Analisi psicologica dell’esperienza di malattia tumorale in età evolutiva. I vissuti del bambino malato di cancro e la sua famiglia
Il bambino affetto da cancro e la sua famiglia
La diagnosi di cancro e il dilemma della comunicazione
Quando i professionisti della salute che hanno in carico un piccolo paziente dispongono di tutti i dati medici a conferma di una diagnosi di tumore si trovano a dover gestire la comunicazione di questa notizia ai genitori e al bambino.
Il diritto dei genitori a essere informati sugli aspetti relativi alla diagnosi e alla prognosi della malattia, compresi gli effetti benefici e collaterali dei trattamenti impiegati, è ormai ampiamente riconosciuto come principio dell’oncologia pediatrica; l’informazione comunque deve riguardare anche il bambino: questa presa di posizione sta diventando sempre più un’importante linea guida nella cura dei pazienti in età evolutiva.
Questo diritto è stato sancito fin dal 1988 con la stesura della carta dell’Each – Associazione europea per il bambino in ospedale – Leida: «Il bambino e i suoi genitori hanno il diritto di essere informati in modo adeguato all’età e alla loro capacità di comprensione. Occorre fare quanto possibile per mitigare il loro stress fisico ed emotivo».
La questione più spinosa riguarda la ricerca delle modalità più opportune per comunicare messaggi dal contenuto così delicato e traumatico e il tipo di informazioni da trasmettere a riguardo. Ogni medico che opera nell’ambito dell’oncologia pediatrica sperimenta e adatta strategie comunicative che in base alla propria esperienza risultano più efficace di altre. Grassi, Biondi e Costantini (2003) e Buckman (2003) hanno identificato alcuni aspetti generali che, a prescindere dalle caratteristiche soggettive dei pazienti e di familiari, favoriscono il dialogo, facilitano lo stabilirsi di una relazione di fiducia e rispetto e offrono una guida nella pianificazione della comunicazione di una diagnosi grave.
a) L’ambiente fisico nel quale avviene il colloquio di comunicazione della diagnosi, che coinvolge per primi i genitori del piccolo paziente e i clinici che lo hanno in cura. Lo spazio per questo colloquio dovrebbe sempre garantire protezione e riservatezza, sarebbe opportuno limitare i rumori, fonti di disturbo o interruzioni (ad esempio, suono improvviso del telefono) e far sì che le persone coinvolte abbiano uno spazio per sedersi.
b) Il grado di vicinanza fisica ed emotiva: per quanto concerne la vicinanza fisica, può essere utile limitare le possibili barriere che creano distacco, come ad esempio una scrivania tra medici e genitori, mentre per quanto riguarda la vicinanza emotiva valgono le indicazioni precedentemente date riguardo l’empatia e la partecipazione attiva nella relazione.
c) Il livello di consapevolezza dei genitori sulla condizione del figlio prima della comunicazione definitiva della diagnosi. Questo costituisce un momento particolarmente delicato del colloquio, in quanto largo spazio deve essere dato all’ascolto e alla concentrazione va rivolta alle risposte date dai genitori a domande come: «Quale pensava che fosse la causa del malessere del suo bambino in queste ultime settimane?», «Ha pensato che il suo star male nascondesse qualcosa di grave?», « Che cosa ha pensato quando il medico l’ha inviata in questo reparto?».
Questo tipo di domande non sono una perdita di tempo, ma aiutano i clinici che comunicheranno la diagnosi a raccogliere informazioni su quattro aspetti:
- su quanto è stato già detto loro da altri professionisti della salute;
- su quanto è stato già intuito sulla gravità della malattia del figlio;
- sul livello culturale dei genitori, analizzando il tipo di linguaggio usato e i contenuti espressi;
- sulla condizione emotiva dei genitori, tenendo conto degli indicatori verbali e non verbali della comunicazione;
d) Ciò che i genitori desiderano sapere sulla diagnosi. Questo elemento aiuta il clinico a calibrare il grado di approfondimento delle informazioni da trasmettere sulla diagnosi in base anche alle esplicite richieste degli interlocutori.
e) Dare spazio ai genitori per esprimere pensieri ed emozioni, una volta che è stata loro riferita la diagnosi della malattia del loro figlio: questo spazio di accoglimento trasmette prima di tutto un messaggio di vicinanza e comprensione. In secondo luogo i professionisti della salute sono chiamati a valutare le reazioni emotive dei genitori in modo da saper discernere i comportamenti e le risposte adattive (ad esempio, rabbia, pianto, rabbia contro la malattia, speranza realistica ecc.) da quelle disadattive e nocive per sé e per il proprio figlio (ad esempio, profondo senso di colpa, rabbia contro gli operatori sanitari ecc.). Questa analisi permette la pianificazione di una presa in carico più o meno specialistica dei genitori da parte dei professionisti della salute mentale.
f) La strutturazione insieme ai medici curanti del percorso che riguarderà la lotta comune contro la malattia. Rendere attivamente partecipi i genitori al cammino di cura limita il senso di passività e impotenza che in questi momenti si somma alla disperazione. Importante in questo momento è spiegare e discutere insieme le varie fasi che andranno percorse e affrontate con le loro caratteristiche generali, dando spazio alle domande di chiarimento e approfondimento e cominciando a individuare e rinforzare le risorse di cui già dispongono i genitori stessi, con l’obiettivo di integrarle con nuove strategie per meglio gestire, passo dopo passo, le difficoltà del cammino che stanno iniziando a percorrere con il proprio bambino.
Questo brano è tratto dalla tesi:
Analisi psicologica dell’esperienza di malattia tumorale in età evolutiva. I vissuti del bambino malato di cancro e la sua famiglia
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Informazioni tesi
Autore: | Valentina Ciccomartino |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2012-13 |
Università: | Università degli Studi dell'Aquila |
Facoltà: | Psicologia |
Corso: | Psicologia |
Relatore: | Enrico Perilli |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 73 |
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