Aspetti fonetico-fonologici nel parlato di apprendenti francofoni: dalla ricerca alla proposta didattica in italiano LS
Descrivere l’errore nell’apprendimento di una L2
Definire un errore è una questione complessa in quanto si tratta di un fenomeno che non è possibile trattare in modo univoco.
Tuttavia esistono una serie di criteri e categorie a cui possiamo riferirci per descrivere cosa sia l’errore e riflettere su cosa esso rappresenti nel processo di apprendimento.
I criteri linguistici dell’errore
In Cattana, Nesci (2004) troviamo una descrizione dell’errore in base ad alcuni criteri: il criterio della correttezza, dell’appropriatezza, della comprensibilità, della soggettività, della flessibilità.
Il primo criterio, contestato dalle studiose, mette in rilievo il fatto che ogni lingua è un codice cioè un insieme di elementi governato da un insieme di regole. Dato ciò, viene considerata inaccettabile e quindi erronea ogni espressione linguistica che non rispetti il sistema di regole prestabilito.
In particolare Cecilia Adorno approfondisce il confronto tra la produzione linguistica dell’apprendente e quella di un parlante nativo in quanto sostiene che l’errore costituisca “lo scarto tra la produzione di un apprendente e una corrispondente produzione giudicata appropriata e normale per un parlante nativo”. L’errore rappresenta quindi una deviazione rispetto alla norma stabilita dalla comunità linguistica e diventa in questo senso importante saper classificare un enunciato come produzione accettabile di un parlante nativo.
Come già detto, il problema principale di questo criterio è che la norma non è condivisa da tutti i parlanti di una comunità ed è un concetto variabile ed instabile. Di conseguenza varia anche il concetto di errore: alcuni parlanti nativi possono considerare errore ciò che per altri non lo è, e viceversa, e la gravità di un errore si rifà ad una valutazione soggettiva perchè può cambiare da insegnante a insegnante.
Inoltre a rendere la situazione più problematica interviene il rapporto tra norma ed uso. Infatti anche il giudizio dei parlanti può stabilire se un’espressione linguistica può considerarsi o meno accettabile. L’importanza dell’uso che i parlanti fanno della lingua è assolutamente fondamentale: nella storia della lingua italiana possiamo constatare come alcune forme considerate erronee si siano poi imposte nella realtà quotidiana fino a diventare norma stabilita.
Cattana – Nesci citano a questo proposito l’Appendix Probi, documento romano del III-VI d.c., emblema dell’evoluzione storica della lingua italiana. L’ Appendix è un elenco di parole in quell’epoca scorrette ma diffuse nel latino parlato quotidiano, che vengono messe a confronto con quelle corrette. Confrontando le forme italiane attuali con quelle latine è evidente che le prime siano derivate dalle forme latine giudicate a quel tempo scorrette e non da quelle corrette (càlida e non calda in latino ma calda in italiano).
Il secondo criterio, quello dell’appropriatezza, rimanda all’idea che un enunciato deve essere adatto alla situazione sociale in cui viene espresso. La lingua è infatti uno strumento comunicativo che si colloca in un particolare contesto sociale.
Si parla a tal proposito di competenza comunicativa per descrivere “la capacità del parlante di selezionare nell’ambito di tutte le espressioni grammaticali a sua disposizione quelle forme che riflettono in modo appropriato le norme sociali che governano il comportamento in situazioni specifiche”.
In questo caso quindi l’errore può essere rappresentato da una forma che, seppur grammaticale, non raggiunge lo scopo comunicativo non consentendo un’interazione efficace tra membri della stessa comunità. Infine il concetto di appropriatezza è legato alla provenienza geografica e alla condizione sociale dei parlanti.
Il terzo criterio è quello della comprensibilità e si basa sull’idea che la comunicazione tra parlanti avviene quando il messaggio viene compreso dall’interlocutore, anche se questo contiene infrazioni alle regole grammaticali. Vengono quindi considerati errori quelli che viceversa rendono difficile o impediscono la comprensione.
Tale approccio è alla base del metodo comunicativo, tollerante nei confronti di tutti quegli errori che non ostacolano la comprensione. Il rischio in questo campo è il fenomeno di fossilizzazione, di cui si tratterà più avanti.
Troviamo poi il criterio della soggettività che si riferisce ad una questione già anticipata per il primo criterio, ovvero alla varietà della norma. Lo studente in classe è obbligato a confrontarsi solo con la norma impostagli dall’insegnante che può essere diversa da quella degli altri insegnanti. Infatti dobbiamo ricordare che non sempre ciò che prescrive la grammatica può essere considerato rappresentativo dell’uso linguistico reale ed effettivo. Si pensi alla generalizzazione, ormai sempre più diffusa, del complemento di termine maschile singolare gli al posto del suo corrispettivo femminile le.
In questo caso accade spesso che ci sia un’oscillazione ed un’incertezza nel considerare tale fenomeno linguistico in quanto, seppur affermatesi nell’uso quotidiano in situazioni di oralità, non è ancora stato accettato dalla grammatica, o almeno non da tutte. Un insegnante può quindi decidere di mostrarsi più sensibile e vicino all’uso linguistico decidendo di non correggere l’apprendente quando nel parlato usa il complemento diretto maschile singolare gli per riferirsi al genere femminile oppure no. L’insegnante è comunque tenuto a far notare la differenza tra i due complementi diretti spiegando che la generalizzazione di gli, anche se non ancora accettata dalle grammatiche, è effettivamente diffusa nella lingua orale.
Perciò, il criterio della soggettività si riferisce alla soggettività dell’insegnante e alle sue personali considerazioni e idee rispetto a ciò che deve essere sanzionato.
Infine aggiungiamo un ultimo criterio, quello della flessibilità: l’insegnante deve assumere un atteggiamento flessibile a seconda dell’apprendente e del contesto in cui questo si trova.
Se nell’esercizio linguistico, proposto allo studente, l’obiettivo principale è che lo studente riesca ad esprimersi e a trasmettere un determinato messaggio, l’insegnante darà maggiore importanza al raggiungimento di questo obiettivo comunicativo piuttosto che alla presenza di errori, evitando di interrompere lo studente. Inoltre nel caso di studenti più timidi e insicuri l’insegnante dovrà cercare di stimolarli facendo acquisire loro una maggiore sicurezza in fase di esposizione orale, evitando di segnalare ogni minimo errore e riservando la fase di correzione solo al termine della produzione dello studente, come del resto si consiglia di fare nella maggior parte dei casi.
Questo brano è tratto dalla tesi:
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Informazioni tesi
Autore: | Valentina Di Silvestro |
Tipo: | Tesi di Laurea Magistrale |
Anno: | 2014-15 |
Università: | Università degli Studi di Bologna |
Facoltà: | Lettere e Filosofia |
Corso: | Italianistica, culture letterarie europee, scienze linguistiche |
Relatore: | Cristiana Cervini |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 164 |
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