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Unione Europea e Africa: la cooperazione allo sviluppo dalle origini ai giorni nostri

La Cina conquista l’Africa?

Le disposizioni del Trattato di Cotonou hanno prodotto un capovolgimento delle relazioni tra Unione europea e Paesi ACP. Dal 2000, infatti, la politica europea di cooperazione allo sviluppo è stata profondamente rinnovata. I nuovi capisaldi del sistema di aiuti riguardano un miglior coordinamento dei programmi, divenuti pluriennali e strategici, la corrispondenza ai bisogni socio–economici dei partners e la considerazione delle loro performance politiche (miglioramento della governance e riforme istituzionali). In particolare, la valutazione delle modalità di gestione dei programmi e la possibilità di rivalutarli in funzione dei risultati hanno segnato la battuta d’arresto dell’assistenzialismo di stampo paternalistico.

Per le relazioni euro–africane si è aperta una nuova pagina, non priva di dubbi ed interrogativi circa gli esiti di questo radicale cambiamento. In linea con le idee espresse dai sostenitori del Post–Washington Consensus, l’Unione europea ha abbracciato l’idea che la povertà debba essere contrastata attraverso la necessaria riforma della governance dei Paesi in via di sviluppo, da un lato, e, dall’altro, attraverso l’attuazione di politiche di liberalizzazione del commercio, di apertura agli investimenti stranieri e di rigore macro–economico. Il nuovo paradigma dello sviluppo reggeva, infatti, su questa equazione: «Macroeconomic and structural policies encourage private investment and stimulate pro–poor growth». In realtà, l’esperienza degli ultimi due decenni aveva dimostrato che, come era avvenuto in precedenza i Programmi di Aggiustamento Strutturale (PAS), anche i Poverty Reduction Strategy Paper (PRSP) consideravano le misure volte al raggiungimento dell’obiettivo della lotta alla povertà come un’appendice alle politiche di ristrutturazione neoliberista e di liberalizzazione dell’impianto economico.

Inoltre, nell’ultimo decennio, in Africa sub–sahariana si sono registrati alti tassi di crescita (6.6% nel 2007), diretta conseguenza dell’incremento di prezzo dei combustibili fossili (petrolio, in primis), con tutti i rischi che un’inversione repentina della tendenza dei prezzi comporta. Fino ad ora, né l’eliminazione delle barriere commerciali né l’abbattimento degli ostacoli all’inserimento degli investimenti stranieri hanno prodotto risultati soddisfacenti nell’ambito della lotta alla povertà o della diversificazione della produzione. Al contrario, la quasi totalità dei flussi di investimenti stranieri diretti in Africa sono destinati esclusivamente ai Paesi produttori di petrolio. Di conseguenza, l’attuale fase economica è intrappolata in un reiterato approfondimento della dipendenza africana dall’esportazione di materie prime che si accompagna con una crescita delle disuguaglianze nell’accesso alle risorse all’interno dei singoli Paesi e a tassi di povertà che non accennano a diminuire. Questi dati meritano di non essere trascurati e inducono ad una riflessione. Nel 2004, l’Unione europea si configurava come la principale erogatrice di più della metà (52%) dell’aiuto pubblico mondiale complessivo (sommando aiuti bilaterali e multilaterali), con una quota di 4,4 miliardi di dollari contro i 19,7 miliardi per gli Stati Uniti. Di questi, il 51% era destinato all’Africa sub–sahariana. Pertanto, l’Unione europea si configurava indubbiamente come una tra le figure di maggior rilievo nello scenario degli aiuti concessi al continente nero. Tuttavia, nonostante il reale impegno, la politica europea nei confronti dell’Africa sub–sahariana mostrava le sue debolezze che riguardavano, soprattutto, le tempistiche eccessivamente lunghe per la votazione dei bilanci, la preparazione dei programmi e la loro concreta attuazione, la corruzione e l’inefficienza dei sistemi politici dei Paesi destinatari, nonché, la scarsa efficacia degli aiuti percepiti. Così, progressivamente, Bruxelles perse il suo “monopolio”.

Le strategie europee venivano sempre più messe in difficoltà dall’apertura dei leader africani ai flussi di investimenti e di assistenza finanziaria provenienti dalla Cina. Consultando i dati, si apprende che il commercio tra l’Africa sub–sahariana e la Cina, nel corso degli ultimi anni, è cresciuto con un ritmo vertiginoso. Sebbene le relazioni sino–africane abbiano origini più antiche, solo da alcuni anni la “conquista” cinese dell’Africa è divenuta così evidente da attirare l’attenzione del resto del mondo. I governi che detenevano maggiori interessi in Africa si sono trovati a perdere terreno in un continente così strategico per i loro interessi, a tutto vantaggio di Pechino. Valutando le differenze esistenti tra l’aiuto europeo e quello cinese, l’ex ministro francese alla cooperazione, Charles Josselin, si espresse in questo modo: «Autant l’une se fond sur des critères des prévisibilité, de conditionnalité et pluri–annualité, autant l’autre se symbolise par son caractère réactif, inconditionné et immédiat». Indubbiamente, la penetrazione cinese nel continente africano contribuiva a mettere in discussione le vecchie sfere di influenza post–coloniali e a ridisegnare i rapporti di forza tra gli stessi Paesi africani. […]

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Unione Europea e Africa: la cooperazione allo sviluppo dalle origini ai giorni nostri

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Informazioni tesi

  Autore: Francesca Para
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2015-16
  Università: Università degli Studi di Bologna
  Facoltà: Scienze Politiche
  Corso: Scienze Internazionali e Diplomatiche
  Relatore: Giuliana  Laschi
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 162

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Parole chiave

unione europea
sviluppo
cooperazione
africa
cina
paesi acp
relazioni esterne
ex colonie
dialogo nord sud
accordo cotonou

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