Ugo Mulas: l'arte attraverso l'obbiettivo
L’incontro con la fotografia
«Qualcuno m’ha prestato una vecchia macchina e mi ha detto: “Un centesimo e undici al sole, un venticinquesimo e cinque e sei all’ombra”. E io, con un’enorme diffidenza, ho preso in mano questa macchina». [Ugo Mulas]
Ugo Mulas entra a contatto con la fotografia per caso, senza apprendistato, come un vero e proprio autodidatta. Il suo scopo è quello di guadagnare qualche soldo, più che di diventare l’artista che in realtà sarebbe diventato.
Il bar Jamaica è un ambiente frequentato da persone con gli interessi più vari, tra i quali anche la fotografia, e i fotografi non mancano, infatti lì vi si trovano personaggi come Alfa Castaldi, Mario Dondero, Carlo Bavagnoli, Giulia Nicolai e così via.
Della sua formazione di autodidatta non si sa quasi nulla, non passa per alcuna scuola, ma la sua aspirazione principale è il fotogiornalismo, in quanto pensa che la cosa più importante della fotografia sia appunto il racconto della società.
Mulas entra nel mondo del giornalismo non proprio con la fotografia, infatti all’inizio trova lavoro presso un’agenzia dove gli fanno scrivere le didascalie per le fotografie di altre persone. Questo lavoro gli permette di formulare un’idea concreta di immagine, di sviluppare un metodo per interpretare ciò che vede, arrivando a costruire uno spirito critico.
Le sue doti di scrittura sono apprezzate nell’agenzia dove lavora, arriva a scrivere anche qualche articolo per «Tempo illustrato», che però non firma lui. I soldi che riesce a guadagnare sono pochi e l’ambiente di lavoro gli è ostico in quanto escluso dalla vita di redazione e costretto a scrivere invece che fotografare, così un giorno decide di licenziarsi.
Proprio quel giorno avviene l’incontro con Mario Dondero, il quale, come Mulas, si è appena licenziato da «Le ore». Dondero propone a Mulas di mettersi in società con lui, di scattare qualche fotografia da proporre poi ai giornali. È proprio insieme a lui che Mulas realizza i suoi primi scatti.
I temi delle sue prime fotografie sono il popolo e gli intellettuali, ovvero la periferia milanese e il bar Jamaica. Successivamente si aggiunge un terzo tema, quello della sala d’aspetto della Stazione Centrale, dove Mulas fotografa i senzatetto.
Quello che Mulas cerca di fare è un reportage sociale, dove lo sguardo sia interpretativo e non solamente documentario. Non si limita a registrare, ma prova a cogliere quello che è difficile cogliere nel momento esatto in cui si scatta una fotografia.
Nelle periferie milanesi fotografa spiazzi incolti e abbandonati, i bambini che giocano, gli operai che vanno a lavoro o che tornano a casa, gli spazzini di notte, gli ambulanti del mercato. Tutte scene neorealistiche, ma viste con un occhio diverso, dove i soggetti da lui scelti posso apparire banali, ma rappresentano per lui i soggetti ideali. Sono persone che non fanno niente di particolare, forse stanno solo ferme a guardare l’obbiettivo.
Anche molti dei soggetti fotografati al bar Jamaica sono immortalati proprio mentre alzano lo sguardo in macchina, perché Mulas vuole cogliere il senso di realtà, non vuole perdersi nemmeno il momento in cui qualcuno si accende una sigaretta col fiammifero. Nelle diverse scene di gruppo che fotografa c’è quasi sempre una persona che si sta accendendo una sigaretta: un gesto banale che Mulas vuole catturare con molta discrezione, per capire fino a dove si può realizzare una fotografia solamente con la luce di un fiammifero, per cogliere i riflessi che la luce crea sui volti dei suoi soggetti. La persona che si sta accendendo una sigaretta si accorge della presenza del fotografo e alza lo sguardo verso l’obbiettivo, e a quel punto Mulas cattura l’immagine. Gli occhi della persona in questione a loro volta si accendono. Questo punto porta direttamente a un altro grande tema delle fotografie di Mulas, cioè l’intrecciarsi della visione e della posa, il vedere e l’essere visto, un momento decisivo per l’artista in quanto momento di verità.
[…]
I primi lavori di Ugo Mulas iniziano dunque in questo modo: dal non avere affatto una macchina fotografica, facendosela prestare da amici, a comprarne una “in società” con Mario Dondero e un loro amico giornalista. Insieme con Dondero inizia a pensare di realizzare un reportage sulla Biennale di Venezia, con l’intento di venderlo poi a qualche rivista. E così fa: dal 1954 inizia un lungo percorso che vedrà Mulas realizzare reportage per dieci edizioni della Biennale d’arte di Venezia.
Nel 1955, tramite un amico giornalista, realizza testi e immagini per la rivista «Tutti», sulla quale per la prima volta pubblica le fotografie del bar Jamaica. Questa pubblicazione non passa inosservata, anzi gli procura una collaborazione con «Settimo Giorno». Da questo momento le conoscenze di Mulas aumentano e finalmente ha del materiale da poter mostrare alle riviste.
Un’ulteriore collaborazione presso «L’Illustrazione Italiana» gli viene offerta grazie all’aiuto del giornalista Pietrino Bianchi.
Da qui partono i lavori nel mondo della pubblicità e della moda, per le riviste «Novità», «Domus» e reportage sui lavoratori per la «Rivista Pirelli». In queste collaborazione, Mulas riesce a intrecciare i suoi interessi, ovvero, quello per l’arte, quello per il paesaggio urbano e per il significato del lavoro, evitando alcune abitudini del mondo della moda e della pubblicità, senza esaltare il lusso e contestualizzando i soggetti in scene realistiche, nella realtà cittadina, come era suo solito fare per le altre fotografie. Mulas riesce a creare un contrasto tra l’ambiente e l’abito: in mezzo a cantieri, prati incolti, gru, le modelle indossano abiti preziosissimi in seta o in velluto, collane di perle e guanti in raso.
Questa è per Mulas una scelta di tipo etico: «Il massimo che può fare un fotografo di moda è ottenere un’immagine fresca, moderna, un’immagine anche figurativamente molto analizzata, almeno dal punto di vista formale, anche se poi non sottintende nulla, ma non si può scherzare con i grandi temi della vita. Secondo me la migliore cosa che si può fare facendo delle fotografie di moda è proprio di evidenziare il prodotto che si fotografa, fare in modo che il vestito appaia chiaramente nella sua fattura, nella sua costruzione, che la stoffa in cui il vestito è fatto risulti bene nella sua trama, nei colori, nel disegno, e per fare questo non è necessario fare solo delle fotografie fredde, ferme, si possono applicare tutti quelli che sono i motivi formali della fotografia a queste immagini».
Ugo Mulas continua il lavoro nella moda e nella pubblicità per tutta la sua vita, parallelamente agli altri sviluppi della sua carriera artistica. Con il passare degli anni, la fotografia di moda lo costringe a prestare maggiore attenzione alla scena, a costruire di più l’immagine, senza lasciare troppo spazio alla casualità. La sua fotografia di moda si abbandona di meno alla realtà, diventa meno reportagistica.
La fotografia pubblicitaria dà a Mulas la possibilità di viaggiare molto, in particolar modo a Parigi, dove si reca frequentemente per aggiornarsi sulle nuove tendenze. Nella sua biblioteca sono conservate prime edizioni di Observations di Richard Avedon, del 1959, di Moments Preserved di Irving Penn, del 1960, oltre ai numeri di riviste quali «Vogue», «Harper’s Bazaar», gli annuali di «US Camera» e di «Popular Photography».
Attraverso questo genere fotografico, Mulas mette a punto il resto del suo lavoro, specialmente la ritrattistica degli artisti.
Il ritratto tradizionale dell’artista prevede una posa composta, davanti a una sua opera, in modo tale da creare immediatamente il collegamento e il riconoscimento tra i due. L’atto fotografico rimane documentario o psicologico, senza che il fotografo partecipi o metta del suo. Mulas, da un lato è concentrato sulla comprensione degli artisti, delle loro opere e della loro personalità, dall’altro prova a rispecchiarsi indagando anche il suo rapporto con l’arte e con la propria opera. La ritrattistica di Mulas assume un carattere “critico”.
Quando ritrae, al Jamaica, un artista che disegna o che mostra i propri disegni a un collega, Mulas si interroga sul senso di ciò che vede: da dove nasce il disegno, dalla rappresentazione della realtà o dalla mente dell’artista, e che senso ha parlarne con altri, mostrare le proprie immagini?.
Realizza ritratti apparentemente più tradizionali, artista con opera, ma cercando già un rapporto tra i due.
[…]
Questo brano è tratto dalla tesi:
Ugo Mulas: l'arte attraverso l'obbiettivo
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Informazioni tesi
Autore: | Sara D'Aniello |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2014-15 |
Università: | Università degli Studi di Verona |
Facoltà: | Lingue e Letterature Straniere |
Corso: | Lingue e culture per l'editoria |
Relatore: | Antonio Desole |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 75 |
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