Il Capitale Umano nella valutazione del Capitale Economico e del Capitale di Funzionamento
Difficoltà pratiche di inclusione del capitale umano nel bilancio d’esercizio
La crescente importanza attribuita al capitale umano, evidenzia l’esigenza di considerare le risorse umane come elemento integrante sua del capitale economico, sia del capitale di funzionamento; circa quest’ultimo punto, nascono delle difficoltà inerenti la possibilità di considerare o meno il capitale umano come un’attività contabile.
Il criterio generale che legittima l’iscrizione in bilancio di un valore immateriale, va ricercato nella “attendibile valutabilità autonoma” del bene stesso
Tale requisito viene disatteso qualora manchi una valutazione certa, quale appunto può essere solo il prezzo pagato per l’acquisto o il costo di produzione sostenuto dall’azienda. In virtù di ciò il Legislatore al fine di evitare stime arbitrarie di tali beni vieta l’iscrivibilità di valori immateriali che non dispongano di un valore oggettivo di riferimento (prezzo di acquisto, costo di produzione).
Inoltre sarebbe disatteso il principio della prudenza, in quanto l’iscrizione nell’attivo di un’entità immateriale che non possiede né un prezzo di acquisto né un costo di autoproduzione, avverrebbe sulla base del presunto contributo offerto alla redditività futura dell’impresa.
Per superare le difficoltà sopra esposte bisogna analizzare l’articolo 2426 il quale riconosce, seppur in via implicita, l’iscrivibilità di specifici oneri attribuibili alle attività umane.
La definizione di “attività umane” in senso contabile si rivela particolarmente complessa in quanto un’attività per essere inclusa nel bilancio deve possedere determinate caratteristiche quali (ZANDA G., LACCHINI M., ORICCHIO G.: Op. cit. pag. 250.):
1. la risorsa deve essere controllata dalla impresa;
2. la risorsa deve avere la capacità di generare benefici economici futuri;
3. la transazione o altro evento che ha dato origine al diritto dell’impresa di usufruire di benefici economici futuri, deve essersi già verificato.
Innanzitutto, circa il primo punto bisogna affermare che il capitale umano non può essere posseduto o venduto dall’azienda e pertanto non può essere riconosciuto come un “attivo” nella contabilità.
Tale considerazione trova conferma nella realtà, in quanto i singoli impiegati di un’impresa possono dare in ogni momento le proprie dimissioni. I tentativi di superamento di tale difficoltà hanno fatto rilevare che è sufficiente per l’azienda la possibilità di utilizzare in modo sistematico i servizi forniti dalle risorse umane, pur nell’ambito dei vincoli insiti nella natura del fattore lavoro, perché si possa attribuire la caratteristica di elemento del capitale a tale fattore (FONTANA F.: Op. cit.).
Infatti, la forza lavoro, essendo costantemente associata con l’azienda può essere considerata in linea massima come controllata dall’impresa.
Con riferimento al secondo requisito delineato in precedenza, ovvero la capacità della risorsa di generare benefici economici futuri, occorre premettere che le imprese sostengono notevoli costi per incrementare la capacità reddituale del fattore lavoro.
Tali spese di ricerca, selezione, assunzione, inserimento, addestramento, formazione e sviluppo del personale non esauriscono i loro effetti nell’esercizio in cui vengono sostenute, trattandosi di investimenti che porteranno benefici in tempi piuttosto lunghi.
Le difficoltà di includere il capitale umano come elemento del patrimonio nascono proprio dalla definizione di tali costi, i quali, essendo a fecondità ripetuta, devono essere capitalizzati.
Altre difficoltà legate all’inclusione del valore delle risorse umane nel bilancio, derivano dal fatto che considerare il capitale umano come attività pluriennale immateriale, implica la necessità di elaborare procedure di ammortamento applicabili ad un bene la cui vita utile presenta una durata aleatoria.
La scelta della durata del periodo di ammortamento dipende dalla possibilità di individuare il periodo di tempo nel quale si manifesteranno i benefici connessi con le immobilizzazioni immateriali acquisite. Le difficoltà di stimare tale periodo, induce ad ancorare il periodo di ammortamento alla durata della permanenza media del personale nell’organizzazione (FONTANA F.: Op. cit.).
In una visione più ampia, il tema dell’ammortamento dei beni immateriali assume rilievo quando la stima di tali beni rientra nel più ampio contesto della valutazione del capitale economico d’azienda. In tale circostanza, se si utilizzano metodi di valutazione misti, “è necessario garantire coerenza logica alle grandezze, rispettivamente, del capitale netto rettificato (comprensivo dell’apprezzamento degli intangible) e del reddito medio normale atteso per il futuro, il quale dovrà tener conto di una eventuale quota di ammortamento dell’intangible, parametrata sul valore corrente di quest’ultimo, sia esso scaturente da procedimenti di valutazione basati sul costo, sul reddito oppure sul mercato” (RENOLDI A.: Op. cit.).
La difficoltà di considerare il fattore lavoro nella categoria del capitale, viene fatta risalire anche alla inesistenza di un mercato di riferimento nel quale possono avvenire le transazioni concernenti le risorse umane, come avviene ad esempio, per i calciatori, a causa della mancanza di un vincolo di proprietà che lega il lavoratore all’azienda. […]
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Il Capitale Umano nella valutazione del Capitale Economico e del Capitale di Funzionamento
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Informazioni tesi
Autore: | Giuseppe Tallini |
Tipo: | Tesi di Laurea |
Anno: | 1994-95 |
Università: | Università degli Studi di Messina |
Facoltà: | Economia |
Corso: | Economia e Commercio |
Relatore: | Francesco Vermiglio |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 75 |
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