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Il conflitto del Kashmir: l'approccio della Peace Research

Valutazione finale dei triangoli del conflitto, della violenza e della pace di Galtung nel conflitto del Kashmir

Alla fine di questa analisi Galtung attraverso l’approccio trascend elabora cinque soluzioni che possono essere interpretate per la risoluzione di questo conflitto:

A. Principio di autodeterminazione popolazione: ovvero che la libertà dei popoli e il loro status politico dipende essenzialmente dalla ricerca di indipendenza.

B. Principio di co-gestione: si intende una gestione comune o come dice Musharraf “nave jointman”, ovvero dare all’India ed al Pakistan una possibilità di co-gestione creativa della valle del Kashmir. Ciò implica di creare una cooperazione attraverso la frontiera sia di matrice economica che culturale, lasciando inalterate le dispute territoriali.

C. Creazione della Confederazione: col fine di stabilire un associazione nel Ladakh, Jammu e Kashmir, valle del Kashmir e nell’ Azad Kashmir per risolvere dispute critiche come la difesa, gli affari ed il commercio estero.
D. Doppia cittadinanza: I residenti di tutte e quattro le divisioni territoriali possono avere documenti e passaporto con la doppia cittadinanza qualora richiesto espressamente dal cittadino. Ciò implicherebbe secondo il sociologo norvegese un corredo di riforme costituzionali come la gestione di acque comuni e lo scambio interculturale degli studenti.

E. International Security Force: la presenza di una forza internazionale sancita sia dal Consiglio di sicurezza Onu che dall’organizzazione della conferenza islamica (OCI) col fine di sedare l’inasprimento e l’auto-alimentazione delle forze terroristiche separatiste.

Le risoluzioni apposte da Galtung per la comunità Internazionale secondo il mio parere possono essere soggette ad alcune revisioni. Per quel che concerne il primo punto (A) ovvero l’affermazione del principio di autodeterminazione popolare in una regione così variopinta di diversità religiose e tribali porterebbe a spinte secessioniste che provocherebbero una frammentazione del paese. Inoltre anche la stessa costituzione Indiana, sempre attraverso l’art. 370, conferisce comunque una sorta di limitata autonomia perlomeno per i rappresentati del Jammu e Kashmir. Per quel che concerne invece la controparte Pakistana ovvero i territori dell’Azad Kashmir non sono soggetti all’applicazione di questo principio in quanto i kashmiri pakistani per la comunanza religiosa si sentono “liberi” e non sentono quindi la necessità di una secessione, di un plebiscito, di una ricerca ossessiva di riconquista dell’kashmiriyat, e ciò è confermato anche dal nome attribuito alla porzione territoriale, definita appunto “Azad Kashmir” ovvero “Kashmir libero” dall’oppressione indiana.
Il principio di co-gestione ha difficoltà di applicazione visto che ambedue le nazioni hanno soggetto le proprie porzioni territoriali alla loro arbitraria giurisdizione portando solamente a notevoli scontri basati proprio sulla volontà dei kashmiri di staccarsi dall’India vedendo come unica possibilità di convivenza quella di sottostare ad uno stato che, come il Pakistan, che attraverso la logica del terrore, da comunque un senso di appartenenza più forte alla maggioranza dei kashmiri solo per la comunanza religiosa.
Per quel che riguarda il terzo punto, l’idea di creare una sorta di confederazione può avvenire solo in stati in cui la democratizzazione sia consolidata o che stia nello stadio dell’instaurazione. Questo perché unire piccoli sistemi politici che utilizzano norme arbitrarie non in conformità con il Diritto Internazionale generale e con le principali norme in materia di Diritti Umani, non è un sistema che nell’insieme può funzionare.
La doppia cittadinanza è una prerogativa fattibile solo per gli stati democratici e per gli stati assolutamente pacifici. In un contesto come il Kashmir in cui i cittadini stessi nei secoli non hanno potuto né sotto il maharaja Singh, ne sotto la giurisdizione indiana, decidere liberamente per il proprio destino, visto la corruzione del plebiscito e la distorsione dell’art. 370 della costituzione Indiana, che garantiva almeno forme concorrenti di partecipazione alla legislazione locale. Sarebbe un efficiente passo in avanti riuscire a garantire pacificamente questo diritto, ma un cittadino kashmira che prende la cittadinanza indiana dovrà scontrarsi con un sicuro rigetto musulmano e viceversa.
L’unico punto reale di forza della riforma predisposta da Galtung è quello di assemblare per conto dell’International Security Force dell’ONU, forze islamiche per evitare il duplicarsi di notevoli attentati terroristici a discapito dei kashmiri residenti nello Jammu. L’ulteriore sforzo però sarebbe agire oltre che con la partecipazione ad una forza multinazionale, anche agire attraverso una cospicua riforma del sistema giuridico indiano, sia sul profilo giudiziario che amministrativo, visto che la maggior parte delle repressioni non avvengono come si potrebbe immaginare dal vicino Pakistan, additato come stato pro fondamentalista, ma dalla discrezionalità della polizia indiana nel tessuto locale.
Infine l’errore principale che Galtung pone è che gli strumenti correttivi si celano non attraverso la limitazione della violenza diretta, ma attraverso la correzione di quella culturale e soprattutto strutturale, poiché non esistono in realtà strutture, istituzioni e associazioni che lottano per l’instaurazione di una pace. La militanza viene alimentata dalla violenza e non da legislazioni pacifiche e con fini ed obiettivi democratici. La polizia indiana ha troppa discrezionalità d’azione, e in controparte la resistenza pakistana si concretizza negli attentati locali. Perciò chi ci rimette in tutto questo scenario di sangue che persiste da oltre cinquant’anni? I civili inermi, i cittadini desiderosi di un clima amichevole, di convivenza tra culture diverse che però si riversano in un'unica identità etnica, il kashmiriyat, che da secoli ha sempre unito, ciò che ora la religione e la politica stanno dividendo: una cultura secolare pacifica, che per il popolo aspira semplicemente ad una convivenza autonoma, senza l’influenza della giurisdizione dei due Stati che da più mezzo secolo, l’hanno barbaramente distrutta.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Il conflitto del Kashmir: l'approccio della Peace Research

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Informazioni tesi

  Autore: Aldo Lubrani
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2010-11
  Università: Università degli Studi Roma Tre
  Facoltà: Scienze Politiche
  Corso: Relazioni Internazionali
  Relatore: Maria Luisa  Maniscalco
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 222

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Parole chiave

kashmir
conflict resolution
galtung
conflict trasformation
peace research
multi track diplomacy

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