Dal riciclaggio all’autoriciclaggio: analisi di un’evoluzione normativa
Le vicende del reato-presupposto
La giurisprudenza risulta essere costante nell’affermare che «ai fini della configurabilità del reato di riciclaggio non si richiede l'esatta individuazione e l'accertamento giudiziale del delitto-presupposto, essendo sufficiente che lo stesso risulti, alla stregua degli elementi di fatto acquisiti ed interpretati secondo logica, almeno astrattamente configurabile.
Al giudice non viene, quindi, imposta la necessità di individuare con esattezza il delitto-presupposto, essendo sufficiente ritenere che il fatto dal quale derivano le utilità “ripulite” costituisca un «delitto non colposo». La locuzione utilizzata non lascia adito a dubbi di tipo interpretativo; il legislatore ha inteso escludere come prius del riciclaggio i delitti colposi e le contravvenzioni.
È utile considerare, ai fini della presente trattazione, le relazioni che possono instaurarsi tra il c.d. prius, delitto-presupposto, ed il posterius, il riciclaggio.
Innanzitutto l’assenza di un vincolo pregiudiziale, rappresentato dal giudicato sul delitto-presupposto, introduce una non indifferente problematica inerente l’eventualità, non peregrina, per cui, successivamente ad una condanna per riciclaggio, intervenisse una sentenza di assoluzione dell'imputato dal delitto-presupposto con la formula “il fatto non sussiste” o “non costituisce reato”; infatti venendo meno il presupposto fondante la condanna per riciclaggio si reputa inevitabile al riguardo il ricorso allo strumento della revisione processuale (art. 629 e 630 c.p.p.), per superare l’evidente contraddizione.
Un’ulteriore ipotesi è individuabile con riferimento alla clausola generale, ex art. 170, comma 1 c.p., secondo cui «quando un reato è il presupposto di un altro reato, la causa che lo estingue non si estende all'altro». In questo specifico contesto è necessario, anzi indispensabile, distinguere se la causa di estinzione si sia verificata anteriormente ovvero successivamente alla realizzazione del fatto di riciclaggio: nella prima situazione la dottrina ritiene debba escludersi la configurabilità del reato; nella seconda, perfezionandosi la situazione descritta dall’art. 170 c.p., è inevitabile l’imputazione per riciclaggio.
Sicuramente più problematica è la valutazione dell'imputazione per riciclaggio nei casi di abolitio criminis dei fatti oggetto del reato-presupposto: in sostanza ci si interroga sulla sorte dell’accusato qualora, dopo il fatto di riciclaggio, ma prima che si giunga ad una condanna definitiva, intervenga una depenalizzazione dell'antefatto (il reato-base). La dottrina, sul punto, risulta divisa in due orientamenti contrapposti. Il primo, che recupera la tesi dell'accessorietà tra delitto-presupposto e riciclaggio, sostiene, “svanita” l’illiceità del delitto a monte, il necessario venir meno della fattispecie ex art. 648-bis c.p.; viceversa la punibilità rimarrà immutata, qualunque sia la sorte del delitto-base, se si considera il prius come «elemento esterno» rispetto al riciclaggio, non costitutivo della stesso. In un’ottica di salvaguardia dell’autonomia del fattispecie in esame, sembrerebbe ragionevole sostenere quest’ultima impostazione secondo cui si ritiene che la punibilità ex art. 648-bis c.p. debba rimanere inalterata anche a fronte di una mutata rilevanza o qualificazione giuridica del reato-presupposto.
Tale conclusione tuttavia non è condivisibile per due motivi: il primo, riconducibile a stringenti ragioni di politica criminale, per cui risulterebbe del tutto irragionevole perseguire condotte di ostacolo all’identificazione di denaro o utilità di provenienza non illecita; il secondo, inerente ragioni di struttura normativa, per cui l’illiceità del provento, elemento fondante la fattispecie di riciclaggio, è determinata dalla configurazione delittuosa della condotta che lo genera e, di conseguenza, se viene meno tale qualificazione, è inevitabile l’estinzione dell’ipotesi di riciclaggio.
Ad analoga conclusione si perviene, a contrariis, anche tramite lo stesso art. 648, comma 4 (cui sia l’art. 648-bis, comma 4, sia l’art. 648ter.1. c.p., comma 7, rinviano) che espressamente dispone sia fatta salva la punibilità per riciclaggio anche in presenza di cause di non punibilità, non imputabilità o di non procedibilità del delitto-presupposto considerato che tali situazioni non escludono l’esistenza del delitto-presupposto e del suo intrinseco carattere illecito.
Le considerazioni suesposte portano parte della dottrina a concludere che il riciclaggio sia oggetto di una sorta di "impermeabilizzazione", che ne determina l’assoluta indifferenza rispetto alle “vicissitudini” inerenti il delitto-presupposto; in definitiva il riciclaggio/autoriciclaggio, pur essendosi chiaramente emancipato da un’inopportuna sudditanza nei confronti del reato-presupposto, oggi continua a richiedere, come presupposto positivo, la commissione di un delitto non colposo, elemento che costituisce un prius necessario, senza il quale il riciclaggio stesso non può sussistere.
Si può quindi ragionevolmente concludere che, mentre talune cause (imputabilità, punibilità, procedibilità), non estinguendo l’illiceità del fatto-presupposto commesso, consentono la repressione del fatto di riciclaggio, al contrario, altre cause (in primis, abolitio criminis ovvero declaratoria di incostituzionalità), eliminando la rilevanza penale del delitto-presupposto, determinano consequentis la non punibilità del riciclaggio.
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Dal riciclaggio all’autoriciclaggio: analisi di un’evoluzione normativa
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Informazioni tesi
Autore: | Andrea Barlottini |
Tipo: | Tesi di Laurea Magistrale |
Anno: | 2014-15 |
Università: | Università degli Studi di Ferrara |
Facoltà: | Giurisprudenza |
Corso: | Giurisprudenza |
Relatore: | Ciro Grandi |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 154 |
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