La questione del segno linguistico in Derrida con riferimento a Hegel
Derrida a confronto con de Saussure
In un colloquio con la semiologa russa, Julia Kristeva, contenuto nel secondo capitolo di Posizioni, Derrida esplicita le sue critiche alla semiologia di de Saussure. Si parte subito con una domanda molto congeniale a tutta l'opera di Derrida, ovvero: quali sono i limiti logocentrici ed etnocentrici della semiologia che si fonda sul modello saussuriano di segno linguistico? La questione si potrebbe porre anche in termini filosofici, in ultima analisi: come può la semiologia sfuggire alla metafisica? Derrida non crede, ovviamente, che ci si possa liberare completamente dalla metafisica e questo fatto è ben dimostrato dai progressi della riflessione sul concetto di segno linguistico. Il segno, infatti, è al tempo stesso un freno e un progresso per la liberazione dalla metafisica: da un lato esso é completamente metafisico, dall'altro il lavoro portato avanti da de Saussure sul segno ha permesso di criticare ( ma non di strappare definitivamente) la sua appartenenza alla metafisica. Dando uno sguardo d'insieme al Corso di linguistica generale, Derrida afferma :
"si può mostrare come la semiologia di tipo saussuriano abbia svolto un duplice ruolo: da un lato, un ruolo critico assolutamente decisivo (…) e tuttavia, Saussure non ha potuto non confermare quella medesima tradizione nella misura in cui ha continuato a servirsi del concetto di segno; di questo, infatti, come di ogni altro concetto non si può fare un uso assolutamente nuovo e assolutamente convenzionale."
Prima di tutto, com'é giusto, Derrida riconosce i meriti della linguistica di de Saussure: il primo è quello di aver riconosciuto, contro la tradizione, nel significato e nel significante due lati inseparabili del processo di significazione. De Saussure, infatti, si é rifiutato di paragonare l'unità inseparabile di significante e significato a quella, nella persona umana, di anima e corpo. Si può qui aggiungere che de Saussure ha messo fine alla tradizione che faceva della lingua una semplice nomenclatura, una unione tra parole e cose, come se sulle cose il nome utilizzato vi apparisse come un'etichetta. Invece, per de Saussure, il segno linguistico unisce non una cosa e un nome, ma un concetto e un'immagine acustica.
Il secondo merito della linguistica saussuriana è quella di aver determinato come differenziale e formale il funzionamento e il concetto di segno linguistico. In questo senso, il suono non è l'elemento materiale che da solo appartiene alla lingua, anzi l'essenza del significante linguistico non è fonica, esso piuttosto è:
"incorporeo, costituito non dalla sua sostanza materiale, ma unicamente dalle differenze che separano la sua immagine acustica da tutte le altre".
Inoltre, de Saussure ha avuto il merito, per lo meno nelle intenzioni, di fare della linguistica una parte della più generale scienza dei segni, la semiologia. Le critiche di Derrida si appuntano su due passaggi dell'opera di de Saussure: la scelta del termine "segno", così come circolante nella lingua ordinaria, e il privilegio della parola su altri modi d'espressione, privilegio che riporta in auge il fonologocentrismo che lega il segno alla voce, nonostante de Saussure abbia già riconosciuto che l'essenza del segno non é fonica. Tutto questo porterà a vedere nella linguistica il modello di ogni ricerca semiologica futura, nonostante la linguistica sia solo una parte della semiologia. Ritorniamo sulla prima critica che Derrida muove alla linguistica di de Saussure: la scelta del termine "segno" in mancanza d'altri termini che indichino meglio l'unità di significante e significato. Questa scelta che de Saussure ha operato non è per niente innocente, anzi sarebbe funzionale alla prima opposizione che si adopera nella linguistica: quella tra significante e significato; solo che questa opposizione porta con sé tutta la catena dei pregiudizi fonologocentrici:
"la lingua "usuale" non é innocente o neutra. Essa é la lingua della metafisica occidentale e porta con sé non soltanto un numero considerevole di presupposti di ogni genere, ma dei presupposti, anche, che sono inseparabili e che s'intrecciano in sistema (…). È per questo che, dall'altro lato: il mantenimento della distinzione fra signans e signatum, e l'equazione fra signatum e concetto, lasciano aperta di diritto la possibilità di pensare un concetto significato in se stesso, nella sua semplice presenza al pensiero, nella sua indipendenza rispetto alla lingua, e cioè rispetto ad un sistema di significanti."
In nota, Derrida ci dice, in maniera icastica, che l'opposizione significante/significato ha riprodotto quella metafisica tra sensibile e intelligibile; da qui il sospetto preliminare sul privilegio che l'intelligibile acquisirà a spese del sensibile. Abbiamo già visto nell'introduzione come questa semplice possibilità acquisti per Derrida il valore di trascendentalità: condizione di possibilità di un intero sistema che porterà inevitabilmente e insensibilmente all'esistenza di un "significato trascendentale". Questo significato trascendentale é tale che non rinvia più ad un altro significante ma solo a se stesso, in modo da eccedere la catena dei segni e perdere il carattere di rimando proprio ad ogni segno. Il significato trascendentale, come una sostanza, può sussistere per se stesso, se ne sta quieto nella sua semplice identità con se stesso, la sua pienezza sopporta ogni contraddizione. Una volta riconosciuta anche in de Saussure la classica esigenza della posizione di un significato trascendentale affinché tutto il sistema si regga, per Derrida si deve passare a riconoscere, al fine di non ricadere sempre di nuovo nella chiusura metafisica, che "ogni significato é anche in posizione di significante". La negazione dell'esistenza di un significato trascendentale deve seguire due rotte: quella di una lenta e laboriosa decostruzione di tutta la storia della metafisica, che non smetterà mai d'imporre alla semiologia la necessità di un significato trascendentale come concetto assolutamente indipendente dalla lingua. Seguendo questa prima rotta ne verrà fuori anche la seconda: non dobbiamo confondere a tutti i livelli significante e significato, perché, nonostante tutto, è grazie a questa opposizione che è possibile qualcosa come la traduzione. Il filosofo algerino, consapevole di questa aporia, vuole solo negare che grazie alla presenza di un significato trascendentale sia possibile una traduzione di una lingua da un'altra completamente perspicua e trasparente. Quindi, se non esiste una differenza pura tra significante e significato, allora anche la traduzione dovrà rassegnarsi a rimanere impura. Cosa che, sia detto tra le righe, risulta alquanto ovvia, dato che ogni traduttore sa benissimo di non poter mai rendere trasparenti o assolutamente speculari due lingue naturali. Si dovrà, quindi, parlare di:
"trasformazione regolata di una lingua da parte di un'altra lingua, di un testo da parte di un altro testo. Noi non avremo, né abbiamo mai avuto a che fare con un "trasporto" di puri significati che lo strumento – o "veicolo" – significante lasci vergine e incontaminato da una lingua all'altra."
A questo punto dell'intervista, Derrida tira le fila del suo ragionamento e assume una posizione essenzialmente critica nei riguardi del concetto di segno così come inteso da de Saussure, fino ad arrivare al motivo portante della sua critica: il rifiuto che anche de Saussure oppone alla scrittura e il privilegio della parola parlata e della scrittura fonetica rispetto ad altri sistemi di segni. Molti linguisti moderni hanno apertamente criticato lo psicologismo saussuriano, ma lo psicologismo non è il cattivo uso di un concetto buono, ossia quello di segno, piuttosto è già nel concetto di segno che troviamo la propensione a privilegiare la coscienza parlante piuttosto che il significante e la scrittura. Nella lunga citazione che segue, Derrida sembra condensare le critiche che più spesso rivolge ai filosofi che privilegiano l'elemento spirituale della conoscenza a discapito di quello materiale: il fatto è che tutto il pensiero occidentale sarebbe ossessionato dalla metafisica della presenza, questo costituirebbe il particolare etnocentrismo di cui da sempre soffre la filosofia, che lascia inevitabilmente ai margini ciò che non ha a che fare con il logos e con il discorso razionale.
Questo brano è tratto dalla tesi:
La questione del segno linguistico in Derrida con riferimento a Hegel
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Informazioni tesi
Autore: | Evelina Leonardo Cucci |
Tipo: | Laurea II ciclo (magistrale o specialistica) |
Anno: | 2010-11 |
Università: | Università degli Studi di Firenze |
Facoltà: | Lettere e Filosofia |
Corso: | Filosofia teoretica, morale, politica ed estetica |
Relatore: | Marino Rosso |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 75 |
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