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La relazione tra modulazione della prossimità spaziale e attaccamento

Cosa accade quando siamo costretti ad utilizzare nell'interazione uno spazio con l'altro che ci appare inappropriato?

Immaginiamo un’interazione fra un venditore porta a porta e un possibile acquirente. Il venditore che insiste per far comprare un prodotto probabilmente utilizzerà una distanza interpersonale minore rispetto a quando l’altro vorrebbe.

Un’invasione dello spazio personale porta l’altro a sovraccaricarsi di stimolazioni e, quindi, a percepire un certo livello di stress. Le reazioni di coping del soggetto mireranno a riportare il livello di stress ad un livello accettabile, e questo rispetto alle proprie emozioni, ai propri comportamenti e al livello di benessere psicologico. Tale modello prevede che quando vi è una eccessiva stimolazione (overarousal) e un’attribuzione negativa di questa, per raggiungere l’equilibrio si attivano tutta una serie di processi per ristabilire e riportare l’arousal ad un livello normale. Le modalità compensatorie possono cambiare l’orientamento del corpo, distogliere lo sguardo, o abbassare il livello di interesse. In un esperimento di Sommer e Felipe (1969) condotto negli anni 60, un collaboratore dello sperimentatore cercava in un parco, panchine occupate da una sola persona e si poneva a sedere al loro fianco a circa 15 cm.

Ciò veniva percepito ovviamente come non appropriato, in quanto sappiamo che in un parco, quando una panchina è già occupata, sappiamo di doverci sedere il più possibile lontani da chi è già seduto. Dopo che il collaboratore dello sperimentatore si era seduto, il 20% delle persone vicine si è alzato, in quanto aveva percepito disagio, mentre il 65% ha resistito 20 minuti prima di andare via. Nella condizione di controllo, in cui nessuno si sedeva accanto, solo il 35% ha aspettato così poco tempo prima di andare via. Tale studio evidenzia che una delle modalità messe in atto per abbassare il livello di stimolazione ritenuta eccessiva, è quella di andare via e fuggire. In un’altra ricerca, un collaboratore si avvicinava a chi stava attraversando la strada in corrispondenza di un passaggio pedonale. Si è osservato, anche qui, che più la distanza fra i soggetti (sia maschi che femmine) e lo sperimentatore tendeva a diminuire, più i soggetti attraversavano veloci. Knowles e Matter (1976) hanno cercato di verificare se l’invasione dello spazio personale porta ad un’attivazione di tipo fisiologico come quello che avviene nel caso di stimolazione di tipo stressante.

In un loro studio i soggetti venivano filmati in un bagno pubblico maschile, vicino agli orinatoi maschili. Quando un uomo entrava nel bagno, il collaboratore si poneva al suo fianco, nell’orinatoio immediatamente accanto, o in quello più laterale, in modo da lasciare nel mezzo dello spazio libero. Nella condizione di controllo l’uomo veniva lasciato da solo nel bagno. Le variabili studiate in questo esperimento, a dire il vero molto originale, erano la durata della minzione e la sua latenza, ovvero l’intervallo che intercorreva fra l’assunzione della posizione e l’inizio della fuoriuscita dell’urina. I risultati hanno confermato che l’invasione dello spazio personale, soprattutto in tale contesto, risultava molto stressante. Il soggetto quando entrava un’altra persona e lasciava lo spazio fra di loro, iniziava ad urinare con un leggero ritardo, ma il tempo aumentava quando il collaboratore si metteva proprio di fianco. Gli strumenti che abbiamo a disposizione per far fronte a tale situazione di stress e tensione sono vari. Essi vanno dallo spostamento, alla fuga, fino al cut-off (tagliare la stimolazione esterna e garantire il proprio isolamento). Per spiegare in cosa consista l’isolamento pensiamo alla situazione che osserviamo molte volte in una biblioteca. Quando siamo lì e qualcuno si siede di fianco, spesso alziamo il braccio accanto a lui e poggiamo il capo sulla mano alzata. In tal modo creiamo una barriera che sottolinea il desiderio di rivendicare uno spazio per la concentrazione e la lettura. Quando invece ci troviamo in una sala d’attesa e qualcuno si siede accanto a noi, spesso ruotiamo il busto nella parte opposta quasi come per allontanare le gambe, o per incrociarle, mettendo in alto quella che sta vicino allo sconosciuto. Altra tecnica è quella, prima menzionata, dell’evitamento dello sguardo altrui. Pensiamo a quando siamo in un autobus o in un treno densamente pieno di persone. La tattica usata per “allontanare” chi ci è vicino è quella di guardare i cartelloni pubblicitari attaccati sulle pareti distogliendo, in altre parole, lo sguardo. Altro contesto che si presta all’individuazione può essere quello degli ascensori. Dato il poco spazio, quando due persone che non si conoscono condividono un ascensore utilizzano dei moduli di comportamento stereotipati, proprio per evitare il contatto.

Quando qualcuno entra, guarda in basso o fa un piccolo cenno col capo, quasi come se stesse chiedendo il permesso di entrare. Spesso si guarda nel vuoto o si fissa l’indicatore luminoso che segnala il piano, o si legge l’etichetta che indica il carico trasportabile dall’ascensore. Sono varie, quindi, le strategie utilizzate per ignorare le persone vicino a noi, che invadono il nostro spazio personale e ci recano sensazioni stressanti e fastidiose. [...]

Questo brano è tratto dalla tesi:

La relazione tra modulazione della prossimità spaziale e attaccamento

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Informazioni tesi

  Autore: Antonella Serafino
  Tipo: Tesi di Laurea
  Anno: 2013-14
  Università: Seconda Università di Napoli
  Facoltà: Psicologia
  Corso: Psicologia
  Relatore: Gennaro Ruggiero
Coautore: Antonella Serafino
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 76

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Parole chiave

prossemica spaziale modulazione
attaccamento embodied cognitio

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