specifico, il principio “less of the same” si materializzava cristallinamente nell’attuazione del programma SPRING (“Support to Partnership, Reform and Inclusive Growth”), approvato nel 2011 – volto a sostenere i Paesi del Vicinato meridionale che hanno esperito più direttamente il fenomeno rivoluzionario del 2011 e che necessitano di sviluppo economico, basandosi sugli obiettivi già indicati nella Comunicazione Congiunta del 25 maggio 2011 della Commissione Europea A new response to a Changing Neighboourhood, ossia «[…] to support a) democratic transition and institution-building, b) partnership with people and c) sustainable and inclusive growth and economic development.» Come mostra la Figura 19, il programma SPRING ha incontrato, tra i principali fattori che hanno concorso alla riluttanza europea, delle limitazioni in termini di capacità di assorbimento, che hanno influenzato sulla riluttanza europea nell’allocare maggiori esborsi, vedendo una contrazione di impegni nel 2013, laddove tutti i finanziamenti sono aumentati all’indomani delle Rivoluzioni.
L’analisi fino a questo momento ha riguardato cosa emergeva ed emerge in Tunisia e in Algeria e quali siano le rivendicazioni delle popolazioni in quei due Paesi. Questo capitolo riguarda da vicino gli accordi commerciali tra le due sponde del Mediterraneo, ma, per comprendere la dinamica relazionale tra le due parti, manca la riflessione su quello che veniva percepito e perseguito nella sponda settentrionale, a Bruxelles. Per questa ragione è necessario analizzare due questioni preliminari che permettono in parte di capire la motivazione alla base della politica di vicinato europea, ivi compresi i due accordi commerciali oggetto di questo lavoro.
Per tale ragione, nonostante i cambiamenti occorsi nel teatro nordafricano, risulta necessario porsi la domanda iniziale di questo paragrafo: quale democrazia l’Unione Europea cercava di sponsorizzare e sostenere nel Vicinato meridionale? Rispondere a questo quesito richiede un passaggio intermedio, cioè prendere coscienza di come una determinata declinazione del concetto di democrazia – ossia quella liberale – sia arrivata a simboleggiare un ideale, un insieme di valori universali da esportare, avendo come presupposto il fatto che tale forma di governo sia stata alla base della nascita dell’esperimento di successo europeo e quindi sia da emulare altrove. Non è, infatti, un caso che tale sentimento sia sovente espresso nei documenti ufficiali dell’Unione Europea. Partendo da questo concetto, l’analisi della nozione di democrazia coadiuva nella comprensione della distanza tra le istanze sorte dalla popolazione nella Periferia e le ricette calate dall’alto dal Centro. Nella promozione della democrazia da parte dell’UE, la declinazione in senso liberale emerge in due sensi: da un lato, la democrazia in chiave liberale enfatizza un concetto che postula una visione della società come composta di individui, il cui bene sociale primario sono i diritti individuali. Già questa prima concettualizzazione rischia di creare delle difficoltà di comprensione e delle tensioni. In tal senso, la declinazione della democrazia in termini liberali ha conosciuto, a partire soprattutto dal diciannovesimo secolo, un tentativo di correlazione di essa con i concetti di libero mercato e libero commercio. Tuttavia, liberalismo (inteso in senso civile e non sociale) e democrazia non per forza coincidono, nonostante ciò possa apparire controintuitivo, dal momento che il primo si basa appunto su un principio individualistico, laddove la seconda rimanda a un ideale collettivo.
Alcuni autori, come Fareed Zakaria, hanno difatti sostenuto che liberalismo costituzionale e governo democratico non sono necessariamente correlati. Dall’altro lato, per lo meno inizialmente, l’Unione Europea ha commesso un errore poiché si è concentrata principalmente sulla concezione procedurale della democrazia – con missioni di osservazione per l’organizzazione di elezioni, le quali, col tempo, avrebbero condotto alla promozione della democrazia, nonché al rispetto dei suoi principi cardine e al consolidamento delle istituzioni. Sebbene, col tempo, la concentrazione si sia spostata dal mero aspetto elettorale per concentrarsi sulla società nel suo complesso, alcuni aspetti della democrazia liberale non sono stati particolarmente messi in discussione. Riprendendo la prima delle due caratteristiche – ossia la collisione tra un concetto individualistico e uno collettivistico – emerge abbastanza chiaramente come il modello economico di stampo liberale funga da struttura nell’attuazione di un’azione con ripercussioni politiche. Con ciò intendo dire che, partendo da un pensiero economico di riferimento imperniato sull’individualismo e la realizzazione di sé autonomamente dalla collettività, si arriva a una concettualizzazione politica che riflette sull’intera società. Inoltre, va riconosciuto che l’Unione Europea, nella sua azione di promozione democratica, non si pone questioni circa l’applicazione del proprio modello altrove, cioè non lo contestualizza nell’ambiente in cui tale concetto si trova ad agire. L’azione europea viene, dunque, a configurarsi come un’azione messianica non molto diversa dalla mission civilisatrice di epoca coloniale. Così, l’Unione Europea nella sua azione esterna, in questo caso verso il Medio Oriente e il Nord Africa, mantiene un auto-proclamato ruolo trasformatore, all’interno di un auto-percepito eccezionalismo, nei confronti di società e norme diverse rispetto a quelle europee e, nei confronti delle quali, incentivare l’emulazione del modello europeo rimane una costante negli anni. Contestualizzarlo significa in primis considerare le istanze sorte dalle società arabe e il problema alla base del cortocircuito del 2011. È per tale motivo che l’Unione Europea dovrebbe evolvere la propria azione a partire da un concetto specifico che ne influenza la politica: riflessività. Nel caso in specie, significa comprendere come l’azione europea, allo stesso tempo, sia influenzata e influenzi gli obiettivi dell’azione stessa. In senso più ampio implica che l’UE, senza respingere completamente i propri valori, si renda disponibile all’applicazione di essi in contesti diversi e, dunque, a visioni alternative del concetto di democrazia. Da una prospettiva materiale, che l’Unione Europea rifletta sull’allocazione dei fondi verso il Vicinato, i quali spesso non sono andati incontro ai reali bisogni di quest’ultimo, così come espresso dalla popolazione. Infine, bisogna anche sottolineare che promuovere un’azione in un contesto diverso implica aprirsi al dialogo e interfacciarsi con attori diversi. Nel caso dei Paesi arabi, tali attori sono rappresentati, ad esempio, anche dalle forze politiche a vocazione religiosa, superando una riluttanza e uno scetticismo verso l’Islam politico, in parte ricollegabili a un mancato discernimento tra forze islamiste e gruppi estremisti. Data la natura sociale spontanea e non organizzata delle rivolte arabe, risulta altresì importante aprirsi ad attori come studenti, associazioni, lavoratori e sindacati.
Una simile questione necessità di prendere in considerazione visioni differenti del concetto di democrazia e aspetti diversi di essa che meglio si confacciano con la realtà effettiva con cui si ha a che fare. Questo implica tenere in considerazione altri attori che normalmente non sarebbero precipuamente considerati, come già detto, ma anche avere coscienza del momento storico di riferimento, con le istanze a esso collegate e constatare la possibile incompatibilità del proprio modello con le richieste che provengono dal destinatario di quel modello di sviluppo – ossia la popolazione araba. In un suo lavoro sul ruolo della definizione della democrazia all’interno della promozione della stessa, Kurki presenta una classificazione di modelli di democrazia che rispondono a concezioni di partenza differenti e con implicazioni differenti nelle conseguenze pratiche. Tra questi, ne vengono identificati due particolarmente aderenti al concetto presentato in questa analisi: quello sociale, che accoglie alcune strutture e procedure proprie della democrazia liberale, ma aggiunge a esse l’enfasi sulla solidarietà sociale e sullo sviluppo di strutture istituzionali per il controllo democratico sui processi economici; quello partecipativo che, sfida le forme gerarchiche di rappresentazione politica nei sistemi liberal-democratici e pone l’enfasi sul rafforzamento (“empowerment”) della cittadinanza e sulla partecipazione attiva nella società civile, nei luoghi di lavoro e nel processo decisionale pubblico. Come detto, queste concezioni alternative a quella più frequente di stampo liberale hanno implicazioni differenti a vari livelli: anzitutto a livello di comprensione della società e delle relazioni di forza al suo interno, rispetto a cui i modelli sopra espressi si concentrano sulla democratizzazione delle relazioni socioeconomiche, in quanto identificate come principale sito del potere nella società; anche a livello istituzionale questi modelli si distinguono da quello liberale, che riconosce nel sistema partitico ed elettorale il centro della democrazia, poiché cercano di costruire forme dirette e indirette di partecipazione nelle interazioni sociali quotidiane, enfatizzando così il concetto di democrazia su livelli multipli e non limitato soltanto a quello elettorale e rappresentativo.
Pure i valori di fondo divergono rispetto a quelli classici della concezione liberale, infatti i modelli sociale e partecipativo evidenziano l’equità economica e la partecipazione e attiva interazione delle persone quali obiettivi chiave della democrazia. Ciò non deve essere interpretato come un rifiuto totale a priori del modello liberale – almeno per quanto riguarda i due sottolineati –, dato che alcuni di essi fanno riferimento alle medesime istituzioni o cornici, soltanto che percepiscono il modello liberale come incompleto o distorto in favore di taluni interessi a detrimento di altri e, per tale ragione, hanno l’obiettivo di complementare e compensare le mancanze proprie di quel modello. Piuttosto, tali concezioni derivano proprio da una contestualizzazione del più ampio concetto democratico prima delle sue eventuali declinazioni: qualsiasi specificazione di quel concetto, anche quella liberale, lungi dall’essere universale e astratta, proviene ed evoca particolari lotte e politiche sociali e obiettivi politici ricercati da gruppi di persone. Ciò significa dunque che ogni particolare definizione di democrazia è legata in maniera cruciale a contesti sociali e politici.
La difficoltà appartenente alla promozione democratica appartenente all’Unione Europea, nonché la visione da cui essa discende è da ricondurre, a mio parere, a due questioni importanti. La prima di queste riguarda la natura problematica della politica estera dell’Unione Europea, che sarà indagata più avanti. Per quanto concerne la seconda, essa è di carattere sistemico e risente della struttura gerarchica del sistema internazionale e del rapporto tra il Centro e la Periferia che lo caratterizza. In tal senso, l’Unione Europea – il Centro – persegue un modello di promozione che postuli il mantenimento della stabilità nella Periferia, soprattutto se il Paese in questione, come nel caso dell’Algeria, è un importante alleato in termini energetici. Alla luce di quanto detto, considerando gli avvenimenti nella vicina Libia, un’azione europea risoluta verso una reale democratizzazione in Algeria – come ad esempio, un raffreddamento delle relazioni con il regime al potere – metterebbe a repentaglio un’importante fonte di approvvigionamento europea.
Come indicato al principio di questo lavoro di tesi, il tema precipuo è quello relativo al sostegno della democrazia da parte dell’Unione Europea in Algeria e Tunisia, nello specifico analizzando se gli accordi commerciali esistenti o in dibattito tra le due parti possano configurarsi come spinta positiva o accoglimento nei confronti delle istanze sollevate dalle popolazioni dei due Paesi, principalmente in termini di giustizia sociale e riduzione delle distanze socioeconomiche, o se essi non abbiano effetto alcuno, se non addirittura negativo, su tali problemi. Questo richiede un passaggio intermedio che riguarda come la politica commerciale possa intersecarsi con il tema della giustizia sociale.
Questo brano è tratto dalla tesi:
Differenti traiettorie, medesimo risultato. Gli accordi commerciali e il “more for more” nelle relazioni Centro-Periferia tra UE e Vicinato meridionale. I casi studio di Algeria e Tunisia
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Informazioni tesi
Autore: | Luca Bennati |
Tipo: | Laurea II ciclo (magistrale o specialistica) |
Anno: | 2018-19 |
Università: | Università degli Studi di Bologna |
Facoltà: | Scienze Politiche |
Corso: | Scienze Internazionali e Diplomatiche |
Relatore: | Francesco Saverio Leopardi |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 150 |
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