Spirito e Polvere: Il Vitalismo nella poetica cinematografica di John Huston
Itinerari nel Vitalismo
Una storia lunga, che non nasce su pellicola, ma tra appunti di pensatori sparsi in lungo e largo per il mondo. Alla ricerca di qualcosa di comprovato vitalismo, mantenendo sempre densa in mente la doppia lucentezza del termine: da un lato la materia classica, quella che racchiude secoli di elaborazioni, divise tra esperimenti medico-biologici e concitati intrugli filosofici, dall'altro la nuova pelle, meno esagitata e più ancestrale, diretta da Huston.
Chiamarsi Vitalismo è una grande responsabilità; difatti, agli albori, si trattava di avere a che fare con molto più della semplice vita o di affiatati aloni umorali, di vissuti, come la intende Huston; a essere coinvolti erano direttamente il suo senso, il suo funzionamento, il suo "come vivi" e "perché esisti". C'entrano sempre i fenomeni, ma non quelli del caso-causa, bensì quelli molecolari-anatomici: frequenza degli impulsi che attraversano i nostri nervi, doti psicosomatiche dell'individuo, tensioni muscolari, stato di salute, valori corporei diventano l'indiscusso parametro di giudizio, la finta saggezza di una pseudo-certezza, la clausola responsoriale con cui avvalersi di protezione davanti a tutti i tipi di colpe, sempre misurate e sentenziate in virtù di un'ineccepibile legge e filosofia propria dell'organismo. Non c'era pensiero, sentimento e comportamento, la cui spiegazione apparisse insondabile; doveva sempre trattarsi necessariamente di una appurabile modalità di manifestazione del meccanismo fisico-celebrale della persona in questione. Si trattava di ridurre la vita a risultato di componenti fisiologiche, di gradazioni alchemiche di grassi e proteine, di reazioni metaboliche e sistematiche scientificamente dimostrabili.
Un materialismo in versione naturalistica, che già in parte era stato avvertito in opere come il De Vita di Marsilio Ficino (i quattro umori come residuo dei processi di espulsione messi in atto dalla bile, dalla cistifellea e dal pancreas), nella teoria dell'epifisi di Cartesio e, ancora prima, nella medicina ippocratica-galenica. Lo spirito incorporeo di Huston veniva sostituito dall'epidittico della perfezione nella forma dell'uomo-macchina. Niente era aspettato e inseguito, ma tutto costrittivamente espresso da un intrinseca obbedienza strutturale ad apparati ed organi, superbamente messa a punto, terribilmente impeccabile: gli scatti non erano decisione, ma solo liquidi che si incontravano al momento giusto nel posto giusto; i baci "prodotto" del concatenarsi fissato di regolamentari azioni psicofisiche; i bisogni e le parole, non esperiti, ma richiesti da sensori di auto-gestione microbiotica. La chiamano omeostasi.
L'espiazione di uno stato d'animo non era più il mondo che giungeva su di noi (come in Huston), ma l'organizzarsi (in questa traduzione, il Vitalismo sembra effettivamente occuparsi di qualcosa di molto simile al vegetale, semplicemente "messo al mondo") verso l'alterità che ci ronzava intorno, senza che mai interferisse con i sottoscritti, poiché, in un tale equilibrio ambientale tra "oggetti", nulla fa niente per nessuno, ma tutto imperituramente si dà (in primis "a noi", dal nostro corpo), quasi gratuitamente, né ricercato né impegnato dal feticcio della fatica. Nessun'anima, pura contemplazione, niente metempsicosì o orfismo; è questa la tesi sostenuta dal Vitalismo di discendenza medico-scientifica teorizzato da studiosi quali Leclerc de Buffon, Caspar Friedrich Wolff, Hermann Lotze, Claude Bernard: "Nei corpi viventi, continua il Bernard, c'è una disposizione, una specie di ordine che non si potrebbe trascurare di mettere in rilievo, perché essa è veramente il carattere più spiccato degli esseri organizzati. (…) I fenomeni vitali hanno certo le loro condizioni fisico-chimiche rigorosamente determinate: ma all'istesso tempo si subordinano e si succedono in un concatenamento e secondo una legge fissati in precedenza. Esiste come un disegno prestabilito nella struttura e nell'accrescimento di ciascun organismo e di ciascun singolo organo". Una progettistica fisiologica che imposta l'intera gamma delle attività e dei desideri inappellabili di cui costantemente l'uomo è schiavo. La folle teologia dell'etica spinoziana è qui applicata alla lettera: la conquista della libertà nella totale consapevolezza di un asservimento incondizionato: "Pensieri e idee, come tali, non hanno, va da sé, la minima forza di smuovere una massa o, in genere, di produrre un movimento; ma possono conseguire una tale forza in quanto sono modificazioni, o determinati stati o movimenti d'un che reale, d'una sostanza (…). Di guisa che, dunque, degli stati di una sostanza concreta fanno riscontro agli stati di altre sostanze concrete, essendo questi e quelli egualmente partecipi all'esistenza. Però il principio di causa ed effetto vale in tutta quanta la realtà, senza distinzione di corpi o spiriti. In tal modo viene superata ogni difficoltà. Per mezzo del concetto di sostanza, che è comune così allo spirito come al corpo, tutto riesce comprensibile. (…) Rappresentazioni, sentimenti, appetiti sono puri modi di manifestarsi, che gli stati interni della sostanza psichica [e fisica, NdC] assumono davanti alla nostra propria osservazione. (…) All'opposto quegli stati dell'anima, in quanto sostanza, interni, inconsci, sottraentisi per sempre all'esperienza, e non mai accessibili alla nostra percezione, possono, uniti agi stati di quell'altro reale che è il corpo, acquistare l'impulso da produrre un effetto sopra una massa ponendo un inizio di moto assolutamente nuovo".
Queste varianti dell'ilozoismo, del fisicalismo, del funzionalismo, non mancano di essere affiancate, all'altro polo, in una parallela corrispondenza, stavolta in funzione filosoficateorica, da una totale revisione degli argomenti, costruita nel corso dei secoli e secondo un preciso indirizzo umanistico. È a questo punto che veniamo ad occuparci di quella che, con ogni probabilità, è la tendenza maggiormente raffigurativa e comune con cui si è soliti immaginarsi il Vitalismo: l'uomo sulla soglia di un "magma incandescente", di un "flusso di vita", "espansiva eversione dell'io". A tal proposito, gli esempi illustri abbondano: Epicuro, tra i primi, parlava nei termini di una felicità da cogliere in ogni momento della vita, da inseguire testardamente, da ricercare in sé, al di là delle influenze portate dall'altro, amico o nemico che sia. Schopenhauer attestava il rinvenimento di una forza cosmica, la Volontà, in grado di aprire le porte ad una realtà incondizionata ed inesplorata (l'ascesi al Nirvana).
Nietzsche, sull'orlo di una posizione assai discutibile e forse intollerabile, cantava di un doppio movimento dialettico, chiuso e concatenato in sé, di distruzione e creazione successiva, in cui l'oltre-uomo (Ubermesch), stravolti i normali limiti spazio-temporali, avrebbe conferito a tutti l'ammirabile visione di una super-arte, cioè di un mondo che, scomparsa la concretezza meschina e svenevole degli inconvenienti e delle finalità, si inabissa nell'infinita durata di inestimabili avvistamenti sensoriali, di "lunghi (cioè interminabili, nell'idea che Nietzsche ha dell'amor fati) quadri".
Ma tutte queste sono soltanto formulazioni prive di una loro dichiarata sistemazione.
Perché ciò possa avvenire bisogna aspettare Henri Bergson, che del Vitalismo come teoria della "volontà di potere" è sicuramente il padre. Nasce con lui una corrente, definita e chiara, votata a sostenere i diritti per un dottrina che manifestasse, rigorosamente e metodologicamente, le crescenti difficolta umane nel continuare a stare con gli altri (a lavoro, in società, per strada, e non solo), l'incessante bisogno di un'elevazione, verso più agiate "dimensione della persona", una più armoniosa fidelizzazione ogivale dei "se spersonalizzati" che dilaniano le nostre forze emotive. Ma c'è una differenza fondamentale con Huston: Bergson annuisce all'uomo, il regista americano a situazioni dimensionali empiriche, disseminate dagli anni, rassicuranti nella loro conditio di indefinitezza, contenenti l'irrinunciabile necessità di essere godute, attraversate, sperimentate. Lo spirito, la qualità interiore primigenia, in Bergson si innesta nel singolo individuo, in Huston si espande (già la differenza di lessico dovrebbe dare la misura superiore, in termini quantitativi, della spazialità a cui ci riferiamo) uniformemente lungo il "farsi presente", nel senso di "momento per momento", dell'avvolgente disbrigo dell'ilare stasi vitalistica. È l'alleanza, un mettersi d'accordo, un patto tra lo stato dell'uomo e lo stato-vita. [...]
Questo brano è tratto dalla tesi:
Spirito e Polvere: Il Vitalismo nella poetica cinematografica di John Huston
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Informazioni tesi
Autore: | Enrico Caruso |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2014-15 |
Università: | Università degli Studi di Bologna |
Facoltà: | Lettere e Filosofia |
Corso: | Dams - Discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo |
Relatore: | Monica Dall'Asta |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 90 |
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