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Ricostruzione delle perdite di sostanza post-operatorie della regione achillea mediante lembi liberi microvascolari

Tecnica dell’intervento chirurgico nelle tenopatie croniche

L’incisione è variabile: la maggior parte degli Autori utilizza una via d’accesso longitudinale paramediana interna, ma alcuni ne usano una esterna o addirittura due. Interessante l’intervento di tenotomia longitudinale percutanea per la sua bassa morbilità e per la veloce riabilitazione consentita (jogging dopo due settimane, ritorno all’usuale allenamento dopo sei).

Una volta avuto accesso alla loggia tendinea, si deciderà, sulla scorta dell’anamnesi, dell’esame obiettivo, e di quello iconografico, come procedere. Il parateno andrà aperto e asportato parzialmente (rispettando il mesoteno), se preda di processi flogistico-degenerativi; alla giunzione muscolo-tendinea si consiglia l’incisione obliqua (fig. 35) per evitare una stenosi tardiva. Se intatto, potrà essere rispettato e richiuso sopra il tendine al termine dell’intervento, ma qualche chirurgo ritiene che esso andrebbe rimosso in ogni caso: la ragione di ciò è da ricercare nell’inevitabile aumento permanente di volume del tendine a distanza dall’intervento; per tale motivo richiudere il parateno sopra il tendine significherebbe determinare una strozzatura dello stesso.

Nei casi più severi, le aderenze tra tendine e parateno sono così salde da risultare molto difficile separare le due unità.
Se all’esame il tendine appare manifestamente alterato, ogni struttura neoformata: calcificazioni, aree di degenerazione e necrosi, andrà rimossa; solo in caso di lesioni di grosse dimensioni, si procederà alla sutura del tendine, o addirittura ad un rinforzo con strutture autologhe (tendine del plantare, aponeurosi del gastrocnemio), nel caso di un coinvolgimento del 40-50% dello spessore del tendine. In caso di piccole soluzioni di continuo si potrà optare per la scelta di lasciare che esse vengano colmate da tessuto fibroso. Rotture parziali del tendine andranno riparate. Se il tendine appare intatto, qualche Autore preferisce non toccarlo, mentre altri preferiscono procedere in ogni caso all’esecuzione di scarificazioni: l’esperienza ha mostrato un miglioramento dei sintomi anche in questi casi, ma è controverso se ciò sia dovuto alle scarificazioni o alla semplice decompressione del tendine secondaria alla paratenonectomia.

In caso di un angolo di Fowler-Philip eccessivo, andrà eseguita una resezione calcaneale; asportato l’osso, almeno un dito dovrà rimanere tra tendine e calcagno, con piede in dorsiflessione massimale. Ogni borsa alterata dovrà essere asportata.

Nelle entesiti, si eseguirà una piccola incisione longitudinale e, anche qui, si asporterà il tessuto necrotico, eventualmente eseguendo delle perforazioni multiple del calcagno al termine.
I punti più controversi dell’intervento chirurgico sono due: a) quando eseguire l’intervento e b) quando far riprendere l’attività dopo l’intervento.
In merito al primo punto, esiste un consenso pressoché generale: l’intervento va eseguito quando il paziente non riesce a svolgere la propria attività, e di solito è lui che chiede un trattamento, e quando il trattamento conservativo ben condotto è fallito. Spesso, purtroppo, l’indicazione all’intervento nasce dalle esigenze dell’atleta, e ciò può spiegare perché alcuni chirurghi operino dopo due/tre mesi; mentre altri aspettino un anno o più.
Dopo l’intervento, il paziente può essere immobilizzato in gambaletto o stecca gessati per 2-6 settimane, per poi iniziare la riabilitazione.

Alcuni Autori rinunciano al gesso, tranne in caso di débridements estesi o augmentations. Non usare il gesso dà la possibilità di mobilizzare precocemente la tibiotarsica ad evitare perniciose formazioni di aderenze e di ottenere in tempi brevi la dorsiflessione massimale, che è poi l’obiettivo principale. Per tale motivo, qualora si opti per l’immobilizzazione, sarà bene farlo mantenendo la tibiotarsica in posizione neutra, se non addirittura in lieve dorsiflessione; il razionale di ciò risiede sia nella retrazione tendinea postoperatoria: l’immobilizzazione in plantarflessione è causa di un Achille breve che può in prosieguo andare incontro a nuove lesioni (rottura del tendine o della cicatrice, anche a distanza di tempo), che nell’accartocciamento che si realizza sui margini della ferita in plantarflessione e che penalizza la vitalità degli stessi fig.36).

Il ritorno all’attività segue uno schema variabile da Autore ad Autore. Secondo Davidson e Taunton lo schema da seguire è il seguente: gesso per due settimane; mobilizzazione fuori carico per quattro settimane; carico completo e stretching per quattro settimane; introduzione dell’impact stress (corsa lunga) per quattro settimane; introduzione di attività high impact (sprint, salto) per quattro settimane; ritorno alla normale attività a 18-20 settimane. In caso di resezione di Haglund, la riabilitazione sarà prolungata, mentre in caso di solo intervento sul parateno sarà abbreviata.

Secondo Johnston e coll, e Åstrom & Rausing, il ritorno all’attività può avvenire in tre mesi e questo recupero aggressivo non ha dato risultati negativi al follow-up. Ancora più aggressivi i due Kvist e Leppilhati e coll, i quali consentono all’atleta di riprendere la corsa a quattro settimane.

Altri Autori, comunque, ritengono che i tempi di recupero debbano essere più lunghi (27-52 settimane), valutandoli in base al ripristino della forza muscolare, e aggiustando la riabilitazione in accordo.
Personalmente ritengo che in caso di solo stripping del parateno, dopo le prime 24 ore di scarico e di FANS, al paziente potrà essere consentito il carico libero, come tollerato. Contemporaneamente, si potrà concedere il nuoto, la cyclette e gli esercizi isometrici a volontà. Lo jogging potrà essere ripreso quando il dolore sarà scomparso (1-2 settimane). In caso di scarificazione semplice del tendine, la fase iniziale sarà la medesima, ma si concederà lo jogging dopo 3-4 settimane, con ritorno al normale allenamento dopo 6-8. Se si è eseguita riparazione di una rottura parziale oppure sutura o augmentation dopo ablazione di lesioni significative, o, infine, in caso di entesite, i tempi saranno proporzionalmente allungati così come in caso di osteotomia di Haglund, prendendo altresì in considerazione qualche settimana in gesso dopo l’intervento.

In conclusione, i risultati positivi dell’intervento raggiungono l’87% per la peritendinite, l’86% per l’entesite, il 75% per la borsite calcaneale e solo il 67% per la tendinosi. Una piccola percentuale di soggetti potrà richiedere pertanto un nuovo trattamento per il ripresentarsi della sintomatologia (4-13% in caso di peritendinite , 8% in caso di tendinosi, 1% borsite calcaneale): incruento talvolta, con buoni risultati se iniziato immediatamente ai primi sintomi della ricorrenza, o un reintervento, ma anche questi casi hanno spesso risultati positivi, con minime percentuali di casi non responsivi al primo o ai successivi interventi che richiedono l’abbandono dell’attività; è comunque interessante notare che la maggior parte di questi atleti è rappresentata da soggetti di età compresa tra 30 e 40 anni che vogliono continuare nell’attività agonistica dopo anni di impegno; all’intervento essi presentano estese aree di degenerazione. Benché probabilmente questa osservazione meriti conferma, è presumibile che proprio questi sono i soggetti più a rischio di ricorrenza della patologia achillea, soprattutto in caso di tendinosi primaria.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Ricostruzione delle perdite di sostanza post-operatorie della regione achillea mediante lembi liberi microvascolari

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Informazioni tesi

  Autore: Letterio Rizzo
  Tipo: Tesi di Specializzazione/Perfezionamento
Specializzazione in Microchirurgia
Anno: 2004
Docente/Relatore: Cavallaro Giuseppe
Istituito da: Università degli Studi di Messina
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 80

FAQ

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Parole chiave

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lembi liberi microvascolari
microchirurgia
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