Repubblica Romana, Comune di Parigi: momenti del pensiero mazziniano
La Questione Sociale e La Comune di Parigi
L’attenzione posta da Mazzini alle esigenze del popolo, sono sicuramente la base principale per meglio caratterizzare la questione sociale del patriota genovese. Infatti i punti di forza della Repubblica Romana, che avrebbero reso per molto tempo inefficaci gli appelli da Gaeta, erano stati proprio i provvedimenti «concernenti il benessere materiale del popolo». I provvedimenti presi dal Triumvirato, che risentiva dell’influenza notevole di Mazzini, riguardavano soprattutto la riduzione del prezzo del sale e la riduzione ad un baiocco del dazio su esso. La Repubblica Romana non è stata solo esempio di difesa eroica della terra, ma soprattutto di difesa di un concetto, di un’idea, di un insieme di riforme sociali, che come notava un attento commentatore «permettevano a tutte le classi più povere, il popolo minuto e i contadini di identificarsi con un sognato nuovo stato di cose» Non fu fatta solo la riduzione del prezzo del sale come riforma sociale, poiché seguirono l’abolizione delle tasse per il conseguimento dei gradi accademici, la costruzione di un nuovo manicomio, perché compito di un governo civile era di «provvedere al salutare e comodo collocamento di quegli infelici» e soprattutto la soppressione della «manoregia», ovvero il privilegio di procedere sommariamente contro i debitori che rappresentava «un barbaro avanzo del sistema feudale». Mazzini nel saggio La santa alleanza dei popoli, riteneva il popolo come «espressione di un concetto filosofico-religioso e parola sacra dell’avvenire». Il patriota genovese, nel presente saggio, ripercorrendo le principali tappe storiche e in particolar modo la formazione della Santa Alleanza, la lega dei principi, riteneva che ora, nel 1849, fosse «d’uopo contrapporre alla lega dei principi la SANTA ALLEANZA DEI POPOLI. È d’uopo costituire la democrazia. Noi abbiamo oggi istinti, aspirazioni, presentimenti d’alleanza, non alleanza: abbiamo milioni di democratici; non democrazia.»
Mazzini ribadisce ancora che:
I popoli sorgono, combattono soli, cadono soli. […] Manca un vincolo, un segno di fratellanza, un disegno comune. E mentre la fede nella quale giuriamo predica l’associazione come termine fondamentale dell’epoca nuova da sostituirsi al funesto individualismo, noi non siamo come e quanto dovremmo associati. […] Affratellarci diciamo, praticamente. È tempo che relazioni regolari, continue, dirette da un solo centro, rannodino da un punto all’altro d’Europa e d’America quanti combattono e sperano per la santa causa della libertà, quanti adorano il nostro ideale, quanti accettano la nostra formola: UN SOLO PADRONE, DIO; UNA LEGGE SOLA, PROGRESSO; UN SOLO INTERPRETE DELLA LEGGE DI DIO SULLA TERRA, IL POPOLO: duci la virtù e il genio.
Mazzini ritiene che i singoli popoli nelle loro rispettive battaglie non possano trionfare da soli e se il fine principale è quello dell’emancipazione dallo straniero, non bisogna dimenticare che essa comporta come ulteriore conseguenza un mutamento della situazione sociale, poiché secondo Mazzini, non si poteva separare la questione politica dalla questione sociale in quanto «ogni mutamento, ogni rivoluzione che non faccia corrispondere al progresso politico un progresso sociale, che non promuove d’un grado il miglioramento materiale delle classi più povere, viola il disegno di Dio, si riduce a una guerra di fazioni contro fazioni in cerca di una dominazione illegittima.
Il patriota genovese nel successivo saggio Organizzazione della democrazia, del 1850, ritiene che «un progresso importante s’è conquistato fra noi. L’idea espressa nel nostro scritto Alleanza dei popoli è tradotta in atto, e un Comitato centrale europeo, composto d’uomini appartenenti a tutte le nazioni d’Europa e influenti nel campo della democrazia, s’adopera attivamente a promoverne lo sviluppo nella sfera dei fatti.»
La nascita del Comitato, «riducendo a fatto l’idea», con l’alleanza di tutti i popoli e con il fine di raccogliere attorno a sé le forze democratiche europee, secondo Mazzini, avrebbe determinato la ripresa della rivoluzione e la diffusione della democrazia che «porta la parola associazione scritta sulla bandiera». La democrazia, imprescindibile dall’associazione, «ordinandosi ad esercito, presta a promovere pacificamente lo sviluppo progressivo dei popoli dove son liberi i mezzi pacifici, a rovesciar colla forza
la forza dove quei mezzi sono contesi.» Il popolo quindi, per conseguire i propri obiettivi, necessita di associarsi e di farsi portavoce degli ideali democratici. L’ideale democratico infatti è visto come un mezzo, uno strumento, attraverso il quale, il popolo possa o affrancarsi dallo straniero e mutare la propria condizione sociale, oppure seguendone i dogmi, vivere in libertà. Libertà che come Mazzini ricorda «senza associazione genera inevitabile l’anarchia e l’associazione senza libertà è dispotismo, tirannide.» Mazzini vede nel Comitato «l’insieme del movimento sì che un sol popolo non sorga e non soccomba nell’isolamento […] Concetto non nazionale ma internazionale.» Questa vocazione internazionale e questa manifesta necessità di associazione, ricorderanno molto, seppur con differenze che poi analizzeremo, il principio ispiratore della Prima Internazionale del 1864, che ebbe Marx come principale ideatore.
Mazzini però prima di essere un internazionalista, lo aveva dimostrato già con la «Giovine Europa», era prima di tutto italiano e non a caso «allato al centro europeo, a perfezionamento di organizzazione, perché altri popoli si confortino dell’esempio, noi facciam sorgere, il Comitato nazionale italiano.» Il patriota genovese riteneva che:
Il campo italiano si divideva, come sempre, in due parti: gli uomini che s’sostinavano ad aspettare la libertà della patria dalla diplomazia, da disegni arcani di principi ambiziosi o da guerre straniere, e gli uomini ch’erano fermi a cercarla nell’azione delle forze italiane aiutate dell’elemento popolare europeo. A questi soli il Comitato nazionale si rivolgeva: da questi soli chiedeva concentramento ordinato sotto un disegno comune e un’unica direzione; gli altri sarebbero stati trascinati dal fatto.
Mazzini considerava necessaria per l’indipendenza italiana una:
Guerra di tutte le forze regolari e irregolari della nazione, capitanata da uomini di provato amor patrio, diretta da un’autorità suprema sciolta d’ogni obbligo da quello infuori del vincere […] Noi cercheremo promovere questa guerra, e prepararle circostanze propizie, armi e cooperazione di popoli oppressi anch’essi, e ai quali la nostra bandiera, come quella degli insorti Polacchi, dirà: per la nostra libertà e per la vostra. […] Italiani! Fratelli! stringetevi a noi! Escito da un concetto d’accordo e di solidarietà nazionale, il Comitato invoca la fine d’ogni dissidio e aspetta il concorso di quanti vogliono conquistare le costituire la patria. Immense sono le vostre forze, o Italiani, sol che le uniate.
Le parole di Mazzini tuttavia non ebbero effetto, poiché si registrarono subito le dimissioni di Saliceti e Sirtori che non condividevano la concezione della dittatura rivoluzionaria elaborata dal patriota (si parlava infatti di dirigere l’azione attraverso un’autorità suprema). Inoltre, oltre ad essere diviso nella fase gestionale, il Comitato fallendo l’insurrezione popolare antiaustriaca di Milano del 1853, che portò numerosi arresti e condanne a morte, fu sciolto dallo stesso Mazzini poco dopo. Nonostante le critiche ricevute, fra le quali quella di Cattaneo che vedeva la dottrina mazziniana come «una dottrina del martirio fondata sull’ostinazione di sacrificare li uomini coraggiosi a progetti intempestivi e assurdi» tuttavia il moto milanese, seppur fallito, dimostrava secondo Mazzini che «il fremito d’emancipazione era sceso alle moltitudini» e fermo nelle sue convinzioni, fondò il Partito d’Azione. La fondazione del partito venne comunicata da Mazzini nel saggio Agli italiani. Marzo 1853, nel quale oltre ad annunciare, come detto, lo scioglimento del Comitato nazionale italiano, annunciava:
Ogni cospirazione che non tenda all’azione diretta, immediata, è delitto. L’Italia è matura: bisogna fare. Il Comitato è disciolto. Io mi separo per sempre dalla cospirazione officiale, dal lavoro ozioso, indefinito, e nondimeno origine di persecuzioni, prigioni e patiboli ai buoni.[…] Due partiti soli io riconosco oggi in Italia; il partito passivo, partito di tiepidi con qualunque nome si chiamino, partito d’uomini che aspettano la libertà dalla Francia, dalle ambizioni monarchiche; e il PARTITO D’AZIONE, partito d’uomini che intendono a conquistare la libertà in nome e colle forze della Nazione; partito d’Italiani che credono in Dio, sorgente prima di doveri e diritti, e hanno fede nel popolo, potenza viva e continua; partito d’iniziatori che sentono venuta l’ora e sanno che l’Italia è matura a levarsi e vincere per sé e per altrui.
Mazzini inoltre, riteneva che essendo impossibili, perché destinati a venire rapidamente scoperti i tentativi insurrezionali che partissero dai grandi centri urbani, decise (questo il carattere non ufficiale della cospirazione) di puntare su piccole bande di armati che dai luoghi periferici, avrebbero innescato una reazione a catena. Questo dimostra il rovescio del rapporto prima analizzato tra bande e insurrezione, poiché ora l’azione delle bande avrebbe dato via all’insurrezione e non viceversa. Il Comitato democratico europeo invece, non riuscì ad attirare tutte le forze democratiche necessarie per la rivoluzione, poiché, qui entriamo nella disputa sociale, incontrò soprattutto l’opposizione degli esponenti socialisti francesi. Nel 1851, a Parigi, ad opera soprattutto di Lamennais, fu fondato un Comitato democratico francesespagnolo-italiano che aveva chiare connotazioni antimazziniane, in quanto mirava ad aggregare tutte le componenti democratiche dell’emigrazione italiana, che erano entrate in conflitto con Mazzini. La disputa con i socialisti era il riflesso di un rapporto che da anni era già logorato, soprattutto quando Mazzini, nel 1846, scrisse Pensieri sulla democrazia in Europa, nella quale, il pensatore formulava una severa critica ai diversi sistemi socialisti francesi; li riteneva delle variazioni dell’utilitarismo di Bentham, li rimproverava di mettere al di sopra di tutto il miglioramento materiale degli uomini e di trascurare il dovere del miglioramento morale. Inoltre li catalogava come materialisti, oltre a criticarli di dare troppa importanza ai diritti dell’uomo, dimenticando i doveri.
Mazzini riteneva che questi motivi bastassero a ritenere la Francia non più in grado di detenere l’iniziativa rivoluzionaria e su questo assunto molte furono le critiche dei socialisti all’inizio degli anni Cinquanta. Il patriota genovese, inoltre, accusò i socialisti di non aver scatenato un’adeguata reazione popolare al colpo di Stato del 2 dicembre 1851 di Luigi Napoleone Bonaparte che con l’esercito aveva sciolto la Camera, colpevole di respingere il progetto di revisione costituzionale per la rielezione del presidente alla scadenza del mandato. Mazzini, da buon repubblicano temeva che questo colpo di Stato potesse essere il preludio per la fine della Seconda Repubblica e infatti questo accadde nel dicembre del 1852, quando un plebiscito approvò la restaurazione dell’impero e Luigi Napoleone assunse il nome di Napoleone III (veniva incluso nella serie dinastica anche Napoleone II, figlio di Napoleone I, morto in esilio).
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Repubblica Romana, Comune di Parigi: momenti del pensiero mazziniano
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Informazioni tesi
Autore: | Francesco Speranza |
Tipo: | Tesi di Laurea Magistrale |
Anno: | 2015-16 |
Università: | Università degli Studi di Roma La Sapienza |
Facoltà: | Scienze Politiche |
Corso: | Scienze politiche e delle relazioni internazionali |
Relatore: | Maria Cristina Laurenti |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 116 |
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