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L'Ucraina tra Oriente e Occidente

La Crimea apre il processo di autonomia

Il passaggio della Crimea all’Ucraina simboleggiava il nuovo corso della politica sovietica con Chruščëv a capo del Partito, ma mostrava anche alcune incoerenze del comportamento della dirigenza. La Crimea veniva ceduta per la sua stretta connessione economica con l’Ucraina, la sua posizione geografica e vicinanza al continente e per l’affinità culturale che condivideva con il resto del paese. Ma la realtà di allora, come di oggi, è che i ripetuti mutamenti demografici artificiali, fino alle deportazioni di Stalin del 1944, avevano completamente sfigurato la composizione etnica della popolazione locale.

I tartari, che per secoli avevano vissuto nelle regioni meridionali, erano stati praticamente cancellati dal loro territorio e il rapporto dei russi in confronto alle altre etnie presenti nella penisola si era ribaltato enormemente a loro vantaggio. A quel punto il 71% dei cittadini della Crimea erano russi e il 21% ucraini, un dato significativo, che sarebbe solo leggermente cambiato nel corso degli anni, grazie anche al rientro di alcuni tartari che avrebbero però costituito solo una esigua minoranza. Il passaggio, sebbene simbolico, aprì però il paese ad una libertà culturale inimmaginabile fino a pochi anni prima. L’ucraino tornò come materia di insegnamento nelle scuole e nelle università, i detenuti politici e note personalità ucraine poterono rientrare dalla loro prigionia nei gulag e solo ai membri dell’OUN fu negata la grazia.

Il nuovo clima di distensione, dopo i lunghi anni del regime stalinista, lasciò lo spazio necessario a far nascere alcune organizzazioni nazionaliste e indipendentiste e per il ripristino del culto della Chiesa uniate. Durante gli anni di Stalin era impossibile che ciò accadesse, per la disorganizzazione dei vari gruppi e il loro scarso coordinamento e per la spietata repressione che portava qualsiasi elemento sospetto alla deportazione o alla morte. Il numero dei nazionalisti rimase comunque limitato e non raggiunse mai dimensioni di massa, ravvivato solo da poche migliaia di dissidenti.

Dall’altro lato la produzione agricola subì un duro colpo con la decisione di concentrare gli sforzi nella coltivazione delle “terre vergini” della Russia orientale e della Siberia, decentrando il cuore produttivo dell’Unione dalla steppa ucraina ai suoi confini opposti, verso aree esclusivamente russe.

Nel 1963 salì al potere in Ucraina Petro Šelest, un uomo che proseguì con la politica di distensione iniziata dall’era di Chruščëv, che concluse nel frattempo la sua carriera nel 1964, portandola ad una fase successiva, verso un ritorno al nazionalismo. Il nuovo direttore del Partito combatté, infatti, perché gli affari ucraini fossero presi in maggiore considerazione a Mosca, attuando nel contempo una politica di “ucrainizzazione” e valorizzazione della cultura locale.

Tuttavia Šelest non arrivò mai a spingere questi suoi sforzi verso idee indipendentiste, collaborando fedelmente con Mosca e reprimendo ogni sforzo secessionista. Tra il 1965 e il 1966 ci fu, a questo proposito, un’ondata di nuovi arresti all’interno dei circoli letterari, contro cui il presidente del Consiglio non mosse alcuna obiezione e anzi colse l’occasione per ribadire la sua avversione contro l’imperialismo mondiale che andava palesandosi in Unione Sovietica con le rivolte di Praga del 1968.

Più in generale, l’Ucraina sotto il mandato di Šelest incarnò il nuovo modello di nazionalcomunismo, rivolto maggiormente alle richieste locali, ma pur sempre ancorato alle decisioni prese al Cremlino. Fino al 1972, anno della sua destituzione, Šelest combatté anche per lo sviluppo economico dell’Ucraina e per un rinnovato investimento nel campo agricolo ed industriale del paese, cercando di dirottare i piani che invece prevedevano lo spostamento del baricentro produttivo ad oriente.

La fine del periodo di conquiste sociali e culturali inaugurato con l’arrivo di Chruščëv a Mosca e poi di Šelest a Kiev, si presentò quando le idee dei collaboratori del presidente del Consiglio si scontarono con le critiche mosse dai dirigenti delle regioni dell’Ucraina dell’est, che giunsero ad accusare il nuovo primo segretario Leonid Brežnev di appoggiare i nazionalisti ucraini. A capeggiare la protesta fu Ščerbyc’kyj, che attaccando direttamente il suo rivale a Kiev, tacciandolo di deviazionismo, riuscì a scalzare la concorrenza per diventare il capo incontrastato del Partito in Ucraina.

Come conseguenza di questi attacchi alla politica centrale, molti dei collaboratori di Šelest furono destituiti, come anche il capo del KGB ucraino Nikičenko, prefigurando la mossa successiva. Nel 1972 anche Šelest dovette abbandonare il suo seggio, lasciando spazio ad una successiva stagione di repressione che avrebbe fatto scivolare l’Ucraina in un una nuova involuzione storica.

Questo brano è tratto dalla tesi:

L'Ucraina tra Oriente e Occidente

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Informazioni tesi

  Autore: Nicolò Salvatore
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2013-14
  Università: Università degli Studi di Milano
  Facoltà: Scienze Politiche
  Corso: Scienze internazionali e istituzioni europee
  Relatore: Patrizia Audenino
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 85

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