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Un’Indagine Globale Sulle Donne Criminali e sul Sistema di Giustizia Penale

Neonaticidio – Infanticidio - Figlicidio

Il crimine più perpetrato dalle donne resta l’infanticidio, ma con tale termine in realtà si racchiudono 3 crimini:
a) Il neonaticidio, ovvero l’omicidio del bambino nel periodo che va dalla nascita fino alle prime 24h;
b) L’infanticidio, l’omicidio del bambino nel periodo che va dalle prime 24 h fino ad 1 anno di età;
c) Il figlicidio, tutti gli altri casi di omicidi di bambini da 1 anno in su.

La storia è piena di casi in cui le madri hanno ucciso i loro figli, e dopo aver esplicato ogni singolo caso seguirà l’esposizione di casi reali.
Il problema di questo crimen, più precisamente il problema per cui ci disturba tanto questo particolare crimine, è la figura della donna: la donna madre, protettrice della famiglia, in particolare della prole, colei che cura e accudisce i propri figli no che li uccide, alcuni anche brutalmente.
Come si può pensare che un soggetto sì amorevole uccida il proprio figlio, e la domanda che segue è ovviamente mirata a capire cosa succede nella testa di una donna che uccide il proprio bambino.
Secondo diversi studi questo crimine scaturisce da un problema psicologico della donna che vede il nuovo nato non quale essere unico ma come una sua pertinenza, ed essendo una sua appendice, una sua proprietà.
Diversi sono i casi in cui le donne neonaticide non si rendono conto di ciò che avevano fatto neanche dopo sedute psichiatriche.
Vi è un caso, riportato dalla prof.ssa Merzagora in cui una madre ha ucciso la propria figlia perché le vedeva come un mostro, sosteneva fosse affetta la una non meglio definita malattia a causa dei farmaci presi dalla madre in gestazione: il problema è che la bambina non era affetta da nessuna malattia e la madre, nel successivo colloquio con lo psichiatra Lei era convinta di aver ucciso il mostro per far sì che la sua bambina fosse al sicuro a casa.
Non è solo questo tipo di patologia che porta una madre ad uccidere: possiamo infatti prendere ad esempio la negazione della gravidanza. A differenza del caso appena esposto, in questo caso, la madre nega completamente la gravidanza a volte anche per tutto il periodo di gestazione arrivando ad un parto sia inaspettato sia sconvolgente.

In tale circostanza la donna risulta sconvolta emotivamente da qualcosa di inatteso e non ha la lucidità per occuparsi del neonato: non ottenendo le cure dovute il bambino viene trascurato ed in certi casi ne viene così causata la morte.
Di certo la patologia più comunemente associata a questi crimi è la depressione, ma non è l’unica.
Un altro particolare sviluppo in tema di infanticidi si ha con la Sindrome di Medea: questa prende il nome dalla principessa della Colchide, Medea che tradendo il proprio padre aiuta Giasone a rubare il vello d’oro e fugge con esso. Da quest’ultimo Medea ebbe tre figli che uccise per fare un torto a Giasone quando, il re greco Creonte dopo aver proposto a questi di bandire la propria sposa e sposare sua figlia, accetta.
Si ravvede in tale sindrome il bisogno di vendicarsi del compagno infierendo sul bambino, con un delirio di onnipotenza riversato sull’infante: la stessa madre che gli ha dato la vita gliela toglie, perché è considerato di sua proprietà, e quindi ella può decidere della loro esistenza.

Non tutte le patologie delle madri figlicide sono una vendetta verso il partner: ad esempio la Sindrome di Manchaussen per procura è semplicemente una sindrome egocentrica della madre.
Questa sindrome, il cui nome è stato coniato nel 1977 dal pediatra dr. Meadow, intendendo la patologia per cui i genitori, od uno solo di essi, inventano sintomi che i loro figli non hanno o glieli provocano, per esporli ad una serie di accertamenti, esami od interventi che si ripercuotono sul bambino finendo per danneggiarlo, ed in alcuni casi uccidendolo. Lo studio del dr Meadow finì col mostrare una mortalità pari al 20% dei casi studiati.
V’è da dire che lo scopo ultimo del soggetto affetto da Sindrome di Manchaussen per procura non ha come obiettivo quello di cagionare danni od anche la morte del proprio figlio: il fine ultimo è di tipo egocentrico, ovvero far sì che gli altri ( medici, infermieri, familiari e quant’altro) possano vedere quanto sia premuroso ed ansioso questo genitore in relazione alla salute dei propri figli. Di norma sono le madri che più soffrono di questa patologia, ed il fatto che sia così subdola rende difficile distinguere una madre premurosa da una madre abusante con Sindrome di Manchaussen per procura.
Infine, ultimo non per importanza, ma per il suo incremento vi è l’aborto. In altri tempi è stato spesso praticato per difendere l’onore delle famiglie da parti, e quindi figli, illegittimi, ed ha preso ben presto il posto dell’infanticidio: è divenuto legale e sicuro anche per la donna, che non deve quindi attendere la nascita per disfarsene ma può agire per vie legali.
Il problema dell’aborto è un problema più etico che legale: si potrebbe parlarne per giorni senza trovare un punto d’incontro sulla circostanza che differenzia feto da essere umano. L’aborto è omicidio di un essere umano, o in quanto non ancora del tutto formato e quindi non ancora “completamente” vivo è una lesione che la donna fa a se stessa senza uccidere nulla, ed ancora, sotto l’aspetto religioso ci si chiede se abbia un’anima tale esserino. Purtroppo per il nostro studio, non è importante rispondere a tali quesiti, ma chiedersi solo cosa subentra nell’animo della donna che uccide la sua prole.

Sebbene l’elaborato predisponga uno studio globale, non si può qui non richiamare un caso italianissimo: il caso Cogne.
Il delitto rinominato “il caso Cogne” e l’uccisione del piccolo Samuele nella sua casa a Cogne in Val d’Aosta. Il delitto apparve subito efferato, era il gennaio del 2002, da allora molti rilievi, sia sulla scena del delitto, sia psichici sulla mamma sono stati effettati: difatti la madre risultava essere la principale sospettata, poiché era l’unica persona presente o assente se vogliamo. Difatti secondo la signora Franzoni gli accadimenti che successero quella mattina furono i seguenti: lei svegliò entrambi i figli, preparò il grande per andare a scuola e lasciò dormire ancora il piccolo Samuele nel suo letto matrimoniale. Lei riferì di essere andata ad accompagnare l’altro figlio alla fermata dell’autobus e che al suo ritorno aveva trovato il piccolo privo di vita: la prima ad essere chiamata, il medico di famiglia, ipotizzò un aneurisma, ma il 118 capì che le ferite sulla testa del bambino non potevano essere naturali, qualcuno doveva avergliele inferte. Iniziarono così i vari sopraluoghi che portarono ad un processo e ad una prima sentenza: la madre venne condannata a 30 anni col rito abbreviato. Ma si era davvero certi che fosse stata lei, o c’era qualche altra possibilità. In realtà non vi erano altre possibilità poiché i vari sopraluoghi portavano tutti ad una stessa conclusione: nessuno se non la madre era entrato in casa. Questo, fu possibile stabilirlo, anche grazie al fatto che vi era neve fresca quel giorno che non era stata toccata negli altri vari accessi all’abitazione, solo dall’ingresso era possibile entrare od uscire da quella casa.
I familiari della sig. Franzoni non si arresero e ricorsero in appello prima, con una sentenza ribaltone che le ridusse la pena a 16 anni, e in cassazione poi, chiedendo i domiciliari in sostituzione del carcere.
Nel corso dei vari processi la signora è stata sottoposta a varie perizia psichiatriche, di fatto quelle dell’accusa asserivano che fosse affetta da disturbi “border line di personalità ”, cioè il soggetto sta fra la follia e la normalità: costantemente e che forse ,quella volta, la follia ebbe il sopravvento.
Vi sono anche dei casi in cui, pur essendo vittima un bambino, l’omicida non è la madre: questo è il caso di Jill the ripper, al secolo Amelia Dyer.
Una donna povera e sola, dopo la dipartita del marito, che decide di allevare bambini illegittimi di altri facendosi pagare: quelle povere creature con lei hanno subito abusi e violenze, oltre alla trascuratezza che subentrava in caso di bambini malati; tutto ciò è niente al confronto di cosa faceva a quei bambini se la facevano uscire di senno, come sedarli con alcol e droghe finanche ad ucciderli e buttarli a fiume. Dei centinai di bambini che si pensa che abbiano perso la vita con lei, solo 6, purtroppo, sono documentate.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Un’Indagine Globale Sulle Donne Criminali e sul Sistema di Giustizia Penale

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Informazioni tesi

  Autore: Monia Tatti Novelli
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2016-17
  Università: Università degli Studi di Teramo
  Facoltà: Giurisprudenza
  Corso: Scienze giuridiche
  Relatore: Maria Cristina Gianini
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 69

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