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I volti dell'India nella Letteratura Contemporanea Occidentale

La condizione femminile

Strettamente collegato alla suddivisione del popolo indiano in caste è il problema della condizione della donna all’interno di questa società.
Se, nell’antichità, essa era considerata con grande rispetto anche dalla religione vedica e in molti culti shivaiti, tra cui il tantrismo per i motivi che si sono visti, nel corso dei secoli il destino della donna indiana ha oscillato tra “la piena parità e la schiavitù”. Un’intellettuale indiana intervistata da Folco Quilici pochi anni fa, si esprimeva in questi termini sull’argomento: “Il periodo più oscuro per noi fu il tardo Medioevo; fu allora che prese corpo quel rigido complesso di ‹‹leggi›› contro la libertà della donna, che si intrecciano con quelle della divisione della nostra popolazione in caste; sono le ‹‹leggi›› note col nome di Purdha. E fu allora che si generalizzò la barbara usanza del sati, ossia del sacrificio della moglie sul rogo dove arde il corpo del marito.”
Le parole di questa giovane donna indiana introducono uno dei temi sociali più allarmanti dell’India di oggi, quello, appunto del cosiddetto “suicidio delle vedove”.
Il sati, uno dei più crudeli sacrifici previsti dalla religione induista, consisteva nella macabra usanza di cremare viva la vedova di un defunto dandola alle fiamme sulla stessa pira su cui il marito veniva cremato. Essa veniva generalmente legata alla catasta di rami, cosparsa di ghee, il burro chiarificato degli indiani, e ricoperta di legna secca, in modo che le sue membra potessero prendere fuoco più velocemente.
Durante il Medioevo, poi, non erano rari i casi di sati “di gruppo”, chiamati Jauhuar: una sorta di suicidio di massa delle donne dei condottieri caduti in battaglia le quali, pur di sottrarsi alla cattura e alla schiavitù da parte del nemico, preferivano seguire le sorti dei loro mariti salvando così il loro onore e il proprio.
Queste dame dell’antichità sono passate alla storia come icone di santità degne di venerazione, e ancora oggi le donne che decidono di sottoporsi volontariamente – o meno – al sati vengono immediatamente divinizzate e in loro onore vengono spesso eretti templi e altari.
Questa pratica disumana è stata formalmente abolita dal governo indiano quasi due secoli fa, nel 1829, ma, soprattutto nelle zone rurali dell’India settentrionale, la situazione di fatto non è cambiata e ancora oggi si registrano casi di vedove sottoposte a questo orribile rito.
Ciò che determina la resistenza di una barbarica usanza come il sati è, in realtà, da ricercarsi in una condizione più grave e più profonda che affligge la donna indiana in epoca attuale, condizione che Quilici esplica in modo molto chiaro:

Rifiutando di gettarsi nel fuoco [la vedova] sarebbe incorsa nella sanzione morale di tutta la comunità e avrebbe avuto davanti a sé un destino peggiore della morte. […] Sì, il sati era un sacrificio di una barbarie assoluta, selvaggia, ma non è egualmente pauroso il destino delle vedove indiane oggi nelle campagne? Qui è ancor vivo l’uso dei matrimoni precoci, il matrimonio combinato dalle famiglie, tra individui che non si conoscono, quando essi sono ancora bambini; una vera piaga della società contadina indiana, che provoca situazioni drammatiche di cui sono vittime quasi sempre le donne, perché se rimangono vedove giovanissime il villaggio dà loro l’ostracismo e non permette loro di vivere la vita sociale dell’intera comunità. Le vedove non possono sposarsi una seconda volta, devono portare a vita il lutto, non possono partecipare alle feste né ai pellegrinaggi. […] Naturalmente per le donne di città la situazione è molto diversa; non esiste alcun problema per le vedove delle caste alte: possono risposarsi, fanno quello che vogliono.
Basterebbe il solo paragone fra [la condizione] della vedova che vive in un villaggio di paglia e quella di una vedova che abita un palazzo in cemento di una grande città, per permetterci di comprendere le abissali distanze che oggi possono separare due individui della stessa età, ma di differente casta nell’India contemporanea.
Non soltanto per esser nate l’una poverissima e l’altra enormemente ricca, due donne indiane avranno esistenze profondamente diverse, come fossero di pianeti lontani; ma a rendere inconciliabili le loro due condizioni è il fatto di essere nate una di casta bassa e l’altra di casta nobile: questo significa poter vivere dignitosamente o essere invece condannate a una vera e propria morte civile.


Soprattutto negli ultimi decenni, sull’onda della prodigiosa accelerazione verso l’adeguamento dell’India ai costumi occidentali, molte delle donne indiane appartenenti alle classi più agiate hanno intrapreso carriere professionali di riguardo, fino ad arrivare ad essere nettamente più numerose rispetto alla maggior parte delle stesse nazioni occidentali. Questa forma di emancipazione femminile è probabilmente uno degli aspetti più positivi e incoraggianti del processo di cambiamento in atto in India, ma non è assolutamente indicativo della reale condizione delle donne in questo paese. Per la maggior parte di loro, infatti, la vita è ancora segnata da disuguaglianze e privazioni e la discriminazione che le colpisce è stata paradossalmente aggravata con l’avanzare della tecnologia.
È risaputo, infatti, che grazie alle moderne tecniche della scienza, anche le future madri delle zone più remote possono sapere in anticipo se il bambino che portano in grembo sia un maschietto o una femminuccia; così, attraverso azioni illegali di manomissione dei risultati clinici, quella dell’aborto di feti sani di sesso femminile sta diventando una pratica sempre più diffusa. Purtroppo l’infanticidio e l’abbandono delle neonate sono sempre stati fenomeni comuni in India, ma non si è ancora riusciti a fare molto per arginare questa terribile situazione.
D’altronde, anche nel caso in cui i genitori decidano di tenere con sé la propria figlia, questa sarà comunque destinata a un’esistenza tutt’altro che semplice, nella quale la salute, l’istruzione e la formazione spesso non sono contemplate. Le bambine rappresentano per le famiglie un vero e proprio fardello, del quale difficilmente gli abitanti dei villaggi più poveri riescono a farsi carico senza contrarre dei debiti che gravano su di essi per generazioni.
Una delle preoccupazioni maggiori in questo senso riguarda la dote, ovvero l’insieme di beni, ricchezze, denari che i genitori di una figlia femmina mettono da parte dal giorno della sua nascita in vista del matrimonio, cioè del giorno in cui essi “cederanno” la loro bambina in sposa ad un uomo dietro il pagamento di una sorta di indennizzo per la famiglia dello sposo. [...]

Questo brano è tratto dalla tesi:

I volti dell'India nella Letteratura Contemporanea Occidentale

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Informazioni tesi

  Autore: Paola Marzano
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2011-12
  Università: Università degli Studi di Bologna
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: Sistemi e Comunicazione della Moda
  Relatore: Daniela Baroncini
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 246

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