Equity-crowdfunding: evoluzione normativa e quali-quantitativa
Il crowdfunding e l’attività d'impresa (progetti imprenditoriali): in particolare, l’equity-crowdfunding
Evoluzione normativa e successo dello strumento sul piano economico
Il fenomeno del crowdfunding ha registrato, negli ultimi anni, un’imponente crescita, con particolare riferimento all’attività imprenditoriale. Ciò in quanto esso si pone come valido ed efficace strumento, alternativo a quelli tradizionali (in particolare, il credito bancario e il c.d. venture capital, ossia il finanziamento da parte del mercato tramite gli investitori), a disposizione dell’imprenditore che necessiti di reperire capitale, al fine di sviluppare un’idea imprenditoriale.
Benché tale espansione abbia interessato, nel complesso, tutte le suesposte forme di crowdfunding (donation, reward, lending, equity), è in particolare l’equity-based crowdfunding ad aver avuto sviluppo maggiore in ambito globale ed europeo, divenendo nel sistema italiano l’unica forma di crowdfunding soggetta ad una regolamentazione specifica, quale «sistema che consente alle imprese di raccogliere capitale finanziario attraverso Internet, offrendo in cambio quote della proprietà dell'impresa e quindi la possibilità di compartecipare agli utili e alla creazione di valore nel lungo termine».
Alla base di tale sviluppo dell’equity-crowdfunding nel sistema italiano si pongono essenzialmente due ragioni di ordine sociale ed economico. Da un lato, la presenza di un consolidato sistema bancocentrico, che ha tuttavia reso, nel corso del tempo, sempre più difficoltoso l’accesso al credito da parte dell’imprenditore, esigendo sempre maggiori garanzie e requisiti: in ciò, lo strumento equity si pone come rivoluzionario, consentendo il superamento del “sistema delle garanzie”, consentendo l’accesso ad un numero potenzialmente illimitato di investitori e la creazione di un c.d. “capitale paziente” (capitale che può essere posto in aspettativa di remunerazione per tutta la durata della strategia di sviluppo). Dall’altro lato, una scarsa e obsoleta cultura finanziaria, che qualifica la figura del commercialista come mero “ragioniere” e non invece come “advisor”, determinando dunque una scarsa consulenza finanziaria. Inoltre, hanno concorso a favorire l’implementazione dello strumento anche due fattori di stampo logistico-operativo: in primo luogo, l’operazione di crowdfunding è piuttosto rapida e non eccessivamente onerosa, poiché i costi dell’operazione sono in genere rappresentati dai costi della piattaforma (spesso costituenti una c.d. success fee, ossia una sorta di provvigione riconosciuta alla piattaforma in caso di esito positivo del finanziamento), dalle eventuali spese per la tenuta del conto corrente vincolato e dagli esborsi per i servizi professionali utilizzati discrezionalmente dall’emittente (consulenti, notaio, etc.); in secondo luogo, il lancio di una campagna di finanziamento collettivo permette ai soggetti attori una grande visibilità, anche internazionale, con un conseguente accrescimento del valore aziendale e un rafforzamento della community dei “portatori di interesse” (c.d. stakeholders).
Vi sarebbe, altresì, una ragione strettamente giuridica in forza della quale l’equity-crowdfunding ha trovato in Italia un’espressa regolamentazione, ovverosia il principio costituzionale di c.d. tutela del risparmio: difatti l’art. 47, comma 1, della Carta Costituzionale sancisce che «la Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l'esercizio del credito». Sul parametro costituzionale è stata compiuta un’approfondita disamina e, sebbene il dettato costituzionale non enunci expressis verbis la latitudine del concetto di “risparmio”, è opinione prevalente in dottrina che esso ricomprenda in sé anche il concetto di “investimento”. In altri termini, un’interpretazione evolutivo-adeguatrice della disposizione costituzionale richiamata induce a ritenere che, nell’ordinamento italiano, il risparmio sia promosso e tutelato tanto nella sua forma “statica” (l’accantonamento), che nella sua forma “dinamica” (appunto, l’investimento).
Quanto all’evoluzione normativa dell’equity-crowdfunding nell’ordinamento italiano, essa si è sinora dipanata sostanzialmente in quattro passaggi.
Il primo passaggio è stato attuato dal d.l. 179/2012 (Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese, c.d. “Decreto crescita bis/2.0”), convertito con l. 221/2012, prima legislazione europea sull’equity-crowdfunding, che ha introdotto la categoria delle c.d. start-up innovative, ossia piccole società di capitali (s.r.l., s.p.a. o cooperative) di nuova creazione, non quotate in borsa (dunque impossibilitate ad avvalersi del c.d. venture capital, il finanziamento da parte dello stesso mercato tramite gli investitori), che operano in settori innovativi (tecnologici o a vocazione sociale), avvalendosi di personale altamente qualificato, soggette ad una disciplina civilistica, giuslavoristica, fiscale e finanziaria privilegiata (non soggezione a fallimento, agevolazioni fiscali, iscrizione presso un’apposita sezione del registro delle imprese, etc.).
La stessa normativa ha modificato il d.lgs. 58/1998 (Testo Unico della Finanza, c.d. TUF), introducendo gli artt. 50 quinquies (“gestione di portali per la raccolta di capitale per le start-up innovative”) e 100 ter (“offerte attraverso portali per la raccolta di capitali”), e delegato alla Consob la determinazione della disciplina applicabile alla gestione dei portali ed alle offerte per la raccolta di capitale: tale delega è stata adempiuta con il Regolamento sulla raccolta di capitali di rischio tramite portali on-line (Consob delibera 18592/2013, poi modificata dalla delibera 19520/2016).
Il secondo passaggio ha avuto origine dal d.l. 3/2015 (Misure urgenti per il sistema bancario e gli investimenti, c.d. Investment Compact), convertito con l. 33/2015, che ha esteso la disciplina dell’equity-crowdfunding, introducendo la categoria delle piccole e medie imprese (c.d. PMI) innovative: si tratta, in ossequio alla Raccomandazione 2003/361 CE, di imprese in cui il numero dei dipendenti sia inferiore a 10, il fatturato annuo o il totale dell'attivo dello stato patrimoniale annuo non superino i 2 milioni di Euro (c.d. microimprese), ovvero di imprese in cui il numero di dipendenti sia inferiore a 50, il fatturato annuo o il totale dell'attivo dello stato patrimoniale annuo non superino i 10 milioni di Euro (c.d. piccole imprese), ovvero ancora di imprese in cui il numero di dipendenti sia inferiore a 250, il fatturato annuo non superi i 50 milioni di Euro o il totale dell'attivo dello stato patrimoniale non superi i 43 milioni di Euro (c.d. medie imprese), caratterizzate da una forte componente innovativa e a prescindere dalla data di costituzione, dalla formulazione dell’oggetto sociale e dal livello di maturazione; in modo non dissimile dispone il più recente art. 2 del Regolamento 2017/1129 UE, in ossequio al quale per PMI si intendono «le società che in base al loro più recente bilancio annuale o consolidato soddisfino almeno due dei tre requisiti seguenti: numero medio di dipendenti nell’esercizio inferiore a 250, totale dello stato patrimoniale non superiore a 43 milioni di Euro e fatturato annuo netto non superiore a 50 milioni di Euro». Lo stesso Investment Compact ha, altresì, esteso la possibilità di ricorrere all’equity-crowdfunding anche agli organismi di investimento collettivo del risparmio (OICR) nonché alle società di capitali che investono prevalentemente in start-up innovative e in PMI innovative.
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Equity-crowdfunding: evoluzione normativa e quali-quantitativa
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Informazioni tesi
Autore: | Davide Chinnì |
Tipo: | Tesi di Master |
Master in | Master II liv. ''Internet Ecosystem: Governance e Diritti'' |
Anno: | 2018 |
Docente/Relatore: | Maria Cristina Quirici |
Istituito da: | Università degli Studi di Pisa |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 56 |
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