Ambizioni e fallimenti in "Jude the Obscure" di Thomas Hardy
Un esito annunciato
Sfogliando i diari di Thomas Hardy, alla pagina relativa al 28 aprile 1888 si legge: A short story of a young man – ‘who could not go to Oxford’ – His struggles and ultimate failure. Suicide.
Come ben sappiamo, il romanzo cui faceva riferimento questo appunto finì per comprendere molto di più, al punto che c’è chi sostiene che il materiale di cui è fatto Jude the Obscure avrebbe potuto essere sufficiente per due o più romanzi. E se è vero che il tema degli sforzi insoddisfatti di accedere all’università sarebbe divenuto secondario in corso d’opera, cedendo il passo a quello del matrimonio e del divorzio, resiste pienamente tutta la pertinenza del successivo termine impiegato: failure, appunto. Si tratta evidentemente di un fallimento programmato. William R. Rutland evidenzia come, insieme a Tess of the D’Urbervilles, Jude the Oscure si differenzi dal resto della produzione romanziera di Thomas Hardy in un aspetto preciso; essi sono romanzi didattici, “not incidentally or occasionally, but deliberately and consistently”. Nella visione di Rutland, i romanzi precedenti sono “opere d’arte” dalla funzione meramente rappresentativa. Tess e Jude sono invece romanzi il cui intento è critico, didattico, di denuncia. Si noti al proposito come prosegue Hardy nell’appunto esposto sopra:
There is something the world ought to be shown, and I am the one to show it to them.
L’oggetto dell’attacco di Hardy non è sconosciuto: per lo scrittore è il sistema della società vittoriana nel suo complesso a non permettere a Jude di poter realizzare le sue aspirazioni. In questo senso, il fallimento di Jude e di tutti gli altri protagonisti della storia narrata è semplicemente l’esito inevitabile che dipende dalla condizione di partenza, e dal mancato conformarsi ai precetti morali del tempo, e non dal presunto disvalore intrinseco della persona. Diverso è l’approccio di Albert Pettigrew Elliott, che pur prendendo le mosse da un più generale concetto di fatalismo nell’opera di Hardy, arriva alle stesse conclusioni quando afferma che “It is very clear that Jude is the victim of a determined state of things […] character has no part in his destiny”.
Se non fosse per una ristretta cerchia di liberi pensatori indipendenti, di cui Hardy faceva certamente parte, la società vittoriana era supinamente schiacciata sulle posizioni dettate da quello che Elliott definisce “Convention”, vale a dire quell’elemento sì del Destino, ma artificiale, creato dall’Uomo che ne sarà paradossalmente allo stesso tempo creatore e vittima. E mentre i Vittoriani “for the most part sided with Convention […], Hardy and a few others fought for liberty and the triumph of intellect”.
Anche Francis Bertram Pinion sottolinea come Hardy fosse “too much involved with his quarrel against society to disengage himself critically and consider the novel in all its aspects”. Ma come abbiamo visto sopra, non era questo l’intento originale di Hardy, che era meno interessato all’aspetto formale e artistico dell’opera che stava componendo, e assai più al suo contenuto, un contenuto concepito e realizzato con l’esplicita finalità di ammonire il pubblico sulle inevitabili conseguenze dell’accettazione acritica della Convention and Law di cui parla Elliott.
Alla luce di questo chiaro intento dell’autore, appare del tutto opportuno l’intervento di Pinion nel reputare fuorvianti le obiezioni di alcuni a proposito dell’implausibilità della narrazione, anche se, per dirla sempre con Pinion, si avverte chiaramente che il polemista ha spesso avuto il sopravvento sull’artista nel dirigere il corso della narrazione. Quanto tutto ciò sia vero è ulteriormente sottolineato da Edmund Blunden, per il quale Jude the Obscure è “more than any [other book] by him, a protest against the inherited ideas of society […], a slashing direct attack”.
Il tema del fallimento è insomma esplicitamente utilizzato da Thomas Hardy per quello che, con chiarezza, era il suo scopo didattico, sotto la guida del quale ha inteso stendere il suo ultimo romanzo. Come vedremo in seguito, questo avrà chiaramente molto a che fare con il putiferio di reazioni avverse di cui si parlava nell’introduzione, ma prima di addentrarmi in questo tema, che verrà ripreso nel capitolo conclusivo della presente tesi, vorrei ora soffermarmi su alcune considerazioni sul ritmo, sul movimento frenetico e l’atmosfera di spazialità che si respirano nel romanzo.
Questo brano è tratto dalla tesi:
Ambizioni e fallimenti in "Jude the Obscure" di Thomas Hardy
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Informazioni tesi
Autore: | Massimo Evangelisti |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2011-12 |
Università: | Università degli Studi di Perugia |
Facoltà: | Lettere e Filosofia |
Corso: | Lingue e culture moderne |
Relatore: | Roberto De Romanis |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 34 |
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