Potere di mercato e Abusi di posizione dominante: l'occhio vigile dell'Antitrust
Accuse e sanzioni per Google
C’è da dire che Google per i suoi comportamenti molto spesso si ritrova nel mirino da parte dell’Autorità Antitrust che per ben tre volte in tre anni consecutivi l’ha sanzionata per violazione delle norme, accusandola di abuso, di posizione dominante.
La prima accusa che è stata mossa fu per Google Shopping nel 2017. Premettendo che il motore di ricerca guadagna principalmente sulla pubblicità, nel 2004 crea Google Shopping, il quale ha cambiato diverse denominazioni fino ad arrivare a questo termine e si esplica nel permettere ai vari utenti di confrontare prezzi e prodotti online in modo da identificare l’offerta migliore rispetto ai vari rivenditori che vi sono (ad esempio, Amazon, E-Bay, ecc.). Sono sempre esistiti già dall’epoca diversi operatori che svolgevano questa mansione, però Google, avendo una posizione dominante rispetto agli altri motori di ricerca, rappresenta un’importante fonte di traffico per i servizi di acquisto comparativi, cioè più il traffico è intenso, più le pagine sono cliccate, più gli utili aumentano e quindi c’è anche una maggiore attrazione dei rivenditori che vogliono proporre i loro prodotti attraverso questo servizio.
Nel 2008, comincia ad approfittarsi di questa sua posizione e cambia strategia per far prevalere Google Shopping: esso si accorge che gli utenti tendono a cliccare più spesso i risultati di ricerca che compaiono nella parte alta del motore di ricerca, poiché più visibili. Anche su un desktop, i primi dieci risultati della ricerca generica a pagina 1 di solito ricevono circa il 95% di tutti i click (il 35% dei quali va al primo risultato). Il primo risultato a pagina 2 su Google riceve solo l'1% circa di tutti i click. Questo dipende dal fatto che il primo risultato può essere ritenuto più attinente al contesto ricercato, indipendentemente dal fatto se poi lo sia effettivamente o meno (comprovante è il fatto che, se lo si sposta dal primo al terzo risultato, il numero dei click diminuisce di quasi il 50% e questo è ancora più rafforzato nel momento in cui si usa un cellulare, a causa del suo schermo ridotto).
Sapendo ciò, Google ha sottoposto agli algoritmi di ricerca generica i servizi di comparazione degli acquisti dei concorrenti, facendoli comparire mediamente soltanto a pagina 4 dei risultati di ricerca. Google Shopping non viene compreso in questa operazione, riuscendo a risalire nella parte alta delle prime ricerche.
Questo ha portato ad un notevole vantaggio per il colosso digitale, tanto da essere considerato, da parte della Commissione Europea, colpevole di un abuso di posizione dominante nella ricerca generica su Internet, in quanto ha impedito lo sviluppo di una concorrenza basata sui meriti nel mercato in questione. In particolare, la Commissione, basandosi sulle quote di mercato elevatissime detenute da Google (superiore al 90%), ha dichiarato che questa è in posizione abusiva dal 2008 in tutti i Paesi del SEE (Spazio economico europeo), eccetto per la Repubblica Ceca, in cui lo è dal 2011. Si aggiungono ad esso anche le barriere all’entrata in questi mercati: più i consumatori usano un motore di ricerca, più gli inserzionisti sono attratti da questo. Per arrivare a questa conclusione, la Commissione Europea ha analizzato in maniera attenta i documenti di Google riconducibili al momento dei fatti, ha condotto le indagini finalizzate ad esaminare l’impatto sui consumatori quando si posizionano i risultati della ricerca in prima pagina, attestando l’importanza commerciale di questa mossa ed essa ha riscontrato, attraverso delle classifiche, la riduzione significativa del traffico verso i suoi concorrenti.
Dopo un’accurata verifica, Google è stata sanzionata per 2,41 miliardi di euro, considerando la durata e la gravità dell’infrazione. L’Autorità ha dichiarato anche che entro 90 giorni, l’azienda avrebbe dovuto cessare questo comportamento55, applicando, alla visualizzazione dei servizi di acquisti comparativi concorrenti nelle proprie pagine dei risultati di ricerca, le stesse procedure poste per il suo servizio. La Commissione poi avrebbe controllato se effettivamente avesse ascoltato tali direttive e, qualora non lo avesse fatto, Google avrebbe dovuto pagare una mora la cui somma poteva arrivare fino al 5% del fatturato medio giornaliero mondiale di Alphabet, la società madre di Google. Oltretutto, il motore di ricerca rischiava anche di dover dare il risarcimento del danno a persone o imprese vittime del suo comportamento anticoncorrenziale.
Nel 2018, la Commissione di Bruxelles è giunta di nuovo alla conclusione, dopo 3 anni di verifiche, che l’azienda avesse abusato della sua posizione dominante anche con il sistema operativo Android, il quale attualmente detiene l’88% del mercato degli smartphone. Essa è stata accusata di aver favorito le proprie applicazioni e bloccato quelle delle aziende rivali. Le ha comminato una multa quasi doppia rispetto a quella imposta l’anno precedente per Google Shopping. Viene rimproverata, in particolare, di aver imposto ai produttori più famosi di device come Huawei, sotto incentivi finanziari, di pre-installare Play Store (l’applicazione di Google per scaricare e installare programmi), che può essere ottenuto solo attraverso Google Search, che a sua volta può essere trovato solo con Google Chrome, il browser per la navigazione online. Android è stato visto come mezzo per consolidare e mantenere il dominio del motore di ricerca.
Google si è difesa affermando che il sistema operativo non ha impedito la libera concorrenza, ma ha creato una scelta più ampia per tutti, dove vi sono più di 24.000 dispositivi di ogni fascia di prezzo e oltre 1.300 marchi. Inoltre, l’azienda ha investito miliardi di dollari per sviluppare al meglio Android e non vi è alcun vincolo da parte dei produttori di installare le App di Google. È stato anche accennato che si potrebbe progettare in futuro un sistema operativo a pagamento per i produttori di smartphone a favore di Google. Entro 90 giorni però intanto il colosso doveva eliminare i comportamenti abusivi se voleva evitare una sanzione fino al 5% del fatturato medio giornaliero di Alphabet, quindi si stabilì la libertà dei produttori di dispositivi di scegliere quali App pre-installare, senza avere nelle clausole del contratto l’obbligo di far trovare all’utente, sul nuovo cellulare, le applicazioni per navigare su Internet di Google Chrome o quelle per scaricare altre App come Google Play Store. Queste pratiche, secondo l’Antitrust Europea, hanno negato ai concorrenti la possibilità di innovare e competere nel merito, oltre ad aver impedito ai consumatori europei i vantaggi di una concorrenza effettiva nel settore tecnologico.
Dopo che la Commissione Europea ha iniziato le sue indagini, fece lo stesso la Federal Trade Commission americana. Nonostante Google abbia svolto un comportamento aggressivo per ottenere dei vantaggi rispetto ai concorrenti, dopo 19 mesi di istruttoria viene assolta dalla Commissione federale, perché essa tutela la concorrenza, non i singoli concorrenti e non vi è alcuna prova che abbia messo in discussione la concorrenza nel settore della ricerca online.
Google, per evitare problemi, ha comunque deciso di accettare di modificare il suo modo di agire. Per quanto riguarda l’introduzione dell’algoritmo, capace di posizionare Google alle prime pagine, la FTC lo giustifica per l’obiettivo di innovare, migliorando alla fine il prodotto di Google e l’esperienza dei suoi utenti.
Infine, nel 2019, la Commissione Europea ha inflitto una multa pari a 1,49 miliardi di euro a Google per non aver rispettato delle regole imposte dall’Autorità. L’oggetto in questione è AdSense, la piattaforma attraverso la quale la società agisce come intermediario tra gli inserzionisti (chi fa pubblicare un annuncio) e i proprietari di siti web. Ci sono diversi criteri con cui gli annunci sono visualizzati, come ad esempio l’attività web dell’utente, il costo delle campagne, l’audience; secondo l’Antitrust, Google per dieci anni ha obbligato i siti web terzi ad usare solo i propri servizi a discapito dei concorrenti, attraverso l’introduzione di particolari clausole restrittive all’interno dei contratti. Ci si riferisce in particolare ai box di Google che sono contenuti sui vari siti, che garantiscono di fare una ricerca all’interno dei siti stessi e non nel resto di Internet.
L’esempio può essere dato da un sito di un giornale che fa cercare ai suoi utenti gli articoli o altre informazioni, affidandosi a Google senza dover sviluppare una soluzione interna. Inizialmente, Google prestava questi box in cambio di pubblicità collegate alle ricerche; così facendo, se i consumatori avessero cliccato su un messaggio pubblicitario, avrebbero ricevuto un compenso sia Google che la società dei giornali. La vendita di annunci su siti terzi è una piccola parte che integra però i risultati positivi di Google.
Il gigante del web ha risposto, infine, alle richieste dell’Autorità: per quanto riguarda Google Shopping, sta creando dei link diretti a dei siti specializzati che confrontano i prezzi e offerte dei venditori; per le modifiche di Android, si rivela che chiunque acquisterà un cellulare con quel sistema operativo, quest’ultimo chiederà esplicitamente agli utenti quale browser o App di ricerca desiderano utilizzare; per AdSense, è pronto a togliere qualsiasi clausola dai contratti con terzi così da renderli liberi di usare quale servizio preferiscano.
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Informazioni tesi
Autore: | Benedetta Pretola |
Tipo: | Tesi di Laurea Magistrale |
Anno: | 2018-19 |
Università: | Università degli Studi di Roma Tor Vergata |
Facoltà: | Economia |
Corso: | Economia Aziendale |
Relatore: | Marco Meneguzzo |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 138 |
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