L'educazione fenomenistica nella prospettiva kantiana
Rapporto fenomeno-noumeno come relazione cose-idee
Per massimizzare il “profitto” epistemologico, cioè per cercare di isolare gli aspetti fenomenistici del platonismo, bisogna focalizzare l’attenzione sulle interpretazioni ontologiche che Platone ritiene necessarie per fondare la scienza; da questo punto di vista, è di assoluta importanza analizzare le relazioni onto-epistemologiche che intercorrono tra cose ed idee o, ciò che è la stessa cosa, tra sfera fenomenica e sfera noumenica.
Sempre mantenendo un dualismo essenziale tra fenomeno e noumeno, Platone introduce due categorie che gli permetteranno, in un modo elegante e raffinato, di superare le aporie eleatiche; si tratta dei concetti di partecipazione (in greco µέθεξις) e di imitazione ( in greco µίµησις); anche qua occorre tuttavia intendersi su quello che Platone, a sua volta, intese con questi concetti.
Ancora una volta il dialogo di riferimento è il Fedone, dove Platone rende perfettamente l’idea di questo modo partecipativo delle cose alle strutture ontologiche delle forme ideali; infatti
”Nient’altro rende bella una cosa, egli disse, se non la presenza o la partecipazione del bello in sé, quali che siano le vie o il modo nei quali presenza o partecipazione abbiano luogo”;
come è possibile notare, il filosofo parla indistintamente di partecipazione e di presenza delle cose alle e nelle idee.
In un altro dialogo Platone sostiene non più la partecipazione delle cose alle idee, ma una loro imitazione; nel Parmenide afferma che:
”A me pare che le idee siano come esemplari nella natura; e che gli altri oggetti somiglino ad esse e ne siano copie; e che questa partecipazione delle cose alle idee non consiste in altro che nell’essere immagini di esse” ;
dunque Platone considera le cose come imitazioni delle idee, quindi quest’ultime come dei modelli delle cose. Possiamo affermare che le strutture del reale sono tali perché adeguati alla struttura delle idee; ma un adeguamento da considerare solo in termini partecipativi ed imitativi, essendo il mondo dell’esperienza sensibile sempre caratterizzato da tratti che non sono ideali, come mutevolezza, imperfezione, generazione, corruzione.
Nel Sofista, dialogo della vecchiaia, Platone supera definitivamente le apparenti inconsistenze prodotte dall’ontologia eleatica, con la possibilità di poter dire il non-essere, compiendo il celeberrimo parricidio di Parmenide, ovvero, forse più opportunamente, il parmenicidio.
Nel dialogo il filosofo, ammettendo cinque predicati essenziali, Essere, Identico, Diverso, Stasi e Movimento, conclude affermando la coincidenza tra non essere e diverso; nel dialogo osserva che:
”Noi, infatti, da tempo diciamo di lasciar perdere il contrario dell’essere, che ci sia o no, se è possibile di essere razionale o se è del tutto irrazionale. Quello che noi abbiamo detto ora, cioè che il non ente è, o qualcuno ci convince che non è detto bene, dandone la dimostrazione, o, finché non né è capace, deve dire anche lui quel che diciamo noi […] che l’essere e il diverso attraversano ogni cosa e l’uno l’altro, ma che il diverso venendo ad avere parte dell’essere, non è, a causa di questa partecipazione, ciò di cui partecipa, ma è diverso, e poiché è diverso dall’ente è molto chiaro che necessariamente è il non ente.”
La categoria del diverso permette senza dubbio a Platone di andare oltre Parmenide, parlando appunto di essere in relativo e non di essere in assoluto; proponiamo qui un esempio molto semplice che, interpretato retrospettivamente, fa comprendere l’importanza anche logica della speculazione platonica.
Consideriamo le seguenti proposizioni atomiche:
p ⇒ La mela è un frutto
q ⇒ La mela non è un agrume
Con la proposizione p succede che, nell’atto stesso del pronunciare il giudizio, si predica della mela che ha una determinata proprietà, cioè di essere un frutto; questo significa, riguardando il tutto secondo il punto di vista platonico, che il soggetto della proposizione “partecipa” all’idea di frutto.
Nella proposizione q, affermando che la mela non è un agrume, la semantica è parimenti chiara; chi pronuncia questo tipo di giudizio, marcando che la mela non ha le proprietà di un agrume, vuole certamente denotare che, non partecipando all’idea di agrume, avrà delle proprietà “diverse” da un agrume.
Quindi la mela, in questo senso, non significa che è o smetta di essere in assoluto, cioè che esista o non esista in assoluto come si sostiene in ambito eleatico, ma vuol dire che è o non è relativamente al predicato, rispettivamente, frutto e agrume.
Concludendo, Platone grazie all’utilizzo strumentale di concetti come partecipazione e di imitazione, riesce a rendere conto di come la sfera dei fenomeni, in un certo senso, abbia caratteri trascendenti pur rimanendo intrinsecamente immanente; parimenti, la sfera dei noumeni assume tratti immanenti senza degradare o corrompere la propria struttura trascendente; queste categorie hanno un’efficacia ontologicamente pregnante, proprio perché permettono alle cose di essere, per così dire, “informate” dalle idee, arrivando ad affermare che è proprio da questa carica informativa che dipende la dignità ontologica del reale. Vediamo come il filosofo ateniese opera la riduzione dualistica di questa relazione.
Questo brano è tratto dalla tesi:
L'educazione fenomenistica nella prospettiva kantiana
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Informazioni tesi
Autore: | Giovanni Alvaro |
Tipo: | Tesi di Laurea Magistrale |
Anno: | 2015-16 |
Università: | Università degli Studi di Messina |
Facoltà: | Scienze Cognitive, Psicologiche, Pedagogiche e degli Studi Culturali |
Corso: | Scienze Pedagogiche |
Relatore: | Dario De Salvo |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 115 |
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