L'Home Visiting: fondamenti teorici e modelli di intervento
Definizione e finalità dell’Home Visiting
Con il termine Home Visiting viene indicato un intervento attraverso cui del personale qualificato o dei volontari prestano soccorso alle famiglie considerate ad alto rischio psicosociale intervenendo presso la loro abitazione. Il termine indica solamente il luogo nel quale è prestato il servizio, non le caratteristiche dello stesso.
I programmi di Home Visiting differiscono infatti tra loro per le famiglie a cui si rivolgono, per la durata del servizio e per la filosofia che si trova alla base del programma. La possibilità di operare a stretto contatto con le famiglie offre il vantaggio all’operatore di entrare in contatto con le famiglie problematiche, che altrimenti non potrebbero usufruire del servizio, perché sfiduciate nell’operato dei servizi assistenziali o perché impossibilitate da malattie fisiche o senza mezzi di trasporto. Inoltre la casa rimane il luogo privilegiato nella valutazione del contesto ecologico in cui la famiglia è inserita. Attraverso tale metodologia è possibile avere dati importanti che riguardano le relazioni familiari, individuando i fattori di rischio ed i fattori di protezione all’interno della famiglia.
Speranza e Mattei evidenziano che M.E. Byrd, nel definire gli obiettivi dell’Home Visiting, rileva che il fine principale dell’intervento domiciliare è quello di eliminare o almeno limitare quei fattori che possono amplificare gli esiti negativi nello sviluppo del bambino. Gli autori notano che, per Bruce McNaughton, a prescindere dalle diverse finalità, gli interventi di assistenza domiciliare hanno in comune il luogo in cui si svolge il servizio, il fine di eliminare i fattori di rischio e l’importanza del rapporto tra la famiglia e l’operatore o Home visitor.
Nonostante la diversità dei programmi con cui si svolge l’intervento, l’Home Visiting ha sempre un fine di prevenzione. Speranza e Mattei segnalano che, secondo Paola Di Blasio e Vera Acquistapace, gli interventi finalizzati alla prevenzione, nei casi di maltrattamento o abuso, comprendono tre tipi di approccio: programmi di prevenzione primaria volti a ridurre l’influenza del fenomeno, che si rivolgono alle famiglie a rischio potenziale; programmi di prevenzione secondaria che hanno come fine quello di diminuire l’incidenza del fenomeno, del maltrattamento o dell’abuso, laddove sia già presente e infine i programmi di prevenzione terziaria mirati a ridurre la compromissione psicologica e fisica dovuta alla violenza. Quindi i programmi di prevenzione secondaria e terziaria operano in situazioni dove la violenza è già stata vissuta dal bambino, con il fine di evitare la ripetizione dell’evento cercando di salvaguardare a lungo termine il piccolo.
Nella maggior parte dei casi, i programmi di assistenza domiciliare rientrano nell’ambito della prevenzione primaria e operano sia per migliorare la responsività e la sensibilità materna, al fine di favorire lo sviluppo di un pattern di attaccamento sicuro nel bambino, sia per promuovere competenze educative nei genitori. Gli interventi domiciliari non si rivolgono dunque alla patologia, ma alle variabili che possono compromettere un sano sviluppo nel bambino. In alcuni casi però rientrano nel livello di prevenzione secondaria e possono essere rivolti alla patologia del caregiver come, ad esempio, in casi di sintomi di depressione materna, oppure quando esiste il problema della giovane età, come possibile variabile di rischio nella crescita del piccolo.
Speranza e Mattei riportano alcuni dati significativi. Anzitutto evidenziano che l’impiego di questi programmi di Home Visiting, secondo il National Child Abuse and Neglect Data System, ha apportato tra il 1992 e il 1999 una diminuzione nel rischio di maltrattamento, diminuendo anche l’impatto dei fattori di rischio.
Citano poi una rassegna di R.N. Roberts e Barbara Hanna Wasik, condotta su duemila programmi di assistenza domiciliare, svolti negli Stati Uniti, che indica alcune caratteristiche che differenziano i diversi programmi. La maggior parte degli interventi era rivolto alla popolazione “normale” mentre il rimanente era per le famiglie povere. I programmi facevano riferimento a prospettive teoriche differenti: il 39% comprendeva programmi educativi, il 36% programmi sanitari ed il 23% riguardava servizi sociali. Anche gli obiettivi si differenziavano tra di loro, la maggior parte era rivolto alla promozione dello sviluppo fisico del bambino, un’altra parte allo sviluppo cognitivo, ed una piccola parte alle capacità socio-relazionali. Per quanto riguardava i programmi rivolti ai genitori il 37% era rivolto a sostenerli e il 36% ad accrescere le competenze genitoriali.
Per quanto concerne i servizi offerti alle famiglie, circa l’80% dei programmi offriva un aiuto per aumentare le abilità genitoriali o per migliorare lo sviluppo dei bambini, per rinforzare le strategie di coping dei genitori, offriva un sostegno emotivo e informazioni sui servizi sociali. La metà dei programmi aveva una cadenza settimanale e l’altra metà una cadenza quindicinale. Quasi il 75% dei programmi impiegava personale paraprofessionale.
Da questa rassegna è possibile comprendere la diversità dei programmi utilizzati nell’intervento domiciliare. Alcuni programmi, infatti, si rivolgono a tutti i genitori, nella convinzione che un sostegno alle competenze parentali possa migliorare le condizioni di sviluppo del bambino. Altri tipi di intervento sono rivolti invece a popolazioni disagiate, dove la presenza di fattori di rischio aumenta la possibilità di comportamenti genitoriali inadeguati e anche di possibili abusi.
È possibile inoltre distinguere tra interventi a obiettivi multipli, che si concentrano su diversi fattori che possono influenzare la qualità della relazione tra bambino e caregiver come, ad esempio, le condizioni abitative, l’isolamento sociale e le condizioni sanitarie. In questi casi l’intervento si attua su diversi obiettivi: ad esempio il sostegno alla madre nella ricerca di un impiego, il segnalare la presenza di servizi sociali nel territorio. Altri programmi invece si centrano su un singolo obiettivo, ad esempio la relazione madre e figlio.
Ogni programma fa riferimento a distinte teorie del cambiamento ed alle successive strategie per concretizzarlo. Ci sono programmi che si interessano della relazione tra la madre e la persona che attua l’intervento di Home Visiting, che si rifanno alla teoria psicodinamica e alla teoria dell’attaccamento. Questi programmi ritengono che il cambiamento positivo all’interno delle famiglie multiproblematiche sia possibile quando è presente un costante sostegno alle abilità del genitore per mantenere relazioni significative. In questi casi l’home visitor è percepito come una base sicura dalla madre poiché fornisce sostegno e ascolto empatico che le permettono di relazionarsi con il bambino in maniera più adeguata.
Sono diversi gli interventi di Home Visiting basati sulla teoria dell’attaccamento, che considerano un pattern di attaccamento sicuro nell’infanzia come un fattore protettivo molto importante nello sviluppo del piccolo, soprattutto in situazioni di rischio contestuale. L’obiettivo di questi interventi è quello di promuovere un attaccamento sicuro nel bambino migliorando la sensibilità materna, oppure modificando le rappresentazioni mentali interne dei genitori.
Altri interventi comprendono programmi psico-educativi che si basano sulla teoria dell’apprendimento sociale. Anche qui la relazione tra il caregiver e l’home visitor è molto importante perché porta al passaggio di informazioni e conoscenze in grado di migliorare le abilità genitoriali. La visita domiciliare è qui intesa come occasione di insegnamento-apprendimento in cui il genitore apprende conoscenze riguardanti lo sviluppo infantile, le competenze genitoriali e l’importanza del fornire cure adeguate al bambino.
Nei programmi di Home Visiting ci sono anche delle differenze operative. Generalmente i programmi si dispongono su un continuum che vede come focus centrale non solo la relazione tra bambino e caregiver, ma anche la situazione ambientale circostante. Inoltre le differenze operative si notano anche nella durata dell’intervento. Speranza e Mattei evidenziano che D.Powell individua quattro variabili nell’erogazione del servizio di intervento domiciliare: la lunghezza della visita, che varia dai trenta minuti fino ai novanta, la frequenza della visita che può essere una volta alla settimana oppure una visita ogni trenta giorni, la lunghezza del programma che varia dai nove ai dodici mesi, che può avere inizio durante la gravidanza o dopo il parto.
L’ultima variabile è quella del sincretismo dell’intervento in quanto l’intervento di Home Visiting può essere affiancato da una psicoterapia individuale oppure da altri servizi, come un aiuto economico.
I termini che spesso vengono utilizzati per descrivere la logica dell’intervento di Home Visiting sono: empowerment, enablement e enhancement. Con il termine empowerment (potenziamento) si indica la capacità della famiglia di definire i propri obiettivi e perseguire le proprie decisioni. Con enablement (attivazione) si intende la capacità di costruire sulle abilità, sui punti di forza che già la famiglia possiede e con enhancement (rinforzo) l’individuare le risorse per aiutare le famiglie.
Il termine “potenziamento” indica il cuore e lo spirito dei servizi offerti alla famiglia. Riguarda le attività e gli obiettivi della psicologia preventiva tese a favorire uno sviluppo ottimale, a ridurre i rischi ambientali, a valorizzare le competenze e le abilità di coping della persona, a sviluppare le competenze dell’individuo nella crescita interpersonale e nella valorizzazione dei ruoli sociali. Si favorisce cosi l’accesso e il controllo sulle risorse necessarie, il processo decisionale, la capacità di problem solving e l'acquisizione di comportamenti necessari ad interagire efficacemente con gli altri.
La logica dell’Home Visiting è quella di una relazione di aiuto tra il visitatore e la famiglia, che permette di cogliere lo scopo e il processo dell’intervento. Nella società contemporanea, vi è un accordo sempre più forte circa l'importanza di promuovere uno stile collaborativo. In una relazione di aiuto, c’ è un’implicita dichiarazione di bisogno di aiuto da parte di una persona e l'offerta di questo aiuto da parte di una seconda persona. Tale situazione può dare l’impressione di uno squilibrio di potere, di un rapporto ineguale tra chi offre aiuto e chi lo riceve. Tuttavia non è lo squilibrio il problema, ma come si lavora all'interno della relazione, in cui l'assistente può utilizzare questo squilibrio per favorire la dipendenza o l’indipendenza, la passività o l’azione di chi ha bisogno di aiuto. Gli operatori sono in grado di ridurre gli effetti potenzialmente negativi di questo squilibrio di potere attraverso interazioni sensibili e premurose con coloro che aiutano, lavorando per una promozione di indipendenza in tutti gli aspetti interpersonali di coping e problem solving.
Nella pratica dell’Home Visiting, la teoria ecologica dello sviluppo umano, proposta da Bronfenbrenner è stata particolarmente influente, perché evidenzia l’importanza della famiglia, degli amici e della comunità nello sviluppo di un individuo. Il concetto ecologico è più semplice da capire dal punto di vista del sostegno sociale, in quanto, quando il supporto sociale è carente o inadeguato, può essere presente un alto rischio di stress emotivo, forme di depressione e malattie fisiche. Ad esempio, le donne che non hanno un adeguato sostegno sociale con maggiore probabilità possono sviluppare complicazioni durante la gravidanza, rispetto alle donne con un adeguato sostegno.
Bronfenbrenner, pone l'attenzione sia sulla necessità di concentrarsi sul comportamento di un individuo sia di concentrarsi sul suo ambiente in modo da avere una comprensione più ampia e precisa della situazione della persona. Qualsiasi programma che si focalizza sulla risoluzione di problemi deve tenere in considerazione gli aspetti cognitivi, comportamentali ed ecologici. La comprensione di come questi aspetti si influenzano l'un l'altro può facilitare lo sviluppo di programmi efficaci.
Alcuni modelli teorici di riferimento che vengono utilizzati nell’intervento di Home Visiting includono pertanto la prospettiva teorica dell’attaccamento che mette in risalto l’importanza del legame di attaccamento tra il bambino e la madre, la teoria ecologica dello sviluppo umano di Bronfenbrenner, che evidenzia l’importanza che assumono il contesto familiare ed ambientale nel sostenere un adeguato sviluppo del bambino. Anche il modello transazionale dello sviluppo di Sameroff è un valido punto di riferimento che mostra come il ruolo attivo svolto dal bambino possa influire sull’ambiente che lo circonda e come, a sua volta, ne possa rimanere condizionato.
Sono inoltre diversi i fattori di rischio e i fattori protettivi che possono contribuire allo sviluppo del bambino, riconducibili alle situazioni relazionali, sociali e culturali con cui egli interagisce. Nel prossimo capitolo, presenterò alcune tipologie di intervento in riferimento a specifici modelli teorici e alcuni programmi di intervento di Home Visiting che sono stati attuati negli Stati Uniti ed in Italia.
Questo brano è tratto dalla tesi:
L'Home Visiting: fondamenti teorici e modelli di intervento
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Informazioni tesi
Autore: | Sara Eleuteri |
Tipo: | Tesi di Laurea Magistrale |
Anno: | 2011-12 |
Università: | Pontificia Facoltà di Scienze dell'Educazione AUXILIUM di Roma |
Facoltà: | Psicologia |
Corso: | Psicologia |
Relatore: | Milena Stevani |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 101 |
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