Le garanzie processuali dell'imputato nella prassi del Tribunale Penale Internazionale per la Ex Jugoslavia
I diritti del sospettato durante la fase delle indagini
Dopo il secondo conflitto mondiale, si è assistito a una rapida evoluzione dei diritti umani e degli strumenti internazionali posti a tutela di essi.
Particolare importanza è stata data anche alla materia dei diritti essenziali della persona, che le appartengono anche quando non sia stato ancora emesso un formale atto d’accusa, ma che si trovi a essere sospettata o semplicemente parte delle indagini in quanto testimone.
Attraverso l’adozione dello Statuto istitutivo del Tribunale internazionale ad hoc nel 1993, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, ha adottato l’articolo 21, riproducendo quasi per intero l’articolo 14 del Patto sui Diritti Civili e Politici.
L’articolo 18 dello Statuto al comma terzo sancisce anche per chi non sia formalmente accusato, un diritto al ricevere assistenza legale, gratuita ove il soggetto si trovi in una situazione di indigenza e il diritto a un servizio di traduzione linguistica, nel caso in cui l’individuo non parli una delle lingue del Tribunale ad hoc.
Nella redazione dello Statuto e in seguito del suo RPE, si è andati oltre le normali garanzie concesse a livello internazionale, tutelando a sufficienza anche il soggetto che non si trovi ancora formalmente accusato.
Il Rules of Procedure and Evidence di cui alla Regola 2 fornisce una serie di definizioni utili ai fini del lavoro del Tribunale, tra cui figura la precisazione di cosa debba intendersi per “suspect”.
La definizione fornita dal RPE, a parere della dottrina non è tuttavia sufficientemente specifica né si ritiene possa assicurare uniformità nella sua applicazione, e inoltre essa conferirebbe un ruolo troppo cruciale all’autorità del Procuratore.
Una conseguenza dell’ambiguità e vaghezza della definizione di suspect è emersa in fase di arresto e trasferimento del Generale Djukić e del Colonnello Krsmanović ad opera delle autorità di polizia della Bosnia-Erzegovina. I due individui, una volta arrestati dalle forze di polizia nazionali bosniache, sono stati trasferiti presso il Tribunale Penale Internazionale per l’ex Jugoslavia ai sensi della Regola 90bis del RPE. Tale regola disciplina il trasferimento dei c.d. “detained witnesses”, ovvero i soggetti che si trovino nell’unità detentiva del Tribunale Internazionale, la cui presenza come testimoni sia richiesta dallo stesso organo giurisdizionale. Una volta sottoposti a interrogatorio, il sig. Djukić è stato accusato di aver commesso crimini ricadenti nella giurisdizione del Tribunale. La regola 90bis, tuttavia, disciplina un caso concreto diverso dalla situazione creatasi in seguito all’interrogatorio del sig. Djukić, che, de jure, si trovava ad essere nella condizione di sospettato e non di testimone. In questo caso, infatti, l’individuo doveva essere trasferito presso l’unità detentiva del Tribunale ai sensi della Regola 40bis, la quale disciplina il trasferimento e la detenzione preventiva dei sospettati, e non, come erroneamente accaduto a parere della dottrina, ai sensi della Regola 90bis. Compiere una corretta distinzione tra la figura del sospettato e la figura del testimone è quindi cruciale ai fini della tutela giurisdizionale rispettivamente accordata al soggetto. Sempre con riferimento al RPE, esso disciplina più dettagliatamente rispetto allo Statuto i diritti di cui gode il soggetto sospettato, a bilanciamento della discrezionalità attribuita al Procuratore.
Il Rules of Procedure and Evidence, alle Regole 42 e 43, disciplina rispettivamente i diritti del sospettato durante le indagini e il dovere in capo al Procuratore di registrare mediante audio o video l’interrogatorio.
In merito alla Regola 42 del RPE, la dottrina ha sollevato il problema che, se letta alla lettera, la garanzia dovrebbe applicarsi unicamente agli individui sottoposti a interrogatorio da parte del Procuratore e non alla generalità dei sospettati, invero, la disposizione afferma “a suspect who is to be questioned (…) shall have the following rights (…)”.
Questa lacuna normativa, a parere degli studiosi, potrebbe comportare una minore tutela effettiva nei confronti di chi sia già sospettato, ma non ancora sottoposto ad interrogatorio formale.
Con riferimento invece al diritto di traduzione linguistica, previsto sia dalla Regola 42(ii) del RPE sia dallo Statuto stesso di cui all’art. 18.3, esso è stato oggetto d’interpretazione da parte della Camera di prima istanza nel caso Delalić a seguito d’eccezione sollevata dalla difesa. Il legale del sig. Delalić, di lingua madre bosniaca, aveva sollevato eccezione in quanto all’accusato erano stati forniti dei documenti in lingua croata. La Camera ha respinto l’eccezione e interpretato le norme rispettivamente del Rules of Procedure and Evidence e dello Statuto nel senso che fosse sufficiente tradurre in una lingua “comprensibile” per l’accusato.
Una seconda questione sull’uso della lingua nel processo concerne la relazione tra la lingua dell’individuo e le due ufficiali del Tribunale internazionale, rispettivamente l’inglese e il francese. Inizialmente, il RPE prevedeva per i legali da assegnarsi alla difesa, il tassativo requisito che essi avessero una buona conoscenza di almeno una delle lingue del Tribunale. Tuttavia, quando una Camera di prima istanza ha dovuto decidere in merito al caso Erdemović, si è proceduto a una modifica del Regolamento. L’imputato in questione era stato formalmente accusato nel 1996 e trasferito presso l’unità detentiva del Tribunale. Al momento di assegnazione del legale, egli ha fatto richiesta di vedersi assegnato lo stesso avvocato che aveva quando era detenuto in Serbia. Tuttavia, l’avvocato del sig. Erdemović non parlava né inglese né francese, ciò in violazione della Regola 3 del RPE che richiedeva la conoscenza di almeno una delle due lingue del Tribunale ad hoc. Il Presidente della Camera di prima istanza con un’ordinanza ha invece accolto la richiesta dell’imputato in questione, consentendogli di essere assistito dallo stesso avvocato. Conseguentemente alla decisione del caso Erdemović si è proceduto a un emendamento della Regola 3 del RPE la quale disciplina la sezione “languages”.
Infine, con riferimento alla traduzione dei documenti, diritto previsto dall’articolo 21.4 dello Statuto, la Camera di prima istanza nel caso Naletilić e Martinović, ha affermato che le garanzie previste dall’articolo in questione non si estendono a tutti i documenti, ma solamente alle prove che costituiscono la base per la convalida dell’atto d’accusa da parte della stessa Camera. Ha pertanto concluso che tutti i documenti di prova devono essere tradotti in una lingua comprensibile all’accusato, mentre gli altri documenti non devono necessariamente essere tradotti, fermo restando che siano in una delle due lingue utilizzate dal Tribunale.
Il diritto a ricevere assistenza legale è garantito anche all’individuo che si trovi nella condizione di suspect. Invero è questo una garanzia fondamentale che dev’essere assicurata, ad opinione della dottrina, sin dalle primissime fasi del procedimento penale internazionale, specialmente nel caso in cui la libertà personale dell’individuo sia temporaneamente sottoposta a limitazioni. Il diritto è garantito dall’articolo 18.3 dello Statuto istitutivo del Tribunale ad hoc, il quale prevede la garanzia che il sospettato, qualora interrogato, sia assistito da un avvocato scelto dallo stesso. Nel caso in cui si trovi in una condizione d’indigenza, ha diritto a ricevere un difensore d’ufficio, e se non dispone ancora di tale assistenza, dev’essere prontamente informato del suo diritto a riceverla.
L’articolo 21.4 del medesimo testo normativo sancisce il diritto, in questo caso per il soggetto diventato imputato, di munirsi di un legale di propria scelta o di vedersi nominare un difensore d’ufficio nel caso in cui l’interesse della giustizia lo richieda. È interessante notare come la garanzia in questione sembri più rafforzata nella fase investigativa rispetto alla fase processuale: infatti nella prima fase il diritto a ricevere un difensore d’ufficio, sebbene limitato alla fase d’interrogatorio, non è soggetto ad alcuna condizione, mentre durante la fase processuale vera e propria il diritto viene garantito solo a condizione “che l’interesse della giustizia lo richieda”.
Nel caso Dokmanović, la Camera di prima istanza ha chiarito i criteri da seguire nel determinare se il soggetto, dichiaratosi indigente, possa godere del difensore d’ufficio o meno. Il Tribunale ha dato notevole importanza a tale garanzia, sia essa nei confronti della figura del sospettato o dell’imputato, concedendo nei casi d’incertezza sulla situazione d’indigenza, il diritto all’assistenza gratuita, dimostrando dunque una volontà di tutelare il soggetto ponendolo, nell’eventualità che esso diventi imputato, nella migliore posizione possibile per la preparazione della difesa e la conduzione del processo a suo carico. La Camera si è espressa in tal senso anche nei casi Erdemović e Delalić and Others , garantendo in tutti i casi che il soggetto ricevesse l’assistenza legale gratuita di propria scelta. Il principio in questione è venuto a consolidarsi, portando a un emendamento della Regola 45(B) del Rules of Procedure and Evidence, che ora permette che alla persona indigente venga assegnato un difensore d’ufficio di sua scelta che parli la medesima lingua dell’accusato o imputato, anche quando non parli alcuna delle lingue ufficiali del Tribunale ad hoc. A parere della dottrina, la prassi del Tribunale ad hoc con riferimento a suddetta garanzia, ha dimostrato una grande attenzione sia nei confronti del sospettato sia dell’imputato, specie in considerazione del costo finanziario di ogni processo, andando ben oltre la tutela prevista dagli strumenti internazionali, che nella maggioranza dei casi forniscono garanzie solamente quando il soggetto sia stato formalmente accusato.
Altro caposaldo tra le garanzie poste a tutela dell’individuo è il divieto di arresto o detenzione quando questi si rivelino arbitrari. Il divieto è contenuto nei più importanti strumenti di tutela internazionali, quali il Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici di cui all’articolo 9, che ha contribuito alla formazione del principio secondo cui la detenzione provvisoria debba essere ritenuta l’eccezione e non la regola. Principio ribadito altresì nel General Comment n.8 dell’Human Rights Committee in data 27 luglio 1982.
Il divieto è inoltre sancito nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani nel suo articolo 9, nonché nella Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti Umani e delle Libertà Fondamentali di cui all’articolo 5.
Il Tribunale Internazionale ad hoc, con riferimento ai poteri di cui gode il Procuratore, nel suo RPE alla Regola 40 e 40bis, prevede l’ipotesi di detenzione provvisoria del sospettato, qualora sia necessario ai fini delle indagini.
Ai sensi della Regola 40, così come emendata il 4 dicembre 1998, il Procuratore in casi d’urgenza può richiedere allo Stato in cui si trovi il sospettato, di sottoporlo ad arresto provvisorio. La stessa Regola, al suo comma terzo, prevede che il Procuratore disponga del potere di prendere tutte le misure necessarie per prevenire la fuga del sospettato o accusato, nonché di prevenire che esso possa arrecare danni o intimidazioni a vittime o testimoni, ed infine di impedire che possa inquinare o distruggere il materiale probatorio.
La Regola 40bis disciplina invece nel dettaglio la procedura di trasferimento e arresto del sospettato. Ai sensi di questa norma, il potere di cui gode il Procuratore non è totalmente discrezionale, egli, infatti, durante la fase d’indagine deve richiedere al giudice di una Camera l’ordinanza scritta per procedere al trasferimento del sospettato.
La richiesta deve contenere i motivi che l’hanno indotto a domandare la procedura di detenzione preventiva o di trasferimento presso l’unità detentiva del Tribunale.
Dunque, nonostante la mancanza di trasposizione della norma a livello di Statuto, la Regola 40bis nondimeno fornisce due garanzie contro l’eventuale abuso di questo potere: stabilisce le condizioni necessarie all’emanazione dell’ordinanza di arresto nei confronti del sospettato, per cui il Procuratore deve presentare elementi probatori sufficienti per ritenere che il sospetto abbia commesso un crimine e che ci sia un sospetto fondato che questi si stia per dare alla fuga, o che abbia intenzione di intimidire vittime o testimoni o che infine sussista un concreto rischio d’inquinamento delle prove; inoltre essa prevede adeguate garanzie per il sospettato che sia privato temporaneamente della sua libertà personale. Invero la detenzione provvisoria, ai sensi del punto D della medesima Regola, non può essere ordinata per un periodo superiore ai 30 giorni. L’arco temporale può essere dilazionato per ulteriori 30 giorni solo quando sia strettamente necessario ai fini delle indagini. Infine, solo nel caso di circostanze eccezionali, il Procuratore può richiedere alla Camera o al giudice un’ulteriore proroga sempre di 30 giorni, ma in nessun caso la detenzione provvisoria può superare il totale di 90 giorni. Se al termine di questo periodo l’atto d’accusa non è confermato, il sospettato deve essere rilasciato o eventualmente trasferito alle autorità dello Stato nazionale richiedente.
La Regola non esaurisce qui le sue disposizioni, prevede altresì il diritto in seno all’individuo che veda limitata la sua libertà personale, di essere portato dinanzi al giudice che ha emanato l’ordinanza affinché questo verifichi la legittimità della sua detenzione, inoltre il sospettato o il suo legale durante l’intero periodo di detenzione provvisoria hanno diritto a presentare domanda di scarcerazione. Una volta che l’atto d’accusa presentato dal Procuratore è confermato, le disposizioni previste dalla Regola 40bis cessano i loro effetti e il soggetto, diventato imputato, sarà eventualmente detenuto in custodia ai sensi delle Regole 64 e 65. Riassumendo, l’arresto del sospettato può avvenire in due modi: il giudice di una Camera autorizza l’arresto ai sensi dell’articolo 19 dello Statuto, in questo caso unicamente quando il Procuratore abbia depositato l’atto d’accusa. Alternativamente, nei casi di urgenza sopra elencati il Procuratore, motu proprio, effettua richiesta agli Stati nel cui territorio di trovi il sospettato, di sottoporlo a detenzione provvisoria. È interessante notare l’importanza accordata alle garanzie in capo al sospettato, proprio in quanto questo potere non è espressamente previsto all’interno dello Statuto.
L’autorevole dottrina ha evidenziato una lacuna sia a livello dello Statuto sia a livello del RPE, che a suo parere potrebbe pregiudicare i diritti del sospettato: la mancata previsione delle modalità di arresto del sospettato. La procedura è, infatti, affidata al singolo Stato che deve procedere secondo la normativa interna, tuttavia, non vi sono garanzie che questo la effettui in ottemperanza degli standards minimi internazionali. L’unica previsione esplicita, regolata dalla Regola 55 del Rules of Procedure and Evidence è l’obbligo di informare, al momento dell’arresto, dei diritti di cui gode il soggetto ai sensi dell’articolo 21 dello Statuto. Il diritto a essere informati del motivo dell’arresto costituisce una forma di bilanciamento alla discrezionalità di cui gode il Procuratore nell’ipotesi in cui questo ritenga necessaria la misura cautelare detentiva del soggetto, esso è altresì strumentale alla preparazione della sua difesa. Invero, la questione è emersa dinanzi al Tribunale ad hoc: nel caso Todorović, in cui l’accusato ha eccepito di esser stato sequestrato (kidnapped) da parte delle truppe SFOR nel territorio dell’Ex Jugoslavia. La difesa ha contestato dinanzi alla Camera di prima istanza la ritenuta violazione dei diritti fondamentali del sig. Todorović; in questo caso, così come in Dokmanović e nel caso Nikolić la difesa, se pur tramite diverse argomentazioni, ha richiesto conseguentemente di dichiarare l’improcedibilità dell’azione penale quale effetto della ritenuta violazione. Il problema si concretizza massimamente nella mancata previsione di un diritto al risarcimento nel caso in cui i diritti del sospettato o accusato siano violati: nonostante la previsione di questo diritto all’interno del Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici di cui all’articolo 9.5, nonché nella maggioranza delle legislazioni nazionali, esso non è stato trasposto nello Statuto né all’interno del RPE.
L’impasse si è presentata nel caso Lajić, in cui un individuo è stato arrestato dalle autorità tedesche in data 18 marzo 1996, e trasferito presso l’unità detentiva del Tribunale all’Aia, in Olanda. Dopo settimane in cui era detenuto presso il Tribunale, è emerso un errore in merito alla sua identità, egli non era infatti il sig. Lajić su cui aveva indagato il Procuratore, bensì un omonimo. Solo il 17 giugno 1996, dopo più di due mesi di detenzione illegittima, il sig. Lajić è stato rilasciato, egli ha deciso quindi tramite i suoi legali di chiedere un risarcimento per il danno subito, ma il processo non poteva aver luogo in quanto le Regole del Tribunale ad hoc non permettono di procedere di fronte a una simile richiesta, ciò in ottemperanza degli accordi conclusi in merito alle immunità accordate ai membri delle Nazioni Unite. Anche nell’ipotesi in cui il sig. Lajić avesse voluto azionare il diritto al risarcimento dinanzi a un Tribunale nazionale olandese, per il medesimo motivo non si sarebbe potuto procedere. Questa lacuna normativa, a parere della dottrina, può creare un ampio pregiudizio ai diritti fondamentali della persona.
In ultima analisi, l’individuo che si trovi ancora nella fase di sospettato, pertanto nella fase investigativa o nel procedimento preliminare al processo, gode del diritto a non essere obbligato ad auto incriminarsi né a confessare la propria colpevolezza, principio che si concreta nel brocardo nemo tenetur se detegere. Il sospettato gode altresì del diritto a rimanere in silenzio, ai sensi della Regola 42(A)(iii) del RPE e nel caso in cui decida di rimanere in silenzio, il Procuratore ha il divieto di ricavarne un’illazione negativa ai fini della preparazione dell’atto d’accusa. Conseguentemente alla convalida dell’atto d’accusa, la dottrina ritiene che il diritto a rimanere in silenzio possa essere interpretato, in fase processuale, come una sorta di diritto a mentire, ciò a condizione che l’individuo non si trovi sotto il vincolo del giuramento in quanto testimone.
Questo brano è tratto dalla tesi:
Le garanzie processuali dell'imputato nella prassi del Tribunale Penale Internazionale per la Ex Jugoslavia
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Informazioni tesi
Autore: | Clara Cualbu |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2013-14 |
Università: | Università degli Studi di Milano |
Facoltà: | Scienze Politiche |
Corso: | Scienze internazionali e diplomatiche |
Relatore: | Ilaria Viarengo |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 127 |
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