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La Storiografia sulla Massa Trabaria con particolare riferimento dell'Abbazia Benedettina di San Michele Arcangelo di Lamoli

Corrado Leonardi e i Monasteri Benedettini nella Valle Superiore del Metauro

Leonardi inizia il paragrafo prendendo ispirazione da S. Gregorio Magno e dalle orde barbariche, dolorosa realtà anche per le terre del Metauro. La più antica toponomastica locale che persiste nell'elencare selve, faggeti, cerreti, sterpeti sodi e lacustri, offre la visione chiara e precisa dello stato incolto e selvaggio in cui furono ridotti questi paesi dopo il passaggio longobardo. L'alta valle del Metauro si estende da Calmazzo e arriva sopra Sant'Angelo in Vado, nel cuore della Massa Trabaria. In questo territorio vi erano i municipi romani di Urbinum, Pitinium e Tifernum, al confine con l'odierna Città di Castello. I longobardi penetrarono all'interno dopo il 570, riscendendo la vallata del Metauro arrivando al Candigliano e risalendolo fino al castello di Petrapertusa (Cantiano) distruggendolo, come descritto da Procopio da Cesarea. Il Leonardi descrive una serie di ritrovamenti archeologici già precedentemente elencati dal Rossi (suo maestro), raccontando poi del pensiero di altri storici, che vedevano il distruttivo passaggio longobardo come conseguenza della costruzione del “Castrum Riparum” per difendersi da nuovi attacchi.

L'autore dell'intervento non è di questo avviso, per lui il castello delle Ripe potrebbe essere stato costruito dagli stessi longobardi, invece che dai popoli in fuga della Tifernum e dell'Urbinum Mataurense, come fecero difatti con un castello lì vicino, quello del Peglio. Secondo una memoria storica fornitaci da s. Pier Damiani nel secolo X i benedettini di Iscleto erano potentissimi ed estendevano il loro dominio sulla pianura di Fermignano e su vaste zone del Pitinate, del Metauro e Candigliano. Il secondo monastero di cui il Leonardi parla è quello che si trovava nell'isola del Cerreto. È detto di S. Cristoforo del Ponte, come si deduce dai codici censuari e dalle bolle pontificie. Dunque i benedettini di Castel delle Ripe ereditarono quasi la totalità dell'agro Urbinate Mataurense e Tifernate, una giurisdizione che ci permette di dedurre come l'agro Pitinate si estendeva dal Metauro al Candigliano, aveva ad est per confine il Metauro, mentre a sud giungeva fino alle sorgenti del Candigliano, ove confinava con Cagli e con Città di Castello.

L'autore nota subito che lo sviluppo dell'opera benedettina in tutte le vallate del comprensorio dell'alta valle del Metauro, sul principio del mille, avviene pressappoco in concomitanza con le prime fondamenta di quella che sarà poi la vasta istituzione camaldolese, eremitica e cenobitica, grazie alla risonanza e alla personalità di s. Romulado, e quando già la riforma cluniacense aveva avuto larga risonanza. Altra questione importante per i monasteri metaurensi, è il fatto se essi facessero o meno parte del nuovo movimento di riforma, accentuato dall'erezione dell'Eremo di Fonte Avellana e dall'importanza di uno dei suoi più illustri abati, san Pier Damiani, abate anche del monastero di San Vincenzo del Furlo.

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La Storiografia sulla Massa Trabaria con particolare riferimento dell'Abbazia Benedettina di San Michele Arcangelo di Lamoli

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Informazioni tesi

  Autore: Daniela Bartolucci
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2013-14
  Università: Università degli Studi di Urbino
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: Storia dell'Arte
  Relatore: Tommaso Di Carpegna Gabrielli Falconieri
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 119

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