Disabilità: un limite anche per la clinica?
Prendersi cura della disabilità intellettiva
I riferimenti normativi, i documenti dell'OMS (ICF, 2001; ICF-CY, 2007; ICCC, 2002), nonché alcuni contributi presenti in letteratura rappresentano la cornice di riferimento del presente paragrafo avente ad oggetto il bisogno di superare, nell'ambito della disabilità, un modello strettamente clinico e del suo passaggio ad un modello che si potrebbe definire "clinico-sociale".
Tale trasformazione è giustificata dalla constatazione che la disabilità è una condizione esistenziale estremamente complessa in cui a bisogni di salute mentale, si affiancano bisogni affettivo-relazionali, di educazione, di integrazione sociale, scolastica e lavorativa. Il disabile per la sua condizione di vulnerabilità e di fragilità ha bisogno che gli altri si prendano cura di lui nell'interezza del suo essere, nel senso ontologico del termine, affinché si renda possibile la realizzazione della sua soggettività possibile.
Volendo qui riprendere concetti esposti nel capitolo II, il documento ICCC (OMS, 2002) pone al centro del sistema curante la triade composta dai pazienti e dalle loro famiglie, dai partner della comunità e dalle organizzazioni sanitarie.
L'idea guida di questo documento è che in una condizione cronica, la prevenzione ha un ruolo strategico e che si realizza una qualità di vita migliore, obiettivo del sistema di cura, quando ognuno degli elementi della triade viene considerato una risorsa essenziale da utilizzare pienamente. Questo concetto implica la costruzione di quello che Cerabolini e Comelli (2006, pag. 4) denominano
"costruzione di un campo allargato di cura": "Il tema del contesto (familiare, sociale, istituzionale) che continuamente ricorre quale riferimento decisivo a denotare la qualità degli approcci curativi, e le possibilità di intervento, si pone quindi come lo sviluppo naturale dell'attenzione posta ai gruppi e alle reti di sostegno. (…) Lo sviluppo di questo orientamento comporta la necessità di ripensare i temi della relazione tra figure di cura (operatori sociosanitari) e figure di contesto (educatori, insegnanti, volontari, familiari). Le persone presenti nello spazio di vita dell'individuo con disagio psichico possono fornire un importante apporto, a integrazione ed estensione di quanto riescono a fare gli specialisti)."
Elemento cardine sia dell'ICF (OMS, 2001) che dell'ICCC (OMS, 2002), è il concetto di qualità della vita che va inteso quale sentimento di soddisfazione che il singolo trae negli ambiti di interesse di vita, il che implica l'accoglimento del punto di vista soggettivo, in quanto ciò che può essere bene per uno, non lo è per un altro. È necessario cioè, ponendosi in una prospettiva rivolta al divenire futuro, porre al centro del progetto un soggetto nella sua unicità collocato in una certa famiglia e in uno specifico contesto sociale, ambientale e culturale.
Negli ultimi anni sono stati avviati in Italia dei progetti di sperimentazione che hanno cercato di tradurre i documenti OMS e una legislazione sulla promozione di vita del disabile tra le più avanzate, in un superamento effettivo del modello di cura che si presenta o come assistenzialistico o come bio-medico. In particolare, in questa sede, si vuole descrivere il progetto di sperimentazione del documento ICCC (OMS, 2002), nella Provincia di Reggio Emilia.
Il progetto è iniziato nel 2004, quando i rappresentanti di quattro Organizzazioni hanno firmato a Ginevra, il 29 Aprile 2004, un Accordo per l'applicazione, nella Provincia di Reggio Emilia, dei principi del documento OMS intitolato Innovative Care for Chronic Conditions: building blocks for action (2002), all'assistenza delle persone con disabilità intellettiva. Le organizzazioni che hanno firmato l'Accordo sono state: l'Azienda Unità Sanitaria Locale di Reggio Emilia, l'Università di Modena e Reggio Emilia, il Dipartimento "Injuries and Violence Prevention/Disability and Rehabilitation Team" dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, l'Associazione Fa.Ce, in rappresentanza delle Associazioni dei Genitori di Reggio Emilia. La sperimentazione poteva contare come valido presupposto di base, su di un Servizio Unificato Handicap Adulti, in cui viene superata la logica dicotomizzante tra funzioni sanitarie (di competenza dell'A.U.S.L.) e funzioni sociali (di competenza dei Servizi Sociali del Comune). Gli interventi sanitari vengono così raccordati con il contesto sociale, in modo che il significato di salute si viene sempre più delineando come imprescindibilmente legato agli stili di vita, alle reti di sostegno, alla qualità delle relazioni sociali, familiari, dei gruppi e delle comunità. [...]
Questo brano è tratto dalla tesi:
Disabilità: un limite anche per la clinica?
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Informazioni tesi
Autore: | Laura Tavano |
Tipo: | Tesi di Laurea Magistrale |
Anno: | 2011-12 |
Università: | Università degli Studi di Urbino |
Facoltà: | Scienze della Formazione |
Corso: | Psicologia Clinica |
Relatore: | Roberto Cerabolini |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 130 |
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