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Le Private Military Firms e lo Stato. Un confronto sul monopolio della forza

Le Private Military Firms: un uso meno vincolato della forza

Nel 2008 le stime indicavano in 120-160.000 il numero di dipendenti di PMF presenti sul suolo iracheno, di cui circa 30-40.000 direttamente coinvolti in mansioni di carattere tecnico e addestramento, ossia attività vicine, per tipologia, alla punta della lancia del modello di Singer descritto nel primo capitolo. Per capire l’importanza basilare delle PMF nel conflitto iracheno basta pensare che, nel 2008, il rapporto tra militari pubblici e privati era di 1:1, mentre ai tempi della Prima guerra del Golfo era di 10:1 (Ruzza, 2008). Si trattava, in ogni caso, di un numero di soldati che si poneva pressappoco pari, come grandezza, a quello delle truppe regolari dell’esercito americano e che ne faceva la seconda forza militare per dimensione presente in Iraq. Questo dato ha reso lo scenario creatosi alla fine della Seconda guerra del Golfo un ottimo campo di osservazione concreta per l’attività delle PMF (Ruzza, 2008).
Le mansioni che le suddette aziende svolgono, o hanno svolto, in Iraq coprono una gamma di servizi davvero notevole e non strettamente correlata con il combattimento diretto. Alcune aziende si occupano di servizi legati alla ricostruzione post conflitto, come l’addestramento della polizia o del nuovo esercito iracheno, come Vinnell, DynCorp e MPRI, in un quadro che mira a creare un apparato di sicurezza del paese che sia filo-occidentale (Chatterjee, 2004). La funzione di tali aziende risulta fondamentale nel garantire un futuro al paese del Golfo Persico, in quanto l’esercito e la polizia che si cerca di formare in Iraq dovrebbero consentire allo stato di difendersi in autonomia dai nemici esterni e di garantire l’ordine interno, liberando i militari USA da tale compito (Daragahi, 2003).
In secondo luogo abbiamo PMF che si occupano di protezione delle infrastrutture, in particolare pozzi petroliferi e oleodotti, come Erinys, una società sudafricana che nel 2004 aveva già addestrato con il proprio personale circa 9.000 guardie locali per garantire la sicurezza del petrolio iracheno (Chatterjee, 2004; Singer, 2007). Quindi sono presenti anche aziende che difendono altre aziende (PMF a difesa di altre PMF), come Armorgroup, mentre altre ancora agiscono principalmente come intermediari tra l’esercito americano e le altre ditte del settore. Tra esse spicca Halliburton, l’ex azienda di Dick Cheney, vicepresidente nell’amministrazione Bush, che nel 2004, aveva già stipulato contratti con il governo americano per un valore complessivo di 6 miliardi di dollari (Singer, 2004b).
Vi sono inoltre PMF che forniscono personale specializzato negli interrogatori, come CACI (Ruzza, 2008). Questi ruoli rappresentano le attività più critiche svolte dal personale privato in Iraq, in quanto si occupano di servizi più simili a funzioni di intelligence che non a compiti militari in senso stretto. In altre parole le PMF svolgono funzioni di competenza dei servizi segreti civili e militari.
Infine abbiamo aziende che si collocano nel settore più vicino alla “punta della lancia” del modello proposto da Singer e citato nel capitolo primo. Parliamo quindi di PMF che forniscono PSD (Personal Security Details), ossia servizi di protezione personale, sia a favore del Dipartimento di Stato americano, sia per personale diplomatico in generale, iracheno e straniero. Tra esse si può citare senz’altro Blackwater, che è stata addetta alla protezione personale di Paul Bremer, capo dell’autorità provvisoria in Iraq, dal 2003 fino alla sua partenza nel 2004 (Ruzza, 2008). Il fatto che la sicurezza del massimo rappresentante della coalizione sia stata affidata a privati, e non all’esercito americano, testimonia abbastanza eloquentemente non solo i rapporti stretti dell’azienda con i più alti vertici dell’amministrazione USA, ma anche la forte tendenza alla privatizzazione che ha assunto il conflitto iracheno (Ruzza, 2008).
Queste aziende erano presenti in Iraq già da prima dell’inizio ufficiale del conflitto, il 20 marzo 2003, e anche durante le fasi di combattimento vero e proprio, le aziende private hanno svolto la loro parte. Ad esempio, le navi da guerra americane presenti nel Golfo Persico erano sì presidiate da personale della marina, ma quest’ultimo era affiancato da civili provenienti da quattro aziende specializzate nella gestione degli armamenti. Questa tipologia di aziende si sono occupate anche della manutenzione degli aerei che attaccavano l’Iraq dai cieli, dai modelli senza pilota Predator ai bombardieri stealth B-2 (Traynor, 2003). È comunque con la fine delle ostilità che la loro attività subisce una crescita quasi esponenziale. A sostegno di tale affermazione si può citare il fatto che nelle prime fasi del conflitto erano presenti sul suolo iracheno circa 20-30 aziende con 20-30.000 operatori privati, mentre nel 2008 le PMF attive in Iraq erano stimabili in 180 con oltre 160.000 dipendenti, includendo tra essi anche personale addetto a servizi di logistica e supporto (Singer 2007, cit. in Ruzza 2008).
Gli Stati Uniti non sono stati l’unico cliente delle aziende in Iraq, anche se, ovviamente, dato il peso preponderante dell’amministrazione americana nella gestione del conflitto, gli USA risultano lo stato maggiormente coinvolto. Allo stesso modo le aziende americane non sono state le uniche coinvolte nel settore. Ad esempio Global Risk International, un’azienda inglese con sede ad Hampton, ha occupato una parte importante del mercato, occupandosi di fornire Gurkha, paramilitari delle Isole Figi e, si pensa, anche veterani SAS britannici, a guardia del quartier generale di Paul Bremer a Baghdad (Traynor, 2003).
Ma come già descritto nel primo capitolo, gli stati non sono neanche necessariamente l’unico cliente ipotizzabile per le aziende e la guerra in Iraq ha ampiamente confermato questa possibilità. Altre di esse, o le stesse ma con contratti diversi, sono state assunte da privati oppure da altre PMF presenti in Iraq, creando un sistema di sub contratto tra aziende dello stesso settore che ne ha senz’altro complicato la possibilità di monitoraggio. ArmorGroup e Control Risk rientrano in questa tipologia in quanto si sono occupate della difesa di installazioni di altre PMF, nel dettaglio di Halliburton e KBR (Ruzza, 2008).
Anche i contratti, che le varie aziende hanno stipulato con le autorità federali USA, sono cresciuti in valore di pari passo con il personale presente. A tal proposito si può citare ancora Blackwater che, per il servizio di protezione diplomatica, aveva stipulato con il Dipartimento di Stato nel 2004 un contratto da 320 milioni di dollari, diventati poi 490 milioni in soli due anni (Ruzza, 2008). Ma è in generale il valore dei contratti stipulati dalla suddetta azienda con il governo USA ad essere cresciuto in maniera esponenziale. L’aumento è stato di 75.000 volte in soli cinque anni, passando dai circa 750.000 dollari del 2001, ai quasi 600 milioni di dollari del 2006 (House of Representatives 2007 cit. in Ruzza, 2008). Questi dati si riferiscono solo a contratti stipulati con il governo federale ed escludono non solo tutti quelli stabiliti con privati, ma anche quelli coperti da segreto di stato. È ovvio quindi che il giro di affari dell’azienda debba essere ben superiore a quanto riportato. [...]

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Le Private Military Firms e lo Stato. Un confronto sul monopolio della forza

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Informazioni tesi

  Autore: Francesco Castiglia
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2009-10
  Università: Università degli Studi di Torino
  Facoltà: Interfacoltà in Scienze Strategiche
  Corso: Scienze della Difesa e della Sicurezza
  Relatore: Anna  Caffarena
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 54

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