Variazioni sul fideismo: Montaigne e Pascal
Il Montaigne pagano e libertino di Pascal
Alla luce di quanto visto nei precedenti paragrafi, la presa di distanza di Pascal nei confronti del libertinismo, e quindi di Montaigne, appare in tutta la sua radicalità, a partire dalla condanna nei confronti dell’autosufficienza della razionalità fino ad arrivare alle critiche e al ridimensionamento della figura dell’honnête homme. I motivi fondamentali di questa critica, come già accennato, si palesano nell’ Entretien avec M. de Sacy dove l’opera di Montaigne è ridotta da un lato alla ricerca di una «morale che la ragione dovrebbe dettare senza la luce della fede», e dall’altro ad un’indifferenza e un’accidia di segno pagano che danno luogo ad un esito edonistico tipico dei libertini.
L’origine degli errori di Montaigne va ricercata, per Pascal, nell’uso che fa della ragione: abbiamo visto come per quest’ultimo la funzione di questa facoltà sia essenzialmente quella di esautorarsi in favore della verità rivelata, dal momento che la Caduta ha reso i sensi e la ragione dei principi di inganno bisognosi del soccorso della grazia, la cui accoglienza segna il momento del pentimento e della redenzione. Il pirronismo di Montaigne invece valuterebbe la ragione in un senso molto diverso malgrado le apparenti similitudini: l’attestazione della sua incertezza e del suo procedere a tentoni non porterebbe, come in Pascal, ad affermare la falsità delle certezze umane e delle varie dottrine filosofiche, ma solamente l’impossibilità di un assenso definitivo ad essi.
Un’indifferenza verso la propria sorte che è dunque diretta conseguenza della paradossale fiducia pirroniana nella ragione, dove se da un lato si nega la sua validità oggettiva, dall’altro si impone come necessario il ricorso ad essa, per cui la presunzione razionale risulta confermata piuttosto che osteggiata.
Da questo punto di vista, come sottolinea Giocanti, ciò che Pascal rimprovera al pirronismo è fondamentalmente una carenza di misologia, causa del passaggio dall’incertezza della ragione alla miscredenza: l’aspirazione pirroniana ad umiliare la ragione resta in ultima istanza una promessa non mantenuta, dal momento che nelle mani di costoro essa trova degli espedienti per risollevarsi ed, invece che trarre dalla constatazione delle proprie contraddizioni la necessità di fondarsi su qualcosa di esterno, si avvolge su se stessa in un lassismo che dà l’illusione di portare alla tranquillità d’animo. L’errore di Montaigne consisterebbe nel non portare la pratica del dubbio oltre se stessa, limitando la sua applicazione alle ridicole pretese della ragione corrotta della seconda natura, ignara che le proprie convinzioni non siano altro che stratagemmi razionali per non disperare della mancanza di senso.
Se Montaigne non si fosse arrestato ed avesse veramente esteso la sua scepsi alla stessa ragione, sarebbe pervenuto alla verità del cristianesimo che renderebbe perfettamente conto dell’irresoluzione umana; l’errore fatale del perigordino e degli scettici in generale sarebbe dunque quello di non spingersi fino alla ragione degli effetti, per cui «hanno visto gli effetti, ma non hanno visto le cause: e si trovano, nei confronti di quelli che hanno scoperto le cause, come quelli che hanno solo gli occhi, rispetto a quelli che hanno l’intelletto». È in questo arrestarsi agli occhi, ai sensi, alla constatazione del prettamente umano, che l’opera montaignana coinciderebbe con una dottrina dell’autosufficienza del dubbio sia in campo morale che intellettuale, che Pascal considera non solo empia ma profondamente illusoria dal momento che «l’uomo senza Dio si trova nell’ignoranza su tutto ed in una inevitabile felicità» per il semplice motivo che ignorando la ragione degli effetti «non può né conoscere né non desiderare di conoscere. Non può nemmeno dubitare». Il dubbio pirroniano, che pretende di restare all’interno della razionalità – pur continuando a smascherarne gli inganni –, rifiutando l’approdo ad una verità fondata sul coeur, sarebbe in realtà un’illusione dal momento che nessun uomo può fare a meno di alcuni principi che apprende naturalmente e sui quali fonda il proprio raziocinio e la propria condotta, per cui Pascal conclude che «non sia mai esistito veramente un pirroniano perfetto», dal momento che, volente o nolente, si ritroverà anch’esso ad affidarsi a quel meccanismo irriflesso per il quale «la natura soccorre la ragione impotente e le impedisce di vaneggiare fino a questo punto». [...]
Questo brano è tratto dalla tesi:
Variazioni sul fideismo: Montaigne e Pascal
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Informazioni tesi
Autore: | Federico Gallina |
Tipo: | Tesi di Laurea Magistrale |
Anno: | 2012-13 |
Università: | Università degli Studi di Perugia |
Facoltà: | Lettere e Filosofia |
Corso: | Filosofia ed etica delle relazioni |
Relatore: | Roberto Gatti |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 232 |
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