Le pratiche commerciali scorrette nei settori regolati
La pluralità di modelli normativi e di regolamentazione nei settori regolati: tutela o ipertutela?
Dopo aver analizzato accuratamente l’evoluzione del modello di consumatore medio, è utile comprendere come questo si inserisca nella struttura di tutela prevista dal legislatore. È infatti dato certo che se da un lato si sia cercato di prevedere un quadro normativo che avesse come scopo principale la protezione dei diritti dei consumatori, dall’altro risultava difficile bilanciare il grado di protezione che l’evoluzione del quadro normativo descritto.
La questione inerente il grado di tutela concesso al consumatore non gravita tuttavia unicamente intorno al modello precedentemente tracciato di consumatore medio.
Invero, è necessario tornare indietro di qualche passo, all’art. 11 della Direttiva 29/2005/CE che (non) dispone specificamente quali debbano essere gli organi e strumenti di controllo per le pratiche commerciali scorrette, lasciando spazio decisionale agli Stati membri.
Motivo per il quale il legislatore nazionale ha inteso optare per il sistema del c.d. doppio binario di tutela pubblicistico e privatistico attribuendo il primo all’AGCM (secondo quanto disposto dall’art. 27 cod. cons.).
In particolare, in materia di pratiche commerciali scorrette la dottrina si è concentrata prevalentemente sul ruolo svolto dall’Autorità che non esaurisce tuttavia la strumentazione a disposizione del consumatore a tutela dei propri diritti.
Possono infatti individuarsi in aggiunta a quella amministrativa tutele in ambito civile, individuale e collettivo fino ad arrivare persino all’ambito penale. Questa è la rete di protezione attraverso la quale il professionista deve passare per superare il controllo di correttezza delle sue condotte.
È stato precedentemente analizzato l’aspetto amministrativo attribuito in capo all’AGCM. È quindi doveroso offrire una panoramica di quelle che sono le altre garanzie spettanti ai consumatori.
In quest’ottica, necessario cenno deve essere fatto alla tutela collettiva ai sensi dell’art. 140-bis cod. cons.
Prima facie, la ratio di questa norma apparrebbe unica ed evidente: garantire la protezione di interessi unicamente collettivi. Il legislatore ha inteso tuttavia attribuire un ulteriore significato alla disposizione in analisi: la tutela collettiva si inserisce nei casi in cui il consumatore individuale vittima di condotta scorretta, rinunci ad intraprendere un’azione giudiziale perché il costo da sostenere supera di gran lunga il valore effettivo della pratica.
In questo senso la tutela collettiva si pone come strumento utile ad aggirare la barriera posta all’accesso della tutela giurisdizionale.
Invero, l’azione di classe si integra attraverso la somma degli interessi individuali manifestati attraverso un unico grande interesse “superindividuale”, una raccolta di interessi comuni a più consumatori, rappresentati da un soggetto unico quale l’associazione dei consumatori, il cui obiettivo è quello di livellare le divergenze strutturali ed economiche tra professionista e consumatore attraverso l’azione dei consumatori in maniera congiunta.
L’azione di classe si diversifica dalle azioni di categoria, tutelate anch’esse dal codice del consumo, in quanto mira a porre a fianco agli interessi collettivi già garantiti ai sensi degli artt. 134 e 140 del codice del consumo, “diritti individuali omogenei” costituenti appunto la classe di consumatori.
In realtà la disciplina operante in materia di pratiche commerciali scorrette non prevede espressamente la “classe”, ma utilizza il termine gruppo (art. 20 cod. cons.) in apparenza sinonimo, tale per cui l’azione possa essere attivata da qualunque soggetto facente parte del gruppo al quale la pratica scorretta è destinata.
Inoltre, l’azione di classe assicura il diritto al risarcimento derivante dalla pratica commerciale scorretta, non esaurendosi quindi nella mera inibizione del proseguimento della condotta che il giudice ritiene discrezionalmente scorretta.
Occorre tuttavia sottolineare che tale azione è esperibile nel caso in cui la condotta abbia prodotto un danno accertato, ovvero abbia reso inefficaci prestazioni già eseguite.
A differenza di quanto è accaduto nel caso delle fattispecie tipiche di pratiche scorrette ex se con le quali il legislatore ha inteso specificare le singole ipotesi di condotta, non si riscontra il medesimo scrupolo.
Come ampiamente anticipato infatti, il legislatore europeo non ha previsto strumenti di tutela specifici in merito, disponendo che i singoli Stati membri provvedessero a disporre mezzi validi all’attuazione della Direttiva (29/2005).
Questo orientamento appare a prima vista del tutto inusuale considerando la volontà del legislatore europeo di creare un modello di mercato armonizzato volto alla facilitazione delle attività transfrontaliere.
Tale scelta appare ancora più incomprensibile se lo scopo è quello di fornire quanto meno un iniziale grado di tutela minima per i consumatori europei, da integrare successivamente con disposizioni interne.
In questo senso, appare utile evidenziare che l’ordinamento nazionale non prevede un esplicito riferimento normativo.
Pertanto, nel caso in cui venga posta in essere una condotta scorretta attuata da un contratto, sarà compito di un giudice e delle parti ricorrere al rimedio adeguato sulla base del contesto commerciale.
Per avere un quadro più definito, si segnala che le tipologie di rimedi esperibili sono di responsabilità e di validità.
Per quanto concerne i primi, si inserisce un’ulteriore distinzione tra responsabilità precontrattuale, contrattuale ed extracontrattuale sulla base del momento in cui prende avvio la pratica commerciale scorretta.
Si parla di responsabilità precontrattuale nel caso in cui la pratica scorretta si inserisca nella fase di formazione del contratto; diversamente, se la pratica commerciale scorretta ha luogo in sede di fase esecutiva si parla di responsabilità contrattuale.
In ultimo, è possibile esperire altresì un rimedio di tipo extracontrattuale, a seguito della violazione ex art. 2043.
Relativamente ai rimedi di validità è opportuno distinguere tra nullità e annullabilità.
In presenza di contratti conclusi per errore, vizio o dolo derivanti da condotti illeciti posti in essere dal professionista, potrebbe essere intrapresa un’azione di annullamento.
Tuttavia, attenta dottrina ha evidenziato come non sempre le cause di annullamento siano validamente riferibili a fatti integranti pratiche commerciali scorrette.
L’art. 1428 c.c. stabilisce che “l’errore è causa di annullamento del contratto quando è essenziale ed è riconoscibile dall’altro contraente”.
Tuttavia, la riconoscibilità deve essere ponderata sul consumatore medio e non sul singolo individuo.
Relativamente al dolo e alla violenza, infine, il Codice civile richiede rispettivamente parametri quali l’intenzionalità e il timore di chi lo subisce, rendendo ulteriormente complesso l’esercizio di un’azione di annullabilità per il consumatore individuale.
Come precedentemente accennato, tra i rimedi di validità rientra la nullità.
È necessario distinguere tra “nullità di protezione testuale” o “virtuale”.
I giudici di Lussemburgo hanno stabilito la valenza di un’azione rimediale di nullità di protezione testuale nel caso di pratiche commerciali scorrette poste in essere dal professionista in quanto la condotta stessa potrebbe essere di per sé integrante clausola contrattuale in violazione dell’art. 33 cod. cons.
Nei restanti casi è necessario appurare se sia possibile far riferimento alla nullità virtuale ai sensi dell’art 1418 c.c. in violazione di regole di condotta riferite al principio di buona fede.
Infine, qualora la condotta scorretta integri una fattispecie di reato, la tutela del consumatore è protetta da sanzioni penali.
L’analisi fin qui effettuata sulle possibili soluzioni di tutela poste in capo al consumatore spingono ad una riflessione, a parer di scrive, inevitabile.
L’intenzione del legislatore europeo e nazionale di fornire una copertura pressoché totale sulle azioni del consumatore appare in netta contraddizione con l’obiettivo di armonizzazione posto alla base della Direttiva 29/2005/CE.
Se da un lato si è voluto fornire un vasto assortimento di norme che rendessero il consumatore “libero” di scegliere, dall’altro poca attenzione è stata data all’attuazione di modelli sanzionatori validi e unici, lasciando agli Stati l’arduo compito di trovare i giusti strumenti utili alla realizzazione di quegli obiettivi.
Ciò ha comportato un susseguirsi di problematiche relative alla competenza sotto vari profili (precedentemente analizzati).
Un aspetto della questione appare però poco considerato: come brevemente accennato, l’aumento degli oneri nelle transazioni di mercato derivano dalla molteplicità di regole che il professionista si trova a dover rispettare per fornire la protezione al consumatore come previsto dal legislatore.
Tuttavia, il modello di consumatore medio profilato dai giudici e legislatori comunitari, prende spunto dal modello di homo oeconomicus neoclassico, basato quindi sulla razionalità e la ricerca della massimizzazione dell’utilità, integrato inevitabilmente da devianze, ma modellato come soggetto diligente, razionale e avveduto.
Assunto questo, appare evidente che il legislatore intenzionato a proteggere aprioristicamente il consumatore non abbia tenuto conto dell’importanza di equilibrare le capacità del consumatore da lui stesso previste nella tipizzazione del modello, con la crescente e continuo svilupparsi del mercato, in particolar modo internazionale.
Questo brano è tratto dalla tesi:
Le pratiche commerciali scorrette nei settori regolati
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Informazioni tesi
Autore: | Francesca Foti |
Tipo: | Tesi di Laurea Magistrale |
Anno: | 2018-19 |
Università: | UniCusano - Università degli Studi Niccolò Cusano |
Facoltà: | Giurisprudenza |
Corso: | Giurisprudenza |
Relatore: | Eugenio Prosperetti |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 119 |
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