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Pedofilia femminile: la trasmissione intergenerazionale tra madre e figlia

Conseguenze dell’abuso sessuale nell’età adulta

Quando le figlie sono abusate dalle loro stesse madri possono manifestarsi varie conseguenze una volta raggiunta l’età adulta. La prima tra tutte, fondamentale nella trasmissione intergenerazionale dell’abuso, è relativa alla paura di non saper far la madre: queste vittime hanno vissuto uno sviluppo della propria identità in cui da un lato hanno lottato per differenziarsi il più possibile dalla madre abusante, dall’altro hanno avuto bisogno di lei per definire la propria immagine, per questo sono consapevoli di non aver mai avuto un modello corretto di genitorialità su cui basare la propria capacità parentale e temono di diventare loro stesse abusanti nei confronti dei figli, di esser inadeguate e inaffidabili. Molte di queste vittime d’incesto madre-figlia odiano il proprio corpo, poiché lo percepiscono come il riflesso della propria madre. Ne scaturiscono, come spiegato da Petrone e Lamberti (2011), rabbia e vergogna dalla non accettazione di vedere il proprio corpo nudo come quello di colei che le ha abusate.

Jong e colleghi (2015) hanno compiuto un importante studio di review sulle conseguenze del CSA (childhood sexual abuse) nella transizione all’adultità, prendendo in esame la complessiva qualità della transizione stessa e cinque aree più specifiche: educazione, impiego lavorativo, relazioni amorose, genitorialità e desistenza dal commettere crimini. Innanzitutto, è stato rilevato che la CSA è correlata negativamente con vari domini dell’età adulta, non ha solo effetti psicologici. Rispetto all’educazione, queste vittime tendono a avere performance più basse e a interrompere prematuramente gli studi, se confrontati con gruppo di controllo. Le differenze nell’impiego lavorativo non si sono dimostrate significative, eccetto per il fatto che il gruppo di CSA ha un rendimento più basso. Nell’ambito della sfera affettiva, le vittime di abuso sessuale hanno un rischio maggiore di incorrere in divorzi o separazioni o di essere coinvolte in relazioni violente e gravidanze adolescenziali. Questo è dato dal fatto che le donne vittime di abuso hanno serie difficoltà nel costruire e tollerare relazioni intime, hanno una percezione negativa del rapporto con il proprio partner, lo considerano disattento e non supportivo e tendono a compiere tradimenti anche con più partner. Munro (2000) citato da Petrone e Lamberti (2011) conferma questa ipotesi in uno studio in cui è emerso che le donne abusate nell’infanzia presentano un maggiore rischio di avere relazioni intime disfunzionali, segnate da insoddisfazione e infedeltà. Inoltre, tendono ad avere una bassa percezione positiva delle loro capacità genitoriali e sono più propensi a utilizzare punizioni violente contro i loro figli o, al contrario, mettono in atto stili genitoriali troppo permissivi. Per quanto concerne la qualità della transizione da adolescenza a adultità, le vittime di CSA riportano un risultato significativamente meno buono nella risoluzione dei compiti di sviluppo di questa fase di vita.

Gli autori riconducono la spiegazione di questi risultati a tre possibili ipotesi. La prima è che le vittime di abusi sessuali sviluppino dei disturbi mentali che a loro volta vanno a influenzare negativamente le capacità nei domini sopradescritti. La seconda è che l’interruzione degli studi o la cattiva educazione si riflettano sia sull’istruzione in generale, sia sul rendimento lavorativo nello specifico. La terza ed ultima ipotesi è che queste conseguenze negative nella transizione siano presenti in vittime che oltre ad aver subito un abuso sessuale sono cresciute in un ciclo di violenze che ricopriva anche altri aspetti della loro vita e questo li ha portati, per esempio, ad andar via di casa troppo presto, a gravidanze indesiderate e a accettare impieghi inferiori o distanti dalle loro abilità. L’andar via di casa precocemente, se non lo scappare, sono riconducibili al fatto che le vittime hanno subito esperienze di abuso ripetute negli anni e non vedendole mai riconosciute dai familiari decidono di allontanarsi del tutto da quell’ambiente nocivo.

Oltretutto, questi vissuti di abusi dei genitori si riflettono sui loro stessi figli. I bambini nati da madri abusate sessualmente o fisicamente hanno un maggior rischio di interiorizzare comportamenti disfunzionali come ritiro sociale o depressione, inoltre, sono più inclini a aggressività e comportamenti antisociali rispetto a bambini nati da genitori non abusati (Hornor, 2009).

Nelle madri abusate, secondo l’autore, si possono rilevare due meccanismi molto differenti tra loro: ipervigilanza e incuria. Il primo si manifesta in madri che ripongono un eccessivo controllo su potenziali abusi sessuali esercitati nei loro stessi confronti o in quelli dei loro figli, per cui sottopongono quest’ultimi a “indagini” e esami su eventuali maltrattamenti portando la relazione madre e figlio su un piano disfunzionale connotato da paura e sospetto. L’incuria, al contrario, si evince in madri che ricadono in relazioni abusanti e possono essere meno attente alle cure del figlio, al punto tale da lasciarlo da solo proprio con colui che le molesta, oppure, non riescono ad esprimere amore e affetto verso i propri figli, dal momento che non sono capaci di distinguere normali gesti di attenzione e cura da atti di abuso.
Rispetto alle conseguenze del CSA nell’età adulta, Hebert e colleghi (2018) parlano di cumulative childhood adversity, si tratta dell’interazione di due o più esperienze sfavorevoli, negative, che producono un effetto maggiore rispetto all’unione dei singoli effetti. A tal proposito, hanno preso in esame uno studio condotto in America su vasta scala che ha identificato il verificarsi di traumi multipli come un fenomeno molto frequente (Turner et al, 2015). Il campione ha presentato una percentuale interessante, infatti, il 21,3% dei soggetti tra i 10 e i 17 anni è stato vittimizzato sia a scuola che a casa e il 17,8% di questi ha avuto esperienza di poli-vittimizzazione. Questa consiste nell’essere maltrattati, se non abusati, in più modi e da più autori. I ragazzi che rientrano nel 17,8% del campione presentano le peggiori conseguenze in seguito alle violenze subite, come mettere in atto comportamenti delinquenziali e sintomi di disturbo post-traumatico da stress. Oltretutto, il numero di tipologie di trauma esperite è stato associato con una complessità di sintomi sperimentata sia dalle vittime stesse sia dai loro caregivers.

Choi e Oh (2014) hanno dimostrato che il cumulative childhood trauma è positivamente associato con disregolazione emozionale e comportamenti disfunzionali interiorizzati ed esteriorizzati. Le difficoltà nella regolazione emozionale e la dissociazione sono state associate, in più studi, come potenziali conseguenze del CSA e del cumulative childhood trauma, sia in adolescenti che in adulti. La dissociazione può essere intesa in vari modi, Bennett e colleghi (2015) e Lanius e colleghi (2010) la intendono come un fallimento delle strategie di regolazione rispetto all’ iper-modulazione o all’iper-regolazione delle emozioni, mentre Kalill (2013) e Chaplo e colleghi (2015) la vedono come la conseguenza del fallimento dei tentativi di regolazione emozionale. Briere e colleghi (2010), invece, parlano di dissociazione rispetto al trauma, la quale sarebbe una strategia di evitamento usata per affrontare le emozioni che opprimono la capacità di regolazione degli affetti interni in seguito al trauma. In accordo a quest’idea, più studi hanno dimostrato che la disregolazione emozionale è un predittore della sintomatologia dissociativa in adulti e giovani abusati sessualmente (Briere, 2006; Chaplo et al., 2015; Powers et al., 2015).

Le conseguenze dissociative, come riportato da Di Blasio (2000) sono “l’effetto delle operazioni di frammentazione mentale elaborate dai bambini per alterare una realtà contraddittoria e non desiderata”. I disturbi nelle relazioni affettive sono, invece, caratterizzati da paure di venire abbandonati o essere controllati, da sentimenti contraddittori e ambivalenti, da un’oscillazione tra passività – sottomissione e ribellioni e dalla tendenza a instaurare relazioni connotate da forte dipendenza.
La dissociazione interviene anche come mediatore nella relazione tra CSA e un numero consistente di patologie mentali, come depressione, somatizzazione, disturbo Borderline di personalità, in un campione clinico composto da donne e studiato da Ross-Gower e colleghi nel 1998.
Berthelot e colleghi hanno compiuto uno studio nel 2012 che ha dimostrato l’ipotesi sopra descritta che vede la dissociazione come mediatore nell’associazione tra CSA e interiorizzazione e esteriorizzazione di comportamenti problematici in un campione di bambini tra i 2 e i 12 anni. Secondo questa ricerca, la dissociazione è un predittore dell’onset di problemi comportamentali perché previene l’integrazione, la risoluzione e la mentalizzazione degli eventi traumatici. Quindi, i bambini abusati sessualmente si troverebbero in uno stato di impotenza e confusione che favorisce l’insorgere di problematiche comportamentali.
In conclusione, Hebert e colleghi hanno dimostrato che il cumulative childhood trauma è associato a un alto livello di disregolazione emozionale, dissociazione e problemi comportamentali.

Nel caso della trasmissione intergenerazionale dell’abuso è preponderante la vulnerabilità alla reiterazione dell’esperienza traumatica che si esplicita sia sotto forma di fenomeni ripetitivi, manifestati attraverso rappresentazioni sensoriali e comportamentali o memorie intrusive, sia sotto forma di una propensione dell’individuo in questione a esporsi ai rischi e a nuove esperienze negative autoinflitte o perpetrate su altri. Questa propensione si elicita proprio con la ripetizione di ciò che si è subito su altre vittime, sia nel ruolo di osservatori passivi, come nelle donne Male-coerced, sia in quello di perpetratori attivi (Di Blasio, 2000).
Questa reiterazione dell’esperienza traumatica presuppone che la vittima abbia sviluppato, come strategia difensiva per sopravvivere alla distruzione dell’abuso, una sorta di identificazione con l’aggressore, meccanismo grazie al quale l’evento da extrapsichico diventa intrapsichico, consentendo alla vittima di eliminare la propria soggettività, compresi i vissuti dolori, e diventare come il suo aggressore. La vittima tenderà, pertanto, a considerarsi cattiva e a ritenersi responsabile della violenza subita, per discolpare colei che ritiene il suo punto di riferimento e neutralizzare tutte le emozioni negative e la confusione provate (Petrone e Lamberti, 2011).

Questo brano è tratto dalla tesi:

Pedofilia femminile: la trasmissione intergenerazionale tra madre e figlia

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Informazioni tesi

  Autore: Luciana Corgiolu
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2017-18
  Università: Università degli Studi di Torino
  Facoltà: Psicologia
  Corso: Psicologia criminologica e forense
  Relatore: Franco Freilone
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 103

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pedofilia
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