Twin Peaks ieri e oggi: analisi della serie cult di David Lynch
Da Kubrick alle contaminazioni di linguaggio del cinema sperimentale di Stan Brakhage
Che David Lynch sia un regista sperimentale è ormai assodato. È sin dai tempi del suo primo film Eraserhead – La mente che cancella (1977) che viene definito come tale da pubblico e critica. Come già poi ampiamente detto, è alla fine proprio in questo ‘nuovo’ Twin Peaks che egli continua a sperimentare più che mai nella narrazione, e soprattutto nella narrazione con le immagini come non lo faceva sin da quello che è considerato il suo ultimo lavoro cinematografico, Inland Empire – L’impero della mente (2006). Forse è anche per questa osservazione che potremmo considerare la terza stagione di Twin Peaks non solo come la summa del suo percorso da regista, ma anche il punto di incontro fra il primo e il suo ‘ultimo’ film già citati, per l’appunto quelli più sperimentali.
Se prima abbiamo fatto un excursus in generale sullo storytelling completo di questa terza stagione, è opportuno adesso soffermarsi su quello che nella sua completezza non può essere considerato un ‘episodio’ nell’accezione del termine, ma un punto di svolta nella storia della golden age della televisione mai visto prima di questo momento. Nel 2014 David Lynch rilascia un’intervista alla BBC in cui parla della morte delle art houses, i cinema che mostrano film di nicchia tra pellicole indipendenti e straniere. Sempre nella stessa intervista però, Lynch arriva a parlare della televisione e afferma che «i nuovi cinema d'essai sono la tv via cavo» e cioè che il nuovo cinema passa per la nuova televisione.
Quindi non sorprende che Lynch si sia rivolto proprio al medium televisivo per mostrarci l’episodio in questione, l’ottavo di questa terza stagione: un’opera multimediale da un’ora, una storia ‘atomica’ (in tutti i sensi), metafora dell’umanità per il regista e mitologia più radicata per il mondo di Dale Cooper e compagni. Cosa succede nell’ottavo episodio? È la notte del 16 luglio 1945 e siamo nel deserto del New Mexico: l’anno zero che darà il via all’era delle armi nucleari; il primo utilizzo riconosciuto di una bomba atomica; è il giorno del Trinity test.
David Lynch parte dal reale per raccontare il fantastico, e l’esplosione della bomba atomica diventa la genesi del male (BOB, lo spirito demoniaco) e del bene (Laura Palmer), l’eterno scontro che fonda le basi del mondo di Twin Peaks. Della musica esplode insieme alla bomba: è Trenodia per le vittime di Hiroshima, pezzo composto dal polacco Krzysztof Penderecki nel 1961, composizione che utilizzò anche Stanley Kubrick nel suo Shining (1980). Non è un caso aver nominato Kubrick: i due registi avevano una grande stima l’uno dell’altro; il film preferito in assoluto dell’autore di Arancia meccanica (1971) e Full Metal Jacket (1987), è Eraserhead – L’impero della mente, l’opera prima di David Lynch. Kubrick proiettava sempre, proprio durante le riprese di Shining, Eraserhead alla sua troupe e cast per impostare la giusta atmosfera di inquietudine con cui lavorare alla pellicola.
Lo stesso Lynch lo considera uno fra i suoi autori preferiti: innegabile come il bagno di atomi e molecole dentro il fungo atomico ad inizio episodio richiami la sequenza del viaggio finale dell’astronauta David in 2001: Odissea nello spazio (1968). E dove David Lynch omaggia, nel deserto in bianco e nero del New Mexico in cui ‘nasce la morte’ invece si autocita: il richiamo qui è ad un suo corto del 2007 dal titolo Industrial Soundscape, dove i tonfi metallici raccontano l’ambiente circostante. Soundscape significa paesaggio sonoro, è non è un caso: per Lynch la narrazione (più che mai proprio in Twin Peaks) non si propaga solo attraverso le immagini, ma anche mediante il suono - qui elemento ricorrente - soprattutto il suono elettrico, vero leitmotiv di questi nuovi episodi: David Lynch è anche un musicista con alle spalle tre album musicali, inoltre sound designer della maggior parte dei suoi film e di questa terza stagione di Twin Peaks, quindi non sorprendono le sue parole proprio riguardo ai suoni, in un’intervista sul New York Times: «Dico sempre che il cinema è suono e immagine che si uniscono insieme nel tempo. Per me, il regista dovrebbe guidare quello che il pubblico vede e sente, dall’inizio alla fine, per soddisfare le idee. Deve avvenire tramite una persona (nbr. il regista). Quando tutti gli elementi si uniscono insieme, ottieni questa cosa dove il tutto è maggiore dell’insieme delle parti».
E così valeva anche per Stanley Kubrick: sempre in Odissea nello spazio la dimensione dell’immagine e la dimensione del suono, vanno a creare la tridimensionalità del film, dove anche il silenzio vuole la sua parte, proprio in un luogo come lo spazio dove “nessuno può sentirti urlare” (giusto per citare la famosa tagline di Alien (1979) di Ridley Scott), così come i silenzi e le urla - distorte in questo caso - sono importanti per David Lynch e il suo Twin Peaks.
L’episodio otto ci porta così, con una lunghissima carrellata, nei possenti fumi del fungo atomico - e mai prima di questo episodio effetto speciale era risultato più maestoso e vero di questo rispetto a quelli degli episodi iniziali ad opera della compagnia francese BUF, così grezzi e ‘artigianali’, ma che sempre ritornano nei lavori di Lynch (come nel corto citato prima) - dove il fuoco primordiale si muove rapidamente tra pulviscoli elettrici, protoni ed elettroni vorticosi che ricordano gli allucinanti lavori di Stan Brakhage: Brakhage è stato una delle più importanti figure del cinema sperimentale del XX secolo, e in cinque decadi di carriera ha esplorato diversi formati con cui lavorare e approcciato diverse tecniche, a partire dalla pittura applicata direttamente sulla celluloide, fino al montaggio rapido; interessato in particolar modo alla mitologia e ispirato dalla musica, ha esplorato temi particolari nei suoi lavori come la nascita, il sesso, la mortalità e la ricerca di Dio.
È innegabile dopo queste precisazioni, come vi sia più di un collegamento con il nuovo Twin Peaks, con questo episodio nello specifico, ma nel completo anche con la cinematografia di David Lynch: nella sequenza citata dell’episodio otto, il richiamo è in particolar modo rivolto al corto di Brakhage dal titolo Black Ice del 1994, ma le citazioni provengono anche dai suoi altri lavori quali Stellar, del 1993, e da quello che viene considerato il capolavoro del genere sperimentale, Dog Star Man, questa sorta di epopea cosmica costruita su quattro corti e un preludio, elaborati tra il 1961 e il 1964.
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Informazioni tesi
Autore: | Davide Merola |
Tipo: | Tesi di Laurea |
Anno: | 2016-17 |
Università: | Università degli Studi di Pisa |
Facoltà: | Scienze della Comunicazione e dello Spettacolo |
Corso: | Discipline dello Spettacolo e della Comunicazione |
Relatore: | Alessandra Lischi |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 49 |
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