Miglioramento del clima lavorativo: strategie gestionali del conflitto interprofessionale causato dalla prevaricazione del ruolo decisionale dell’infermiere di triage
Le cause del conflitto: crisi del potere medico e professionalizzazione dell’infermiere
Attualmente i processi di modernizzazione della sanità, in specie nei Paesi più progrediti economicamente, la rivendicazione del paziente di aver voce in capitolo nelle scelte che riguardano la sua salute, la maggior consapevolezza delle altre professioni sanitarie del loro importante contributo alla cura, hanno messo in crisi il potere esercitato dal medico.
I due principali interpreti dell’ambito sanitario ospedaliero, per quanto qui interessa, sono il medico e l’infermiere: principali in quanto le preminenti responsabilità della cura e dell’assistenza del malato ricadono su di loro, sono essi che dedicano la maggior parte del loro tempo a contatto con il paziente, essi che lo stesso identifica come punti di riferimento; per quanto pure importanti siano anche le altre figure di ambito diagnostico, ma comunque apparizioni fugaci con le quali non viene instaurato un vero rapporto di relazione e di fiducia.
La figura medica, presenza stabile sin dagli albori in tutte le culture, responsabile della conservazione della salute e della vita, intersecata talvolta con la funzione sacerdotale, ha definitivamente laicizzato e man mano consolidato il suo status sociale a partire dal XIX secolo con l’instaurarsi della medicina clinica, grazie a tutta una serie di ricerche scientifiche e delle conseguenti applicazioni pratiche che le hanno procurato un valido e soprattutto condiviso fondamento di conoscenze.
Il riconoscimento della efficacia dell’azione medica, da parte della società, ha portato alla nascita del modello, per così dire, “tradizionale” della figura del medico, esercitante un potere manifesto sul paziente, non necessitante di giustificazione e privo di sensi di colpa.
Il predominio della professione era ben strutturato e si diversificava in tre ben distinti ambiti.
Una supremazia di tipo scientifico, attuata attraverso la difesa del potere di indicare le competenze e le sfere di azione della medicina ed anche delle altre professioni sanitarie.
Un “imperium” di tipo gerarchico, causato dalla impostazione piramidale nella suddivisione del lavoro in strutture sanitarie complesse, quali quelle richieste dall’esercizio della medicina clinica.
E soprattutto un egemonia di tipo funzionale, basata sulla responsabilità esclusiva del medico nella decisione della diagnosi e della conseguente cura da adottare.
Questo potere di dominanza/sudditanza influenzava i rapporti non solo con il paziente, ma era la norma anche nei rapporti con le amministrazioni e le forze politiche: i medici forti della loro posizione si arrogavano tutte le decisioni su quanto fosse necessario ottenere in campo farmacologico, tecnologico ed organizzativo per poter svolgere al meglio la loro professione.
Il medico rivendicava, inoltre, lo stesso potere anche con le altre figure sanitarie che, a seconda delle loro mansioni, collaboravano variamente alla cura; gli infermieri, in particolare, erano considerati, anche culturalmente, dei sottoposti e visti quali meri esecutori degli ordini e delle decisioni mediche, le eventuali controversie venivano risolte sempre, grazie alla scala gerarchica allora in vigore, mediante l’uso del diritto di autorità connesso al ruolo.
I cambiamenti sociali intervenuti, a partire dagli anni ’90 dello scorso secolo, evidenziati dalle tre riforme sanitarie, hanno mutato il quadro dei rapporti di potere.
L’inserimento del potere politico ai vertici aziendali, l’importanza del lato economico nella gestioni delle Aziende Sanitarie, le influenze delle Case farmaceutiche, il concorso dei pazienti alle decisioni, hanno eroso l’esclusività decisionale della classe medica.
Contemporaneamente anche le altre figure sanitarie sono andate incontro ad un
processo di professionalizzazione e di presa di coscienza del loro contributo alla cura del paziente, culminato nella legge 43 del 2006 sulla riforma delle professioni sanitarie.
In Italia, per molto tempo, nonostante l’esistenza di scuole per la formazione infermieristica di base e di corsi di specializzazione successivi, gli infermieri sono stati considerati professione sanitaria ausiliaria.
Il loro agire era represso dal “mansionario”, elenco di attività assistenziali suddivise in tre aree:
- Attività che l’infermiere svolgeva in completa autonomia
- Attività da svolgere in base alle prescrizioni mediche
- Attività da eseguire sotto controllo medico
Frequentemente questa subordinazione ufficiale era invalidata per svariati motivi: situazioni di emergenza, complessità dei servizi, momentanea assenza del medico e gli infermieri giocoforza si assumevano, in modo autonomo, tutte le responsabilità assistenziali del caso, ponendosi di fronte al dilemma psicologicamente disagevole di scegliere se agire tempestivamente, per salvaguardare la salute del paziente, o piuttosto attendere, rispettando le leggi, il medico per ottenere indicazioni, ma rischiando sulla vita altrui.
Nella realtà, avvalendosi prima del proprio bagaglio di esperienze e successivamente delle competenze acquisite, gli infermieri hanno spesso infranto la legge attuando interventi oltre quanto loro concesso.
La situazione cambia radicalmente con la legge n. 42 del 26 Febbraio 1992, che abolisce il mansionario ed elimina il temine “ausiliaria” alla professione sanitaria infermieristica, e con il D.M. 739 del 1994, che delinea il nuovo profilo dell’infermiere.
La legge si adegua, con fisiologico ritardo, alla realtà dei fatti; l’infermiere ha per la prima volta la possibilità di definirsi professionista senza dipendere da nessun altro, il suo agire è pienamente responsabile e dettato unicamente dalle proprie competenze specifiche, dal profilo professionale e dal Codice Deontologico.
L’avanzamento dell’immagine professionale raffigurata dai provvedimenti legislativi, tuttavia, non è ancora evidente nei luoghi di lavoro e l’infermiere incontra ancora notevoli difficoltà ad utilizzare le risorse sia umane che materiali ed ad esplicare la sua funzione in piena autonomia, per promuovere una maggiore qualità delle cure infermieristiche; frequenti sono le situazioni di dipendenza da altre figure sanitarie od amministrative, molte le resistenze legate a mentalità rigide, a problemi organizzativi ed economici.
Gli stessi infermieri, a tutt’ora, in fase di recepimento della loro nuova posizione e legati a prassi precedenti, a conoscenze professionali differenti, in molti casi faticano ad adattarsi alla nuova posizione ed alle nuove responsabilità e talvolta alimentano situazioni di conflitto tra loro stessi.
Il conflitto tra Medico ed Infermiere di Triage, entrambi operanti in D.E.A., è il risultato di questi cambiamenti.
Il passaggio da una posizione apicale, in una concezione verticale dell’organizzazione, ad una posizione collaborativa in una strutturazione orizzontale di compiti e funzioni, è chiaramente male accetto, vissuto come una diminuzione del proprio potere e della propria posizione socio – professionale all’interno del gruppo di lavoro da parte dell’operatore medico.
Effetto immediato e comune in tutte le situazioni di mutamento di uno “status - quo” è la cosiddetta “reazione” per evitare il cambiamento; le forme di azione riscontrate in questo caso sono raggruppabili nelle seguenti tipologie:
- Disconferma: atteggiamento di indifferenza di fronte alle capacità professionali dimostrate dall’operatore del gruppo contrapposto.
- Discredito del ruolo: attenzione minuziosa verso l’attività svolta dall’operatore antitetico, con esatta, puntuale amplificazione pubblica in caso di errore, e contestuale tentativo di minimizzazione dei suoi successi.
- Invasione: come già affermato precedentemente, inerentemente alla lotta di potere, il tentativo di affermare la propria autorità nell’area di competenza dell’altro professionista, prevaricando e tentando, riferendosi all’autorità riguardante passati e diversi periodi, di limitare il campo di azione altrui.
L’infermiere talvolta ancora non coscio della propria professionalità, e se non fortemente motivato dalla consapevolezza dell’importanza, in termini di salute, della sua funzione, vivrà questa dinamica relazionale come frustrante.
Il rapporto con la direzione ospedaliera, se non valorizzante la sua funzione, verrà percepito come di ostilità, di un nemico contro il quale allearsi, esaurito emotivamente ed intellettualmente.
Il rapporto, con il personale medico, sarà o di aperto contrasto, con le prevedibili ricadute manifestatamente negative nella quotidiana attività lavorativa, o di un comportamento di sterile attinenza al regolamento, limitando il più possibile il proprio coinvolgimento onde evitare le probabili aggressioni.
Questo brano è tratto dalla tesi:
Miglioramento del clima lavorativo: strategie gestionali del conflitto interprofessionale causato dalla prevaricazione del ruolo decisionale dell’infermiere di triage
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Informazioni tesi
Autore: | Giambattista Merlo |
Tipo: | Tesi di Master |
Master in | Master di I° Livello in Management e funzioni di coordinamento delle professioni sanitarie |
Anno: | 2007 |
Docente/Relatore: | Donato Limone |
Istituito da: | Università Telematica TEL.M.A. |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 43 |
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