Modelli quantistici della mente
La coscienza nella scienza
La psicologia, che assume con Freud un grande peso nella riflessione sulla mente e, per un po’, ne ha quasi il monopolio, condivide con la filosofia il cosiddetto “introspettivismo”, la ricerca sulla mente consiste nel “guardarsi dentro” da parte di osservatori esperti, con tutti i suoi limiti e il prevalere di costruzioni “suggestive” che non riuscivano ad integrare, giustificare e spiegare i risultati acquisiti dalle “scienze positive”. Contemporaneamente al manifestarsi di criticità che lo avrebbero, probabilmente, eroso dall’interno, l’introspettivismo fu letteralmente spazzato via dai behavioristi o comportamentisti, con il loro programma radicale: metodi di osservazione pubblici, che qualsiasi scienziato potesse applicare, e rigorosa limitazione degli ambiti tematici. Gli studiosi del comportamento non dovevano interessarsi di mente, pensiero, immaginazione né di oggetti ipotetici quali simboli o idee. In realtà, nella lettura più estrema, non se ne doveva interessare nessuno perché la ricerca scientifica, basata sull’esperimento condotto su oggetti concretamente osservabili e misurabili, avrebbe spiegato ogni fenomeno senza bisogno di ricorrere a concetti astratti non verificabili “in laboratorio”.
Il behaviorismo dominò per qualche tempo la ricerca, con il riflesso dell’espulsione e della marginalizzazione delle tematiche considerate astratte e prive di fondamenti oggettivi. La reazione non nacque soltanto dall’eccesso di dogmatismo e di vincoli ma, quasi come una nemesi, proprio dall’incompatibilità del modello con i dati sperimentali. Il comportamentismo, in sostanza, sia in psicologia che in neurofisiologia, si fondava su semplici catene associative lineari stimolo-risposta. Lashley, che per primo contesta pubblicamente il behaviorismo ed indica nuove direzioni di ricerca, mostra come le sequenze d’azione sono troppo rapide perché si possa stabilire una retroazione che faccia dipendere ognuna dalla precedente. Anzi, fenomeni quali quei lapsus che anticipano parole che dovrebbero stare molto più avanti nella sequenza del discorso, fanno pensare che vi sia un’organizzazione interna dell’organismo che non segue ma precede un comportamento complesso, una “forma” che lo determina. Inoltre, il modello comportamentista descriveva il sistema nervoso come inattivo e l’attivazione di riflessi isolati solo in presenza di stimolazioni specifiche. Lashley, invece, ritiene che “I tentativi di esprimere la funzione cerebrale nei termini del concetto di arco riflesso, o di catene associate di neuroni, mi sembrano condannati all’insuccesso, poiché prendono l’avvio dall’assunto di un sistema nervoso statico. Ogni elemento di prova disponibile indica un sistema dinamico, costantemente attivo, o, piuttosto, un gruppo di sistemi interagenti”. È la prima manifestazione della direzione di ricerca che porterà alla nascita delle cosiddette “scienze cognitive”, alla quale contribuiranno ricerche innovative in ambiti noti, quali la logica, ma anche in settori del tutto nuovi, quali la cibernetica. Il comportamentismo, perso lo statuto di “dogma”, non è scomparso ma l’approccio delle scienze cognitive è risultato più fecondo, soprattutto per la capacità di integrare ed articolare discipline nuove. [...]
Nel 1936, Alan Turing aveva iniziato le proprie ricerche logico-matematiche che lo portarono, tra l’altro, ad ipotizzare una macchina teorica, la “Macchina di Turing”, in grado di eseguire, in linea di principio, qualsiasi calcolo, e basata su un codice binario. Ogni unità della MT può calcolare una data funzione ricorsiva ma anche simulare il calcolo eseguito da un’altra MT, con la conseguenza di poter ipotizzare una Macchina di Turing Universale in grado di simulare il calcolo di qualsiasi MT. Grazie all’invenzione del λ-calcolo da parte di A. Church, tutte le funzioni computabili del calcolo logico e matematico possono esserlo mediante funzioni ricorsive. La possibilità di memorizzare una lista di istruzioni, un programma, studiata da John Von Neumann, rende concepibile costruire una macchina in grado di replicare esattamente i comportamenti e il processo di pensiero degli esseri umani se, naturalmente, si fosse stati in grado di descriverli correttamente in modo da essere codificati in un programma. Ma questa correttezza poteva essere controllata “operativamente” grazie alla macchina stessa.
Queste idee trovano pratica realizzazione con lo sviluppo dell’elettronica e dei dispositivi che potevano assumere due diversi stati, definiti 0 e 1, come nelle prescrizioni di Turing. Contemporaneamente, McCulloch e Pitts dimostrano che le operazioni di una cellula nervosa e le reti neurali possono essere rappresentate in termini logici e che possono essere costruiti circuiti elettronici in grado di simulare questo modello. I tentativi di imitare il cervello a livello fisiologico non porteranno ad una migliore comprensione delle funzioni superiori, come il rapporto tra pensiero e strategie, ma serviranno ad una migliore comprensione del sistema nervoso.
Norbert Wiener, geniale matematico, unifica i diversi problemi che possono essere riferiti ad un messaggio, indipendentemente dal sistema di trasmissione elettrico, meccanico o nervoso. Grazie all’implementazione nelle macchine di meccanismi di retroazione, era poi
possibile attribuire loro una sorta di “intenzionalità”, che si manifestava nel perseguire degli obiettivi riducendo progressivamente la differenza tra questi e la prestazione. La teoria del controllo e della comunicazione, nelle macchine e nei viventi, prende il nome di “cibernetica”. In altro modo, la progressiva evoluzione della capacità del computer di svolgere funzioni della mente umana, prende il nome di “Intelligenza Artificiale”. Gli studi di logica, di teoria dell’informazione, le teorie del linguaggio, gli studi antropologici e psicologi si lasciano contaminare dalla nuova scienza e la contaminano. Estremamente rilevante è l’introduzione, e la progressiva evoluzione, del concetto di “informazione” che infrange la barriera tra materiale-misurabile e immateriale non soggetto a misura: pur se non è visibile, l’informazione, inversamente proporzionale all’entropia, è perfettamente misurabile.
Contemporaneamente, segue una sua propria linea di ricerca e di sviluppo il campo delle neuroscienze, che si propone di indagare il sistema nervoso e neuronale e presuppone che il mentale stia, per così dire, alla fine del percorso: dal basso verso l’alto, quando si saprà tutto dei neuroni si saprà anche tutto del cervello e dell’attività mentale. È impossibile seguire nei particolari gli sviluppi di ogni singola disciplina, i modelli proposti e le critiche a questi. Per quanto è necessario ad inquadrare le ipotesi del cervello quantistico, è però sufficiente far notare che discipline, modelli e teorie finiscono sempre per aderire a qualcuna delle ipotesi che aveva formulato la filosofia, pur se arricchite e modulate dalle recenti scoperte scientifiche. Non solo: i punti deboli ed i passaggi critici delle nuove idee sulla mente non sono che l’attualizzazione dei problemi già posti e dibattuti dai filosofi che, dunque, tornano ad avere un ruolo determinante nell’organizzazione del sapere.
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Modelli quantistici della mente
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Informazioni tesi
Autore: | Gianmarco Cernuzio |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2016-17 |
Università: | Università degli Studi Europea di Roma |
Facoltà: | Psicologia |
Corso: | Psicologia |
Relatore: | Ettore De Monte |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 78 |
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