La posizione del cointeressato e del controinteressato nel ricorso straordinario al Presidente della Repubblica
Giurisdizionalizzazione del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica
L'analisi retrospettiva dell'evoluzione storica del ricorso straordinario ha fatto apprendere a tutti come il suo lungo e travagliato percorso sia stato disseminato da fasi incerte relative alla classificazione della sua natura giuridica.
Dottrina e giurisprudenza hanno cercato di dare risposte in un senso e poi in un altro, classificando il rimedio in questione come di natura amministrativa, giurisdizionale o sostanzialmente giurisdizionale, creando un oscuro alone di mistero. Questi non rari cambiamenti di orientamento hanno generato oscillazioni anche in tema di ammissibilità del ricorso stesso, nel senso che molti rinomati autori si sono pronunciati su una sua possibile eliminazione dal sistema giuridico, altri invece si sono espressi a favore di un ampliamento della sua portata.
Ma procediamo per gradi.
Il ricorso straordinario, nato molto prima che il Consiglio di Stato diventasse organo giurisdizionale, anzi, molto prima della Unificazione del Regno d'Italia, ha sempre avuto indubbia natura amministrativa. Al di fuori di qualche sporadica dottrina divergente, ha sempre conservato tale natura, anche in seguito alle profonde modifiche della sua disciplina, intervenute nei primi anni '70 del secolo scorso.
Il quadro tradizionale, tuttavia, è stato sovvertito con le ultime modifiche legislative, le quali hanno generato un dibattito non indifferente nelle aule delle giurisdizioni superiori, oltre che in sede teorica.
L'opinione prevalente ha da sempre sostenuto che, storicamente, il rimedio in esame dovesse configurarsi come esercizio di potere amministrativo. A sostegno di tale indirizzo c'erano peculiari caratteri del ricorso: la segretezza dell'attività istruttoria; l'assenza di una discussione orale; la circostanza che la decisione finale spettasse al Ministro, organo vertice della pubblica amministrazione – privo del fondamentale carattere della terzietà – cui era concessa la facoltà di discostarsi dal parere del Consiglio di Stato, investendo della questione il Consiglio dei Ministri. In ragione di tale orientamento, derivavano, perciò, rilevanti conseguenze di ordine processuale, come l'impossibilità da parte del Consiglio di Stato in sede consultiva di sollevare una questione di legittimità costituzionale; l'inammissibilità del ricorso per Cassazione avverso la decisione sul ricorso straordinario; nonché il dibattito sull'ammissibilità o meno del rimedio dell'ottemperanza, al fine di obbligare l'amministrazione ad eseguire la decisione finale.
Di contro, secondo l'altra impostazione tradizionale, il ricorso in esame era, sì, un atto amministrativo in tutte le sue manifestazioni procedimentali (ovverosia la relazione, il parere ed il decreto presidenziale), ma sostanzialmente aveva contenuto decisorio. La decisione, infatti, veniva e viene tuttora assunta da un organo giudicante, i cui componenti esercitano funzioni consultive e giurisdizionali, in forza di appartenenza ad un ordinamento giudiziario.
Orbene, secondo tale pensiero (oggi condiviso dalla stragrande maggioranza della dottrina e della giurisprudenza), il ricorso straordinario sarebbe funzionalmente identico al ricorso giurisdizionale.
Il parere reso dal Consiglio di Stato, in effetti, aveva un contenuto simile a quello di una sentenza, tenuto conto anche della quasi corrispondenza delle formule usate sia nell'art. 13 del D.P.R. n.1199 del 1971, che dell'art. 26 della legge n.1034 dello stesso anno, per descrivere la tipologia dei poteri decisori affidati, rispettivamente, al giudice ed alla sezione consultiva del Consiglio di Stato.
A questo punto, secondo alcuni autori in dottrina, tenendo conto di questa doppia veste del parere del Consiglio di Stato, bisognava conferire prevalenza all'attività giurisdizionale del parere (per funzione e contenuto), altrimenti non si sarebbe spiegato il principio di alternatività con il ricorso giurisdizionale, il quale presuppone, appunto, un'identità naturale tra i due strumenti di tutela. A dare maggiore credito a quest'orientamento c'erano caratteri del tutto peculiari al ricorso: la piena garanzia del contraddittorio (assicurata dalla necessaria notificazione del ricorso ad almeno uno dei controinteressati “nei modi e nelle forme prescritti per i ricorsi giurisdizionali”, art. 9 D.P.R. n.1199/1971); la circostanza che il parere semivincolante del Consiglio di Stato che precedeva la decisione fosse stato qualificato “espressione di un'attività di pura e semplice applicazione del diritto oggettivo” (Cons. Giust. Amm. Reg. Sic., 19 ottobre 2005, n.695, in Foro amm., 2005, 3066); l'assimilazione ad una vera e propria sentenza della decisione finale, la quale, pur non costituendo un giudicato in senso tecnico, poteva comunque ritenersi sostitutiva della decisione del giudice in forza del principio dell'alternatività già citato (T.A.R. Toscana, Sez. II, 15 marzo 2000, n.451); infine, una pronuncia della Corte di Giustizia33 con la quale il supremo organo di giustizia dell'Unione Europea qualificava espressamente “organo giurisdizionale” il Consiglio di Stato che emette il parere nell'ambito del procedimento di un ricorso straordinario, riconoscendogli, inoltre, la facoltà di adire la stessa Corte ai sensi dell'art. 177 (ora 234) del Trattato CE.
Considerati tali elementi, il termine giurisdizionalizzazione iniziava ad essere utilizzato a tutti gli effetti sia in dottrina che in giurisprudenza, grazie dunque all'opera dei Giudici nazionali e comunitari, attraverso continui interventi normativi, le cui tappe possono essere sintetizzate nel modo seguente.
Il primo passo è stato l'estensione della tutela cautelare al ricorso straordinario, ad opera dell'art. 3 comma 44 della L. 21 luglio 2000 n.205, il quale ha previsto che, nell'ambito di tale rimedio, possa essere concessa, su richiesta del ricorrente che abbia lamentato danni gravi ed irreparabili, la sospensione dell'atto impugnato, disposta con atto motivato del Ministero competente, su parere conforme del Consiglio di Stato.
Dopodiché, sono state introdotte radicali modifiche all'istituto con l'intervento della legge 18 giugno 2009 n. 69, recante “Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile”, con la quale il legislatore ha inteso operare in modo organico con un intervento volto a risolvere anche e soprattutto quei nodi interpretativi che la giurisprudenza (e in parte la dottrina) aveva fatto emergere nel corso degli anni.
In particolare, l'art. 69 della legge citata ha modificato sia l'art. 14 del D.P.R. 24 novembre 1971 n.1199, rendendo pienamente vincolante il parere delle sezioni consultive del Consiglio di Stato, sia l'art. 13 dello stesso D.P.R., legittimando espressamente il Consiglio di Stato in sede consultiva a sollevare questioni di legittimità costituzionale34.
Con tali modifiche, il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica ha assunto una connotazione ancora più giurisdizionale che amministrativa, in quanto, da un lato, il Ministro non può più discostarsi dal parere del Consiglio di Stato, sottoponendo la questione al Consiglio dei Ministri, e, dall'altro, le sezioni consultive del Consiglio di Stato – al pari di quelle giurisdizionali – sono legittimate a sollevare questioni di legittimità costituzionale.
La riforma del 2009, da molti vista come una possibilità di adeguamento dell'ordinamento italiano ai principi della CEDU, ha trovato conferma nel codice del processo amministrativo il quale, attraverso due importanti disposizioni, ha confermato la natura giurisdizionale del rimedio in questione. [...]
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La posizione del cointeressato e del controinteressato nel ricorso straordinario al Presidente della Repubblica
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Informazioni tesi
Autore: | Antonio Ranieri |
Tipo: | Tesi di Laurea Magistrale |
Anno: | 2015-16 |
Università: | Università degli Studi di Napoli - Federico II |
Facoltà: | Giurisprudenza |
Corso: | Giurisprudenza |
Relatore: | Giovanni Leone |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 88 |
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