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Storia critica del rapporto Antonello da Messina - Piero della Francesca (da Roberto Longhi ai giorni nostri)

Rovereto, MART, 5 ottobre 2013 – 12 gennaio 2014

Il catalogo della mostra del Mart si apre con un interessante dialogo tra Federico de Melis e Ferdinando Bologna. Il professore Bologna spiega in questo dialogo tutto il percorso stilistico di Antonello da Messina, cominciando dalla giovinezza dell’artista.
Bologna sottolinea che, secondo Vasari, Antonello ebbe familiarità con l’ambiente palermitano. Questo soggiorno a Palermo è disatteso o addirittura taciuto dalla critica, invece esso avvenne e provocò nell’artista una folgorazione figurativa ricca di conseguenze. «Gli anni da considerare sono quelli della prima giovinezza di Antonello. Vasari non dice nulla della situazione artistica palermitana in quel momento, ma noi sappiamo che a Palazzo Sclafani, tra il 1445 e il 1448 circa, un maestro spagnolo di grande levatura, rimasto finora senza nome, lavora alla realizzazione del murale con il Trionfo della Morte, oggi musealizzato a Palazzo Abatellis: un dipinto di importanza fondamentale per l’Italia del Sud che Antonello dové vedere quando era ancora in esecuzione, ricevendone una sollecitazione decisiva».

Bologna sostiene che il murale di Palazzo Abatellis è un continente di storia pittorica. E dentro questo continente si tratta di individuare quali sono gli aspetti che, intrecciati con altri della cultura mediterranea, possono avere interessato il giovane Antonello.
Il collegamento che si offre più evidente, secondo Bologna, è con la Sant'Eulalia (Vergine leggente) della collezione Forti, che è considerata opera precoce. L’elemento su cui emerge la personalità di Antonello, ribadisce De Melis, è il realismo della parte più significativa del Trionfo della Morte. Bologna sottolinea che si può parlare di realismo: si tratta di gotico naturalizzato, la cui radice realistica balza in primo piano.

Tale realismo proviene dalla scultura borgognona di Claus Sluter e Claus de Werwe ripresa nella pittura fiamminga che Renato d’Angiò aveva portato in Provenza dopo gli anni della sua prigionia a Digione, alla corte di Borgogna, dove si trovava ancora nel 1436 e dove si era familiarizzato con le novità del realismo epidermico di Van Eyck. L’incontro tra queste due componenti mise capo all’opera del Maestro dell’Annunciazione di Aix, che seppe amalgamarle con la novità, a lui propria, di un senso tagliente e costruttivo della luce. È da questo insieme di fenomeni collegati che l’autore principale del Trionfo della Morte trae il suo realismo.

È in questo giro mediterraneo che si collocano gli inizi di Colantonio, maestro di Antonello. Colantonio si forma sulla cultura borgognona – provenzale portata a Napoli da re Renato d’Angiò. «Un aspetto ulteriore riguarda l’influenza degli spagnoli nel Meridione d’Italia: anche il giovane Antonello ne è toccato, sia pure in superficie». «In lui tale influenza funziona come una specie di scorza culturale. Ma bisogna distinguere: un conto è il sostrato catalano, con cui egli viene in contatto attraverso il Maestro del Trionfo della Morte, un conto è la ben più timida componente valenzana, presente a Napoli nella figura di Jaime Jacomart Baço, chiamato da re Alfonso nel 1443».

Questa componente valenzana del primo Antonello è stata malintesa da una parte della critica, ribadisce Bologna, al punto di deviare verso la Spagna l’attribuzione sia della Sant'Eulalia, sia dell’opera che segue, l’Annunciata di Como: due pezzi cardine per gli esordi dell’artista siciliano.
Longhi definiva nel 1953 l'Annunciata di Como: «ritratto di monaca di casa», a qualificarne l’intensità naturalistica.
Iconograficamente il riferimento più immediato è alle monache di Colantonio, che figurano nella “cona” di San Lorenzo con San Francesco che dà la regola agli ordini francescani. L’Annunciata di Como, infatti, si pone come la ricostruzione in progresso di una di queste monache colantoniane sulla base di un primo contatto con Piero della Francesca, la cui lezione appare determinante, già durante la giovinezza di Antonello, nella stagione napoletana.

Bologna ricorda poi che Lionello Venturi sosteneva che Antonello tendeva alla “regolarizzazione della forma” fin dal primo momento e che Longhi mise in valore questo giudizio, affermando che è certamente così, perché alla base, da subito c’è la presenza di Piero.
E questa presenza si manifesta nell’Annunciata di Como e non ancora nella Sant'Eulalia, che dipende esclusivamente dal Trionfo della Morte palermitano. La Sant'Eulalia è stata attribuita ad Antonello da Giuseppe Fiocco nel 1950, l’Annunciata di Como è un’attribuzione di Bologna del 1977. Questi due dipinti hanno dato un volto agli esordi dell’artista siciliano. Una parte della critica attuale tende a espellerli dal catalogo di Antonello, facendo tabula rasa della sua prima giovinezza.

Alla base della formazione di Antonello, dunque, vi è la cultura borgognona rielaborata da Colantonio, che continua i lavori della “cona” di San Lorenzo, realizzando il pannello superiore con San Francesco che dà la regola agli ordini francescani. Subentrano in quest’opera una luce dolcemente meridiana e un primo assaggio di cultura prospettica, che non possono spiegarsi in Colantonio se non con un nuovo determinante incontro: con Jean Fouquet.
Fouquet portò a Napoli l’esperienza fatta a Firenze, dove potè vedere non solo gli affreschi di Beato Angelico in San Marco, ma anche il coro di Sant’Egidio, in seguito distrutto, che Domenico Veneziano aveva realizzato con Piero esordiente.
Il francese portò quindi a Napoli una pittura luminosa di matrice fiorentina.

Bologna ipotizza quindi che Antonello, nella bottega di Colantonio, abbia assorbito l’aspetto moderno della pittura di Fouquet, sviluppandolo subito in senso specificamente pierfranceschiano.
Bologna ipotizza un possibile viaggio di Piero a Napoli, partendo dal ritratto Re di Ragona del Museo Jacquemart -André di Parigi. In questo ritratto di Alfonso d’Aragona i termini sono assolutamente pierfranceschiani, al punto da far sospettare che esistesse un originale di Piero da cui deriva il dipinto parigino, il quale sarebbe perciò una copia. E il prototipo franceschiano doveva essere simile al Bologna quindi suppone che Piero della Francesca fosse sceso a Napoli prima del 27 giugno 1458, giorno di morte del re d’Aragona, ma sicuramente dopo il 1451, anno del ritratto riminese di Sigismondo.

Il soggiorno napoletano di Piero si inserisce tra i due viaggi a Roma, il primo, connesso al pontificato di Niccolò V, doveva cadere entro il 24 marzo 1455, data di morte del papa. Il secondo soggiorno romano è documentato per gli anni 1458-59, quando Piero lavora in Vaticano per Pio II.
Il soggiorno di Piero a Napoli, quindi, secondo Bologna, avvenne tra il 1451 e il 1455. «E in questa circostanza Antonello ancora giovane potrebbe averlo perfino conosciuto».

Dopo il periodo borgognone – colantoniano, e in parallelo con gli accrescimenti franceschiani e foquetiani, Antonello matura un acuto interesse per le fonti del movimento mediterraneo in cui si era venuto imbattendo: i maestri fiamminghi, come Jan van Eyck, del quale poteva avere fatto esperienza nelle collezioni di Alfonso, che coadiuvato dalla cerchia degli intellettuali di corte, favorì e promosse l’opera dei fiamminghi.

Dopo la stagione napoletana Antonello ritornò a Messina, come dicono due atti notarili del 1457. Dal 21 aprile 1457 al 15 gennaio 1460, quando, grazie a un altro documento, si sa che sta per rientrare in patria, Antonello scompare dagli archivi della sua città, quindi Bologna suppone una prolungata permanenza fuori dalla Sicilia, durante la quale Antonello deve aver arricchito di esperienze nuove il suo bagaglio culturale.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Storia critica del rapporto Antonello da Messina - Piero della Francesca (da Roberto Longhi ai giorni nostri)

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Informazioni tesi

  Autore: Paola Bottone
  Tipo: Tesi di Laurea
  Anno: 2015-16
  Università: Università degli Studi Suor Orsola Benincasa - Napoli
  Facoltà: Conservazione dei Beni Culturali
  Corso: Conservazione dei Beni Culturali
  Relatore: Carmela Vargas
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 120

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