Estetiche digitali: il caso Michael Mann
l "reale" digitale
Nel 1996, Stephen Prince sosteneva l'impossibile coesistenza tra le teorie di Siegfried Kracauer e l'immagine digitale , rimarcando un'assoluta libertà tra immagine e referente venutasi a creare con le nuove tecnologie. Si assiste invece a un rapporto più complesso da osservare, che tende a sfuggire a una definizione univoca, e dove anzi è proprio il moltiplicarsi delle forme di realismo a rendersi manifesto. Del resto è lo stesso Andrè Bazin a ricordarci che il realismo non è un fenomeno unitario «di per sè» e che molte possono essere le sue ramificazioni. Su questa idea di realismo torna Jean-Pierre Oudart proponendo una distinzione tra «effetto di realtà» ed «effetto di reale»: in un caso l'immagine ricrea nello spettatore una sensazione di realtà attraverso una serie di codici. Nell'altro lo spettatore crede a ciò che vede non per convenzione, bensì perchè vi riconosce un fondamento di reale esistito davvero.
Il digitale sembra oggi intervenire all'interno di tale binomio rafforzardo le potenzialità di questo «effetto di reale», e radicalizzando inoltre un rapporto diretto con l’accadere delle cose. Non si assiste solamente a una riproposizione mimetica del reale, bensì a una sua continua rielaborazione, trasformazione. In questo ritorno d'interesse per il realismo nell'epoca del digitale, testimoniato anche da numerosi saggi usciti negli ultimi anni, le nuove tecnologie rivitalizzano e rinnovano la relazione tra autore e realtà.
Prendendo le mosse da ciò che fu il cinema verité, Lev Manovich definisce l'attuale modo di osservare e riprendere la realtà come una sorta di «DV realism school», contraddistinto primariamente da un carattere di immediatezza. Accanto a un principio di aderenza al reale, un tratto manifesto del digitale è costituito dalla sua propensione a rendere più accessibile un'opera di rielaborazione, manipolazione della realtà riprodotta all'interno di un'immagine. Si giunge a ricreare l'essenza di un accadimento, ricostruendone virtualmente i tratti, ibridandone la forma. Se da una parte si assiste alla mimesi del reale, dall'altra l'immagine sembra perdere la sua aderenza iconica con il reale. In questa relazione a metà tra contiguità e decostruzione, tra mimesi e alterazione, il digitale rivela la possibilità di creare ex-novo un'immagine, come nel caso del virtuale (il risultato è un vero e proprio lavoro di compositing).
Un'ulteriore forma di manipolazione del reale arriva poi da quell'insieme di immagini legata all'esposizione e al racconto di dinamiche di guerra, di conflitto. Immagini di morte che con cadenza regolare quotidiana popolano i media. La sua immediatezza, la sua capacità ri-produttiva, le potenzialità di diffusione istantanea dei contenuti, portano il digitale a essere non solo un mezzo tecnico idoneo a raccontare una storia, ma anche il dispositivo privilegiato per osservare determinati aspetti centrali della contemporaneità. Immagini di guerra, sangue, quelle che Nancy definisce come «figurazione della morte», concorrono inoltre a una formula di costruzione della paura, giocando talvolta sulla ricerca di uno choc sempre più profondo, esteso, illimitato. Somaini ricorda come le guerre siano diventate anche un «terreno di scontro iconico, in cui si combatte a colpi di immagini», e il digitale sembra in effetti lo strumento più adatto a insinuarsi in questi territori.
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Estetiche digitali: il caso Michael Mann
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Informazioni tesi
Autore: | Lucio Giannicola Servato |
Tipo: | Laurea II ciclo (magistrale o specialistica) |
Anno: | 2014-15 |
Università: | Università degli studi di Genova |
Facoltà: | Scienze Politiche |
Corso: | Informazione ed Editoria |
Relatore: | Luca Malavasi |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 182 |
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