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Patti parasociali. Disciplina giuridica e prassi societaria

Il divario tra sociale e parasociale

Il microcosmo giuridico rappresentato dalla moderna società commerciale è, ad oggi, il prodotto di plurime fonti e discipline eterogenee: tra queste si annovera, altresì, l’autonomia privata dei suoi membri. Questa autonomia suole concretizzarsi, di norma, nella stipulazione dei contratti parasociali, sicché alla disciplina giuridica delle società predisposta – principalmente – dal codice civile e dal Testo Unico della Finanza si affianca, integrandola ovvero derogandovi, una regolamentazione dell’agire sociale che sia il più possibile coerente con le specifiche istanze dei suoi sottoscrittori. Il contratto di società, affine strumento di espressione delle esigenze dei soci, è facilmente accostabile all’accordo parasociale: la compresenza delle due fonti ha posto, dunque, problemi di convivenza reciproca delle stesse. Se, infatti, deve ritenersi abbandonata l’idea che gli accordi parasociali ed il contratto sociale percorrano binari differenti e paralleli senza tuttavia incontrarsi e, dunque, reciprocamente interferire l’uno con l’altro, appare ormai assodato che le due fonti giungano, inevitabilmente, ad un intreccio, generando effetti – nei limiti di quanto concesso all’una e all’altra fonte dalle prescrizioni normative – nell’altrui campo applicativo. Il punto critico risulta essere costituito, allora, dalla fissazione di confini chiari ed inequivocabili.

A tal fine appare, dunque, necessario individuare criteri distintivi univoci per stabilire se quanto concordato dai paciscenti sia ascrivibile alla categoria degli accordi parasociali ovvero a quella dei patti sociali. Gli esiti di tale opera di differenziazione non sono, d’altra parte, privi di rilevanza: conducono, anzi, alla collocazione dell’accordo nell’alveo dei contratti cui si riconosce una mera efficacia obbligatoria ovvero, all’opposto, un’incidenza erga omnes. La distinzione non è agevole: frequente è, infatti, l’interferenza tra le due fattispecie, sicché spesso sociale e parasociale vengono a sovrapporsi, rendendone ardua la diversificazione. Ne rappresenta un primo esempio il patto che coinvolga la totalità dei soci: come si evince chiaramente, il punto di contatto è, qui, costituito dalla coincidenza dell’elemento soggettivo tra il contratto di società e l’accordo parasociale. Potrebbe verificarsi, altresì, una comunanza dell’elemento oggettivo: ciò avviene, ad esempio, per le convenzioni dal contenuto suscettibile di essere assunto nel patto sociale, o per quelle che incidano su una pattuizione del contratto di società. Ancora, l’interferenza potrebbe essere causata dall’inserimento della stessa società nelle dinamiche parasociali. Tale intromissione può verificarsi a vario titolo: la società potrebbe, ad esempio, essere resa beneficiaria di prestazioni dei paciscenti concordate in suo favore attraverso il patto parasociale. Si può ipotizzare, infatti, che i soci sottoscrittori si accordino nel concedere agli organi sociali la possibilità di influenzare la circolazione delle partecipazioni: è quanto previsto, a titolo esemplificativo, dal patto parasociale stipulato tra IFI S.p.A., Assicurazioni Generali S.p.A., SanPaolo IMI S.p.A. e Deutsche Bank AG il 7 ottobre 2000, in virtù del quale «sul presupposto che i firmatari hanno particolarmente a cuore gli sviluppi futuri della Società e la continuità della sua compagine azionaria, ciascuno di essi è impegnato a informare nel più breve tempo possibile gli altri firmatari nonché il Consiglio di Amministrazione della società nel caso in cui intenda vendere in tutto o in parte la propria partecipazione azionaria; ciò al fine di tutelare al meglio gli interessi dei firmatari e della società in sede di alienazione delle quote e di consentire a ciascuno dei firmatari di manifestare il proprio interesse all'acquisto delle azioni alienande nonché, allo stesso tempo, di dare la possibilità al Consiglio di Amministrazione della società di identificare potenziali acquirenti».

Vi è poi il caso del coinvolgimento della società mediante partecipazione diretta della stessa alla pattuizione parasociale: ciò avviene, ad esempio, prevedendo l’obbligo, in capo al paciscente che voglia dismettere la propria partecipazione, di comunicare tale intenzione alla società, così da permettere alla stessa di divenirne acquirente ovvero di indicare un soggetto terzo di suo gradimento affinché la acquisti. Affine all’ipotesi prospettata è, infine, quella della stipulazione di una clausola che preveda una cooperazione della società nelle vicende parasociali. È quanto avviene, nel concreto, qualora per mezzo dell’accordo de quo si convenga il deposito delle azioni sindacate presso la società di cui siano membri i soci sottoscrittori. Questi e molti altri rappresentano casi di evidente contaminazione tra il sociale ed il parasociale; combinazione che offusca le linee di demarcazione tra le due fattispecie negoziali e ne rende, se possibile, ancor più urgente la delimitazione. Si esprime in questi termini un’autorevole dottrina: «Chi si dedichi all’analisi dei patti parasociali e della loro disciplina non può perciò fare a meno di porsi il problema di come distinguerli, da un lato, dai patti sociali e, dall’altro, dagli altri patti correlati». A questo fine, un primo tentativo di differenziazione è stato compiuto da Giorgio Oppo, che individuò quale criterio distintivo la direzione del vincolo: l’efficacia obbligatoria e circoscritta ai soli soci uti singoli, con conseguente estraneità della società al patto, sarebbe indice di un accordo parasociale; un contratto di società, invece, presenterebbe la caratteristica di passare «per il tramite della società», essendo esso stesso «norma dei rapporti fra soci e società».
Al riferito criterio si è affiancato quello formale, accolto con maggior favore dai successivi orientamenti dottrinali e confermato, altresì, nel 2008 dalla giurisprudenza di legittimità, a parer della quale «le clausole non contenute nello statuto sono certo prive di carattere “sociale”». Si è sostenuto, in sostanza, che «adottando un criterio meramente formale, il carattere sociale di un accordo discende dalla circostanza che la convenzione venga inserita nel documento costitutivo della società seguendo le formalità e le condizioni giuridiche che ciò comporta; a contrario, la mera estraneità del patto a tale documento è prova certa della relativa natura parasociale». L’assunto non è privo di criticità: se può essere sufficiente, ai fini della definizione di un accordo come sociale, la mera inclusione dello stesso nello statuto ovvero nell’atto costitutivo, appare più difficile sostenere l’opposto, ovverosia che debba considerarsi parasociale tutto ciò che non sia soggetto a tale collocazione. Ancor più ardua, alla luce di quanto detto con riferimento ai patti cui partecipi la totalità dei soci, sembra, poi, la conclusione per cui non possa avere efficacia sociale ciò che non è incluso in un documento societario per una mera scelta delle parti in tal senso; scelta che potrebbe, tra le altre cose, essere il frutto di un errore di valutazione dei paciscenti.

Non potendosi negare, allora, la possibilità che patti formalmente sociali siano, nella sostanza, parasociali, appare insufficiente riferirsi unicamente al riferito criterio al fine di differenziare le due fattispecie. Si è prospettata, allora, l’opportunità di ricorrere al criterio volontaristico, ovverosia al parametro della volontà degli effetti tipici del sociale da parte dei contraenti. In tal modo sarebbe configurabile un patto inserito nell’atto costitutivo o nello statuto della società e, cionondimeno, dagli effetti esplicabili nei confronti dei soli aderenti e non anche – come viceversa accade per le clausole del contratto di società – a soggetti che non ne siano parti. Autorevole dottrina ha evidenziato, tuttavia, un ostacolo non indifferente: si è osservato come, invero, non sarebbe concretamente ipotizzabile far derivare quegli effetti reali e quella portata così ampia che caratterizzano il contratto sociale dal semplice intento negoziale delle parti in tal senso. In altre parole, limitarsi ad indagare la volontà dei soci di riconoscere a quanto pattuito efficacia obbligatoria ovvero erga omnes non è sufficiente né, d’altra parte, ammissibile, in quanto conferirebbe alle parti il potere di ampliare o restringere a proprio piacimento la portata dei vincoli negoziali.

Si è, dunque, prospettato un compromesso: non potendosi compiere una valutazione preventiva ed in astratto del carattere sociale o parasociale di una clausola inserita in un documento societario, l’analisi andrebbe condotta caso per caso e, qualora all’esito dell’indagine dovessero permanere dubbi ed incertezze, sarebbe da preferire il criterio formale, dovendosi presumere che la veste documentale rispecchi la natura sociale della pattuizione. Così argomentando sarebbe possibile fare ricorso, in primis, al criterio sostanziale, che dovrebbe lasciare il posto – all’evenienza – ad un criterio suppletivo, vale a dire quello formale. Da un’analisi delle posizioni della dottrina non sembra, in conclusione, di poter individuare un criterio univoco e soddisfacente al fine di distinguere con certezza e definitività la sfera del sociale da quella del parasociale. Appare possibile, piuttosto, affermare che ogni criterio proposto sia, di per sé, utile, e che la valutazione debba essere compiuta caso per caso con l’aiuto di ognuno di questi. Sembra opportuno, inoltre, ricordare quanto autorevolmente affermato da Giorgio Oppo agli albori dello studio dei patti di sindacato: «il senso del parasociale è appunto questo: un senso di separazione dal regolamento legale e statutario del rapporto sociale, ma anche un senso di coesistenza, di affiancamento, di collegamento con quel rapporto»; se non deve scoraggiare la ricerca dei riferiti criteri distintivi, questa considerazione è, tuttavia, utile a comprendere come convivenza e interferenza reciproca rappresentino connotati intrinseci delle due fattispecie. Inevitabile, allora, che vi sia un incontro delle stesse.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Patti parasociali. Disciplina giuridica e prassi societaria

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Informazioni tesi

  Autore: Marianna Caiazza
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2016-17
  Università: Università degli Studi di Roma Tre
  Facoltà: Giurisprudenza
  Corso: Giurisprudenza
  Relatore: Mario Bussoletti
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 170

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