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Nuove geografie dell'innovazione: quali ruoli per l'economia circolare?

Il contesto normativo e produttivo del riciclo italiano

Ha da poco compiuto venti anni il Decreto Legislativo n. 22 del 5 febbraio 1997, meglio conosciuto come Decreto Ronchi, la prima forma di disciplina organica in ambito riciclaggio dei rifiuti che il nostro paese ha avuto e che l’ha portato, negli ultimi due decenni, ad essere uno dei primi paesi nell’area Ue in termini di quantità di rifiuti riciclati (Fondazione per lo sviluppo sostenibile e FISE UNIRE, 2017) e (Eurostat, 2012).
Questa ricorrenza coincide con l’approvazione congiunta del Pacchetto sull’economia circolare da parte di Consiglio e Parlamento Ue, le cui direttive dovranno essere recepite da ciascun Stato membro dell’Unione e che potrebbero dare ulteriore slancio al settore aprendo un ventaglio di nuove opportunità.

Il Decreto, attuando e coordinando le direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggi, ha contribuito a creare un tessuto industriale che ha raggiunto una dimensione e dei numeri importanti, portando il settore del riciclo italiano a produrre, nel 2015, un valore aggiunto pari a circa l’1% dell’intero PIL italiano (Fondazione per lo sviluppo sostenibile e FISE UNIRE, 2017).
Per comprendere meglio il fenomeno, riportiamo una serie di dati rilevati da Ecocerved ed elaborati dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile e FISE UNIRE nel documento “L'Italia del Riciclo 2017”, dai quali si evince che la quota relativa l’attività di recupero di materia ed energia è passata dal 38% nel 1997 al 55% nel 2015, quella relativa allo smaltimento si è ridotta passando dal 46% nel 1997 al 16% nel 2015 ed infine la quota di rifiuti destinata al pretrattamento è passata dal 17% nel 1999 al 29% nel 2015 (Fondazione per lo sviluppo sostenibile e FISE UNIRE, 2017).

Il settore conta in totale oltre 10.500 imprese, di cui due terzi fanno dell’attività di gestione dei rifiuti allo scopo di recuperarli o smaltirli il proprio core business mentre la restante parte svolgono questa attività come secondaria o comunque a margine di quella principale caratteristica. Andando ad analizzare le imprese del settore per dimensione, osserviamo che le piccole medie imprese che contano tra i 10 e i 49 addetti contano la quota più ampia rappresentando circa 24,1% sul totale contribuendo al recupero di ben il 43% del totale dei rifiuti recuperati a livello nazionale (Fondazione per lo sviluppo sostenibile e FISE UNIRE, 2017).

Secondo i dati Ecocerved, l’impresa media al settore ha un fatturato pari a circa 16 milioni di euro, quasi il doppio rispetto allo stesso dato rilevato nel 2003, ed il valore aggiunto medio per addetto si assesta a circa 36 mila euro, in netta crescita rispetto all’equivalente nel 2003 (Fondazione per lo sviluppo sostenibile e FISE UNIRE, 2017).

Andando ad approfondire i suddetti dati per classe dimensionale delle imprese, scopriamo che le piccole medie imprese tra i 10 e i 49 addetti, oltre ad avere la maggior quota di mercato, vantano anche il livello medio di valore aggiunto per addetto più alto nel 2015. (Fondazione per lo sviluppo sostenibile e FISE UNIRE, 2017).

I dati sopraesposti dimostrano come, grazie ad una normativa ambientale che ha disciplinato le attività di gestione dei rifiuti, alle soluzioni innovative fornite dalle tecnologie ed un cambiamento culturale di consumatori ed imprese, il nostro paese abbia assistito, nell’ultimo ventennio, alla nascita e strutturazione di un vero e proprio settore industriale del riciclo e come questo sia stato trainato principalmente dalla classe delle piccole e medie imprese.
L’approvazione del Pacchetto europeo sull’economia circolare (2017), rappresenta un momento estremamente propizio per il sistema industriale italiano per ripensarsi ed evolversi offrendo l’opportunità di affrontare le sfide che scaturiranno dall’inevitabile trasformazione che vivranno la società in generale ed il mondo del riciclo in particolare passando dalla struttura tipica dell’economia lineare a quella totalmente innovativa dell’economia circolare.

In un tale contesto, le istituzioni e i decisori politici ricopriranno un ruolo chiave, avendo il compito di adottare le misure adeguate al fine di creare un clima di fiducia nell’opinione pubblica intorno al concetto di economia circolare, tramite una serie di politiche orientate sia alla domanda che all’offerta, come ipotizzato sia da Moretti (2013) che da Mazzuccato (2014). Tali politiche dovranno, quindi, stimolare il consumatore ad un consumo più responsabile e consapevole, prediligendo i prodotti ed i servizi provenienti da un sistema produttivo improntato alla circolarità e, al contempo, supportare i produttori tramite agevolazioni fiscali volti a incentivare la ricerca, l’ecodesign, il re-manufacturing e l’utilizzo di materie prime secondarie. Tramite
regolamentazioni che favoriscano condizioni di concorrenza di mercato, inoltre, dovranno contrastare la concorrenza sleale, gli echi reati e garantire una continuità normativa che favorisca gli investimenti in tecnologie innovative.

A tal proposito, il piano nazionale Impresa 4.0 costituisce l'occasione per le aziende che intendono cogliere le opportunità legate a questa rivoluzione industriale green per investire ed aumentare la propria competitività. Il piano mira a favorire lo
sviluppo di smart factories, basando il proprio paradigma su alcuni ambiti tecnologici specifici tra i quali citiamo Advanced Manufactoring Solution, Additive Manufacturing, Augmented Reality, Horizontal/Vertical Integration, Industrial Internet, Cloud, Cyber-
Security, Big Data and Analytics, mirando ad incentivare investimenti in digitalizzazione e ad aumentare la competitività tramite una serie di misure che elenchiamo di seguito:

· Iper e super ammortamento: supervalutazioni del 250% o del 140% degli investimenti in beni materiali e strumentali nuovi o in leasing (Ministero dello Sviluppo Economico, 2018);
· Nuova Sabatini: agevolazione che mira a favorire l’accesso al credito al fine sostenere gli investimenti in macchinari, attrezzature, impianti, beni strumentali ad uso produttivo e hardware, nonché software e tecnologie digitali (Ministero dello Sviluppo Economico, 2018);
· Fondo di garanzia per le PMI: agevolazione la cui finalità è quella di favorire l’accesso ai finanziamenti delle piccole e medie imprese mediante la concessione di una garanzia pubblica senza richieste di garanzie da parte delle imprese sugli importi garantiti dal Fondo (Ministero dello Sviluppo Economico, 2018);
· Credito d’imposta R&S: è un credito d’imposta del 50% sulle spese incrementali in ricerca e sviluppo sostenute per le spese negli ambiti relativi a ricerca fondamentale, ricerca industriale e sviluppo sperimentale (Ministero dello Sviluppo Economico, 2018);
· Startup e PMI innovative: quadro di riferimento normativo agevolato e dedicato in termini di semplificazione amministrativa, mercato del lavoro, agevolazioni fiscali e diritto fallimentare (Ministero dello Sviluppo Economico, 2018);
· Patent Box: tassazione agevolata sui redditi derivanti dall’utilizzo di alcune tipologie specifiche di beni immateriali (Ministero dello Sviluppo Economico, 2018);
· Centri di competenza ad alta specializzazione: la misura promuove la costituzione dei centri di competenza ad alta specializzazione su tematiche Impresa 4.0, nella forma del partenariato pubblico-privato (Ministero dello Sviluppo Economico, 2018).

Lo scopo delle suddette misure, con un occhio di riguardo al comparto delle PMI, che come abbiamo visto rappresentano la classe trainante nel settore del riciclo, è favorire le tecnologie digitali, fattore chiave per trasformare il comparto industriale, allineandolo alla nuova visione circolare europea, ed aumentare competitività ed efficienza.

I meccanismi tramite i quali storicamente è stato prodotto valore, innovazione, occupazione e benessere sono destinati ad essere soppiantati da nuovi modelli di business nei quali asset fisici, prodotti e informazioni saranno interconnessi, sia all’interno delle nuove smart factories che all’interno della catena del valore, consentendo di progettare il ciclo di fabbricazione dei prodotti tenendo conto, già in fase di design, sia della fase relativa di primo utilizzo che a quella relativa al riutilizzo, in una logica di sostenibilità ambientale ed economica.
In un tale contesto, la digitalizzazione rappresenta un fattore determinante per consentire la transizione verso l’auspicato modello di economia circolare.

Nei prossimi due paragrafi, l’obiettivo è di indagare dove sta avvenendo, in Italia, questa trasformazione, questo cambio di paradigma, già in parte avviatosi. Più nel dettaglio, l’obiettivo è di ricostruire una geografia d’insieme, una sorta di mappa, dei comparti che hanno espresso maggiore capacità di innovazione e dei caratteri delle imprese più innovative. A questo scopo, sono stati analizzati i risultati di una ricognizione sul territorio fatta da Legambiente (2017) alla ricerca dei “campioni” dell’economia circolare, quelle piccole e medie imprese che, dotate di spirito pioneristico e creatività, hanno investito in innovazione per sviluppare realtà che siano sostenibili ma anche inclusive.
Andremo anche a vedere il punto di vista delle grandi aziende per capire come reagiscono a questo cambio di visione per concludere, poi, con una disamina su quale possa essere il ruolo dello Stato italiano al fine di accompagnare e stimolare questo processo di cambiamento, analizzando quali possano essere gli strumenti economici e fiscali di stimolo allo sviluppo, sia dal lato della domanda che da quello dell’offerta.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Nuove geografie dell'innovazione: quali ruoli per l'economia circolare?

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Informazioni tesi

  Autore: Simone Martini
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2016-17
  Università: Università Telematica "Universitas Mercatorum"
  Facoltà: Economia
  Corso: Management
  Relatore: Aurora Cavallo
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 111

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