La concorrenza sleale per interposta persona
La concorrenza del terzo interposto: quadro generale
La figura di un imprenditore-concorrente che svolga per intero personalmente la propria attività corrisponde ad un'ipotesi oggi praticamente inesistente o comunque marginale. S'intende, dunque, che quando si dice che la disciplina della sleale concorrenza si applica appunto solo agli atti dell'imprenditore-concorrente, ci si riferisce anche a quelli posti in essere dai suoi dipendenti nell'esercizio delle loro mansioni.
L'impresa, di norma, si vale nell'esercizio della propria attività anche di ausiliari e collaboratori autonomi, e sorge perciò il problema se e quando l'attività di costoro possa ritenersi imputabile all'impresa stessa, e quindi soggetta alla disciplina della concorrenza sleale. Come spesso accade, la realtà concreta non sempre offre una casistica dai contorni netti, che consenta una soluzione agevole dei problemi che astrattamente possono porsi.
La prima difficoltà si riscontra nella compatibilità di una siffatta ipotesi di attività sleale con la necessità, ritenuta imprescindibile da parte dei sostenitori delle teorie dominanti, della sussistenza di un rapporto di concorrenza: non a caso coloro che propongono un'interpretazione in senso letterale del termine «chiunque» contenuto nell'art. 2598 c.c., negano la ricorrenza di quella necessità e, nel contempo, individuano nella concorrenza sleale per interposta persona il punto debole della teoria che trova più largo seguito, con un'argomentazione che potrebbe sembrare quasi ovvia nella sua evidenza.
Se, si sostiene, è necessario che tra i due soggetti dell'atto di concorrenza intercorra il rapporto di concorrenza, come potrebbe individuarsene la sussistenza laddove l'attività sia stata posta in essere da un soggetto estraneo a quel rapporto? E come potrebbe imputarsi ad un non-concorrente una responsabilità che, sempre secondo le teorie dominanti, trova il suo fondamento logico-giuridico nella qualificazione imprenditoriale dei soggetti? Lo strumento più sicuro per superare queste obiezioni verrebbe individuato in una sorta di collegamento tra l'attività del terzo non concorrente e l'interesse dell'imprenditore concorrente che si avvantaggi dell'atto sleale.
In tale caso il soggetto terzo è solidalmente responsabile con l'imprenditore che si è giovato della sua condotta, mentre, in assenza del collegamento indicato, il terzo risponde ai sensi dell'art. 2043 c.c.,ricorrendone i presupposti. Perché si possa dar luogo ad un illecito di concorrenza sleale è sufficiente che l'atto sia posto in essere da chiunque si trovi, rispetto all'imprenditore avvantaggiato dal comportamento lesivo, in una particolare relazione, per effetto della quale la sua attività possa ritenersi obbiettivamente svolta nell'interesse del concorrente.
A tal fine non si richiede un pactum sceleris tra l'imprenditore concorrente ed il terzo, essendo sufficiente, ma necessario, il dato oggettivo di una relazione di interessi, tale da legittimare il terzo a porre in essere atti che procurino un vantaggio all'imprenditore concorrente; non basta invece il mero dato oggettivo del vantaggio arrecato al concorrente. In difetto della riferibilità, almeno indiretta, della attività del terzo all'imprenditore concorrente, l'attività del primo può eventualmente integrare gli estremi di un illecito ex art. 2043 c.c., ma non un illecito concorrenziale .
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La concorrenza sleale per interposta persona
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Informazioni tesi
Autore: | Antonello Cani |
Tipo: | Tesi di Laurea Magistrale |
Anno: | 2011-12 |
Università: | Università degli Studi di Cagliari |
Facoltà: | Giurisprudenza |
Corso: | Giurisprudenza |
Relatore: | Elisabetta Loffredo |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 75 |
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